Dopo una lunga malattia, la scrittrice ungherese Agota Kristof è morta il 27 luglio 2011 all’età di 76 anni a Neuchatel, in Svizzera.
“Arriviamo dalla Grande Città. Abbiamo viaggiato tutta la notte. Nostra Madre ha gli occhi arrossati. Porta una grossa scatola di cartone, e noi due una piccola valigia a testa con i nostri vestiti, più il grosso dizionario di nostro Padre, che ci passiamo quando abbiamo le braccia stanche.”
Così comincia “Il grande quaderno”, primo dei tre componimenti che costituiscono la ’Trilogia della città di K’, il capolavoro indiscusso di Agota Kristof. E questo linguaggio scarno e diretto, capace di arrivare sotto la pelle di chi legge proprio in virtù della sua tagliente essenzialità, era anche il tratto distintivo di un’autrice nota per la sua riservatezza. Impietosa nel dipingere le debolezze umane così come lo era nel giudizio su se stessa – “analfabeta” si autodefiniva, a causa della sua incompleta padronanza del francese parlato, lingua nella quale ha composto la sua intera produzione letteraria-, la scrittrice ungherese è nota al pubblico come la narratrice della solitudine.
Agota Kristof nasce il 30 ottobre 1935 a Csikvànd (Ungheria). Nel 1956, l’Armata Rossa interviene in maniera massiccia in Ungheria per sedare le rivolte popolari, e in seguito a ciò, a soli ventuno anni la Kristof è costretta, insieme al marito e alla figlia di quattro mesi, a fuggire e rifugiarsi in Svizzera, a Neuchatel, dove rimarrà fino alla morte. Qui, dopo cinque anni di esilio e solitudine, lascia il marito (al quale non ha mai perdonato la fuga dall’Ungheria) e comincia a studiare il francese, scelta obbligata - la lingua francese, ha scritto una volta, è una “lingua nemica”, perché “sta uccidendo la mia lingua materna”- che però le permette di farsi conoscere pubblicando inizialmente poesie e testi teatrali. Nel 1987 riscuote consensi interazionali con la pubblicazione de “Il grande quaderno” (eletto “Livre Europeen”), a cui fanno seguito “La prova” e “La terza menzogna”. In seguito al successo planetario della Trilogia (tradotta in 33 lingue), la Kristof scrive, tra gli altri, “La chiave dell’ascensore”, “Ieri” (adattato cinematograficamente da Silvio Soldini) e “La vendetta”.
I numerosi premi da lei vinti attestano il grande tributo d’affetto e stima che i lettori di tutto il mondo non hanno mai mancato di manifestarle, forse proprio perché i temi ricorrenti delle sue opere – l’erranza, l’impossibilità del ritorno nei propri luoghi d’origine, il dolore autentico e tangibile dei suoi personaggi- permettono un’identificazione totale e duratura. Una stima ricambiata e apprezzata dalla Kristof nel suo modo sobrio e discreto, e ampiamente meritata da un’autrice che considerava il dolore come unico mezzo attraverso cui comprendere gli altri.
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: Addio ad Agota Kristof, l’apolide della solitudine
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