Per scrivere due righe su Aldo Busi bisogna prima mettere in chiaro una piccola cosa, a scanso di equivoci e fraintendimenti: è un genio.
Come non definire in questi termini uno che ha scritto Seminario sulla gioventù, a mio modesto avviso suo capolavoro, e altri pregevolissimi romanzi?
Come non definirlo così, pensando alle sue qualità di traduttore (non solo di opere straniere, ma anche del Boccaccio e del Ruzante)?
Certo per esigenze editoriali avrà scritto anche raramente qualcosa di commerciale (a me La camicia di Hanta non è piaciuto. L’ho trovato al di sotto delle aspettative che nutrivo). Ma l’autore resta e rimane a ogni modo un genio.
Anche i geni hanno i loro alti e bassi. Pasolini non è sempre stato ispirato nello stesso modo. E si parla di Pasolini! Lo stesso James Joyce ha scritto poesie giovanili, metricamente ineccepibili (erano delle canzoni elisabettiane), che i critici non hanno mai considerato capolavori. La perfezione, insomma, non è cosa umana e scrivere è una cosa difficile.
Si potrà dire che Busi era diventato un “fenomeno da baraccone”, che snaturava l’essenza stessa della sua scrittura. Si potrà dire che ha rischiato più volte di diventare prigioniero del suo personaggio, che è rientrato nel cliché dello scrittore omosessuale dichiarato. Si potrà dire del suo esibizionismo e del suo narcisismo. Si potrà dire che non doveva partecipare all’Isola dei famosi, però lui doveva pur campare e ha incassato 420.000 euro.
Su Aldo Busi si può dire tutto e il contrario di tutto.
Lo stesso scrittore di Montichiari si è anche contraddetto: “Mi contraddico? Vuol dire che contengo moltitudini”, scriveva in tempi non sospetti Walt Whitman.
La scrittura civile di Aldo Busi e la battaglia per i diritti
Ma prima di fare critiche troppo negative e per partito preso o addirittura in malafede, ci si ricordi della ventata di novità e di freschezza delle belle prose di Busi negli anni Ottanta, della sua forza prorompente nella scrittura come nella persona contro il bigottismo, l’omofobia, il perbenismo, il moralismo.
Ci si ricordi delle sue battaglie per i diritti civili. Ci si ricordi di quanto ha scandalizzato nel miglior senso del termine e quindi di quanto ha aperto le menti e capovolto le prospettive dei benpensanti.
Ci si ricordi quanti giovani si sono riconosciuti sia nelle sue parole che nelle sue prese di posizione. Ci si ricordi di come eravamo negli anni Settanta e Ottanta e anche del fatto che se in questi anni ci siamo evoluti a livello civile è stato anche grazie a scrittori come Busi. Ci si ricordi qual era la misera condizione degli omosessuali negli anni Settanta e Ottanta.
Andatevi ad ascoltare la canzone “Paolo pa” del Banco del mutuo soccorso, scritta dopo il suicidio di un amico gay.
Ci si ricordi della disperazione di Mario Mieli, che si suicidò infilando la testa nel forno. Ci si ricordi di tutto questo, di quel clima, di quel contesto socioculturale prima di muovere critiche a Busi, senza se e senza ma. Se ha fatto qualche sbaglio, ci si ricordi che siamo tutti fallibili e si consideri anche tutte le giustificazioni. Lo scrittore è stato il primo nella letteratura del Novecento a denunciare il “sessualterrorismo”.
Vi pare poco? Soltanto per questo dovrebbe essere annoverato tra i grandi.
Aldo Busi e l’ostracismo artistico
Da dieci anni e anche più non vogliono Aldo Busi in tv.
Da anni si è autoesiliato. Ha scritto un libro di 850 pagine, Seminario sul postmortem, ma tutti gli editori che contano lo hanno rifiutato con scuse varie. Cosa pensare? Questo è ostracismo artistico. L’hanno voluta far pagare. Hanno aspettato che perdesse visibilità mediatica per vendicarsi.
Troppo scomodo! Forse è stato considerato una presenza troppo disturbante o forse solo pochi riescono a capire veramente la sua grandezza. Forse il suo grande estro non era capito nemmeno quarant’anni fa quando era all’apice; forse era stato solo sfruttato commercialmente perché ritenuto una gallina dalle uova d’oro. Forse nessuno ha mai capito Busi, nemmeno lo stesso Busi ha capito forse sé stesso. Ma al peggio non c’è mai fine.
Busi recentemente ha convocato i suoi eredi per lasciar loro l’ultimo libro. La loro risposta, mentre lo ha consegnato? Si è sentito rispondere: “Grazie zio, ma non lo vogliamo”.
Della scrittura e della voce di Busi l’Italia avrebbe ancora bisogno. Bisogna aspettare che uno muoia? Ma questa è l’Italia o, se preferite, l’Italietta.
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: Una riflessione sulla scrittura di Aldo Busi
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Autorizzati da Aldo Busi, e per conto dell’Archivio Busi di cui siamo depositari, interveniamo per rettificare alcune inesattezze riscontrate nel Suo testo.
1) L’affermazione “Da dieci anni e anche più non vogliono Aldo Busi in tv” non è corretta. Busi è costantemente corteggiato e blandito da trasmissioni televisive nazionali di prima serata e di grande audience. Se Busi non vi partecipa non è dunque perché non voluto ma perché le televisioni non riescono ad avere Busi a condizioni diverse da quelle stabilite da lui. Queste condizioni, ribadite in più di un’occasione e nelle sedi più svariate (basterebbe sfogliare il volume “E baci”, per esempio), dovrebbero essere ormai note: lo scrittore esige che gli venga corrisposto il cachet da lui richiesto. Stesso discorso vale per le interviste; da oltre dieci anni Busi non ne concede a testate televisive e della carta stampata, ma ciò non significa che i giornalisti non continuino a chiedergliene, tutt’altro.
2) A proposito di “Seminario sul postmortem”, il romanzo inedito di Busi, non è vero che “tutti gli editori che contano lo hanno rifiutato con scuse varie”. Busi ne ha messi alla prova diversi, per essere certo che la sua opera vada in mani capaci di difenderla, alla fine liquidandoli tutti perché da lui ritenuti indegni di pubblicarla.
3) Non risponde al vero che gli eredi di Busi abbiano respinto “Seminario sul postmortem”, che non hanno nemmeno letto. Semplicemente, essendo del tutto estranei al mondo dell’editoria, si sono dichiarati inabili a valutare la pubblicabilità del testo e a occuparsi dell’eventuale pubblicazione. È stato un gesto di delicatezza, questo, per evitare che la loro inesperienza dilati ulteriormente i tempi di uscita del romanzo.
4) È datata l’informazione reperibile in rete, e risalente a due anni e mezzo fa, secondo cui le pagine di “Seminario sul postmortem” ammonterebbero a 850: la foliazione del romanzo si è nel frattempo accresciuta, e di molto.
Grazie e cordiali saluti,
Marco Cavalli e Alessandro Zaltron, per conto dell’Archivio Busi