Per un lettore che ha amato un libro e lo ha vividamente immaginato, vedere quella storia prendere forma davanti a uno schermo può essere un’esperienza complessa. Nel mondo magico delle parole, chi legge tende a trattenere nella memoria ciò che più gli risuona nel cuore, escludendo dalla sua proiezione mentale quanto invece risulta difficile da digerire.
Questo diventa ancor più vero quando il libro in questione è potente e significativo come Il treno dei bambini di Viola Ardone (Einaudi, 2019), romanzo che, nella sua ricercata spontaneità, ha conquistato il grande pubblico, trasformandosi in un caso editoriale.
Oggi, la sua recente trasposizione cinematografica firmata da Cristina Comencini, disponibile su Netflix dal 4 dicembre 2024, ci invita a rivivere quella storia in una nuova dimensione.
Vediamo insieme la trama, un confronto tra il libro e il film e perché vederlo se si è amato il romanzo di Viola Ardone.
“Il treno dei bambini”: il libro di Viola Ardone
Link affiliato
Edito da Einaudi nel 2019, Il treno dei bambini ha segnato il punto di svolta nella carriera della scrittrice napoletana, che con Oliva Denaro (2021) e Grande Meraviglia (2023) – ancora pubblicati da Einaudi – si conferma una delle penne più autentiche e capaci nel panorama editoriale contemporaneo.
Il romanzo ha conquistato il grande pubblico fin dal suo esordio, guadagnandosi una posizione di rilievo in occasione della Fiera del Libro di Francoforte. Ampiamente tradotto all’estero, ha riscosso numerosi riconoscimenti, tra cui il premio Wondy per la letteratura resiliente, vinto nel 2021.
La potenza della storia scelta da Ardone costituisce in sé un ottimo presupposto per il suo successo. A dominare la narrazione è il dialogo tra la vicenda personale del protagonista – un bambino di sette anni di nome Amerigo Speranza – e la grande storia, quella di un’Italia che fa i conti con i duri costi del dopoguerra. Cresciuto con la madre Antonietta nei Quartieri Spagnoli di Napoli, Amerigo diventa uno dei protagonisti dell’iniziativa promossa dal Partito comunista e dall’Unione donne italiane che ha condotto sui “treni della felicità” circa 70.000 bambini, ospitati per un certo periodo da famiglie del Nord Italia per sfuggire alla fame.
Se la trama del romanzo possiede già un valore intrinseco, l’abilità scrittoria di Ardone fa la differenza. Fin dalla prima pagina, il lettore viene catapultato nel mondo rovesciato di Amerigo, dove inventarsi un gioco a mente, tenendo il conto delle scarpe nuove, rotte o bucate viste per strada, è cosa normale; dove la mortadella diventa un prosciutto con le macchie; dove, ancora, il timore di essere buttati nel forno e mangiati fa quasi sorridere. Ritrarre la miseria dal punto di vista di un bambino consente al lettore di entrare nella storia con tenerezza, guidato per mano.
Una volta che ci si trova dentro, la commozione straripa. Amerigo cresce, il lettore cresce con lui. La durezza spigolosa di una madre napoletana che fa i conti con la povertà e con un figlio da crescere, per quanto inizialmente incomprensibile, diventa espressione di un grande atto d’amore: lasciar andare.
“Il treno dei bambini”: il film di Cristina Comencini
Dalla pagina, solleviamo ora lo sguardo sullo schermo. La prima sfida, a tratti disturbante, che il lettore del romanzo di Viola Ardone si trova ad affrontare è che nel film il punto di vista si allarga. Non c’è più solo Amerigo con il suo modo genuino di interpretare la realtà, ma si impongono, all’improvviso, anche tutti quegli elementi che l’immaginazione aveva relegato sullo sfondo: la magrezza impressionante dei bambini, la miseria struggente di Napoli, il pianto soffocato di una madre all’apparenza insensibile.
Il film di Cristina Comencini, presentato in anteprima mondiale alla Festa del Cinema di Roma il 20 ottobre 2024 e uscito su Netflix il 4 dicembre successivo, si presenta – a detta della stessa regista – dichiaratamente non edulcorato e forse per questo complementare al romanzo. Accanto alla bravura di Christian Cervone e di Stefano Accorsi, che interpretano rispettivamente Amerigo bambino e adulto, spiccano le due protagoniste femminili, volti noti del cinema italiano: Serena Rossi, nei panni di Antonietta, la madre biologica, e Barbara Ronchi, che interpreta invece Derna, la madre affidataria. In particolare, due sono i temi maggiormente sviluppati nella pellicola: da un lato, è raccontato un frammento di storia italiana appassionante e umana, quello degli effetti dolorosi del dopoguerra; dall’altro, viene consegnata una riflessione intima e universale su cosa significhi essere madre.
È proprio in questo secondo aspetto che risiede la complementarità tra film e romanzo. Ciò che viene escluso dallo sguardo ingenuo di Amerigo – e, di conseguenza, da quello del lettore – emerge con forza nella trasposizione cinematografica, nelle sue sfumature più sottili.
Con la ruvidità di Antonietta, per esempio, si intrecciano disperazione, impotenza e rinuncia, rivelando l’espressione ultima del suo dolore. Altrettanto tangibile è l’evoluzione sentimentale di Derna, che da una sensazione di iniziale inadeguatezza nell’accudire un bambino si scopre teneramente incapace, quando arriva il momento, di separarsene, pur consapevole che non è figlio suo. Ma nessun bambino, in fondo, appartiene mai solo a una madre: appartiene al mondo. Si tratta di un messaggio potente, universale e straordinariamente attuale, come non ha mancato di sottolineare la stessa Comencini:
L’amore materno si può sviluppare in molti modi. Uno di questi è lasciar andare.
Dalla pagina allo schermo: un completamento necessario
Chi ha amato il libro di Viola Ardone deve avvicinarsi alla visione del film con una certa cautela. Sebbene la trama venga seguita fedelmente, l’impatto visivo ed emotivo nel passaggio allo schermo è decisamente più intenso. La miseria si tocca, la magrezza si vede, il non detto fa rumore.
Allo stesso tempo, però, l’umanità del racconto ne risulta amplificata, e l’emozione trova uno spazio più ampio in cui rifluire. In questo senso, la pellicola di Cristina Comencini può essere definita un completamento necessario del libro. Sono due angolazioni di una stessa storia: una storia che merita di essere conosciuta e colta nella sua più autentica complessità.
© Riproduzione riservata SoloLibri.net
Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: “Il treno dei bambini”: perché vedere il film di Cristina Comencini dal libro di Viola Ardone
Naviga per parole chiave
Approfondimenti su libri... e non solo Viola Ardone Einaudi News Libri Dal libro al film
Film bello, tema trattato con delicatezza, gli attori bravi, soprattutto il piccolo "Amerigo" e musiche commoventi... sicuramente leggerò anche il libro, la storia è anche questo, quella che spesso è sullo sfondo.