Ricordiamo Nazim Hikmet, il grande poeta turco, nel giorno della sua morte con la poesia Alla vita; un paradosso, soltanto apparente, che ben si addice alla sua poetica. Non ha certo la pretesa di insegnarci la vita Nazim Hikmet, per lui la poesia era un “modo di concepire”, come scrisse all’amica Joyce Lussu, colei che sarebbe stata la sua traduttrice italiana, la voce che oggi noi leggiamo.
Eppure i versi di Hikmet si fanno sempre specchio riflesso della vita, dipanandola come un gomitolo, dispiegandone il significato oscuro. È questo a rendere riposante il lirismo nostalgico del poeta turco, il fatto che, pur nel mezzo dell’orrore e dell’angoscia, seppe sempre tenere viva la fiamma della speranza. Alla vita fu scritta in carcere, nel 1948: un supremo atto d’amore, nato nel mezzo del buio più profondo. Noi non abbiamo vissuto ciò che ha patito Hikmet: noi che leggiamo non abbiamo patito le pene dell’esilio, né il carcere, la tortura, la lontananza senza ritorno, le persecuzioni di un regime che silenzia le voci dei poeti, ma i suoi versi ci parlano, forse perché sono la risposta che cerchiamo al nostro bisogno di consolazione.
Alla vita è un canto intessuto di gratitudine, intriso di forza morale: “La vita non è uno scherzo, prendila sul serio” scrive Hikmet, come un ammonimento, ma poi la sua voce si appiana in un racconto che ricorda una favola di Esopo pur proponendo, nel finale, una morale meno pretenziosa. Alla vita sembra un brindisi, con i calici alti levati e gli occhi inumiditi di lacrime per il troppo ridere, o per il troppo vino. Ebbrezza e disincanto sono i due poli entro cui si muove, con tutte le sue contraddizioni, il fragile equilibrio dell’esistenza.
Alla vita, titola Hikmet; una poesia che sembra una dedica al futuro. Ed è destinata a tutti noi che ora leggiamo con stupore, come se fosse la prima volta e, con identica meraviglia, sentiamo di essere vivi. Nazim Hikmet è stato spesso categorizzato come “poeta d’amore”: la sua raccolta più celebre in italiano, tradotta appunto da Joyce Lussu, riporta proprio questo titolo, Poesie d’amore (1963), ma basta leggere le sue poesie più belle, a partire da In questa notte d’autunno, per rendersi conto che tutta la scrittura di Hikmet è un inesausto canto all’umano.
Ciò che ci fa comprendere questo poeta turco, che trascorse i giorni migliori della sua vita nel buio di una cella, che dovette fuggire; che dovette lottare; che morì per un attacco di cuore il 3 giugno 1963 a Mosca, per sempre diviso dalla sua Turchia (come aveva anticipato in Angina Pectoris, Ndr), è l’impegno umano, civile, sociale, la bellezza e l’orrore di essere uomini. Per questo motivo leggere i versi di Alla vita è come una vertigine; nel finale sentiamo di essere tutti parte di qualcosa, grati, nonostante tutto, della nostra piccola parte di mortalità, consci dell’unicità irripetibile di “essere vivi”.
Scopriamo testo e analisi della poesia.
“Alla vita” di Nazim Hikmet: testo
La vita non è uno scherzo.
Prendila sul serio
come fa lo scoiattolo, ad esempio,
senza aspettarti nulla dal di fuori o nell’al di là.
Non avrai altro da fare che vivere.La vita non è uno scherzo.
Prendila sul serio
ma sul serio a tal punto
che messo contro un muro, ad esempio, le mani legate,
o dentro un laboratorio
col camice bianco e grandi occhiali,
tu muoia affinché vivano gli uomini
gli uomini di cui non conoscerai la faccia,
e morrai sapendo
che nulla è più bello, più vero della vita.Prendila sul serio
ma sul serio a tal punto
che a settant’anni, ad esempio, pianterai degli ulivi
non perché restino ai tuoi figli
ma perché non crederai alla morte
pur temendola,
e la vita peserà di più sulla bilancia.(Traduzione di Joyce Lussu)
“Alla vita” di Nazim Hikmet: analisi e commento
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I versi di Hikmet toccano la speranza come un mistero sacro, la sfiorano appena facendocene intravedere la luce. Forse proprio in questo risiede la loro forza: non pretendono di svelarci il mistero, restano in bilico nella zona d’ombra, tra il buio e la luce. Alla vita inizia come una raccomandazione, ma poi si scioglie in una promessa; come in un paradosso, donandoci piena coscienza della nostra mortalità ci fa sentire chiaramente quel palpito di “immortalità” che ciascuno di noi sconta vivendo.
Nel primo verso, per spiegare il senso della vita, Hikmet si rifà alla natura utilizzando la metafora dello scoiattolo, un animaletto vispo e curioso che vive ogni giorno senza aspettarsi nulla se non il semplice fatto di esistere. Nella parte centrale - con il consueto passaggio dalla luce all’ombra - il poeta turco ci mostra la dura vita degli uomini: incarcerati, torturati, offesi e non redenti. Gli uomini che sono in grado di morire per delle idee, sapendo che queste ultime in un futuro cammineranno sulle gambe di altri uomini. La vita è così vera, così unica nella consapevolezza umana, che non conosce mai davvero - almeno a livello intellettivo, vitale - il suo opposto, ovvero la morte.
Dopo un susseguirsi di negazioni, “non è uno scherzo” ripetuto da Hikmet per due strofe, l’autore passa all’imperativo consegnandoci la sua rivelazione. Ancora una volta si serve della metafora del mondo naturale: un ulivo, nella poesia di Hikmet, diventa l’emblema della forza vitale che è eterna come il tempo, come la memoria. Ogni uomo, ci dice l’autore turco, nella sua vita fa crescere un grande giardino, non per i suoi figli, ma per gli uomini che verranno, per gli eredi dell’umanità. Attraverso questo finale il poeta ci sta dicendo, in chiave puramente laica, che ogni esistenza in sé è parte di un disegno più grande. Questi versi saranno ripresi dal cantautore Roberto Vecchioni nel testo di Sogna ragazzo sogna, con un significato analogo:
La vita è così grande
Che quando sarai sul punto di morire
Pianterai un ulivo
Convinto ancora di vederlo fiorire
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Questo dopotutto è il compito dei poeti, “naviganti infiniti che sanno parlare con il cielo”, insegnarci che la vita vince, sempre. E finché c’è la parola, non esiste morte. Nei versi della sua Autobiografia poetica, Hikmet scrisse:
Posso dire di aver vissuto/da uomo/ e quanto vivrò ancora/ e quanto vedrò ancora/chi sa.
Il suo cuore oggi palpita ancora “come la stella più lontana”, come aveva profetizzato in Angina Pectoris, getta una luce vibrante, retroattiva, sulle nostre vite. Nazim Hikmet ci ha insegnato cosa vuol dire essere uomini - senza pretese assolute di verità - semplicemente facendoci sentire parte di qualcosa di più grande, di impalpabile, donando alla mortalità un’accezione che va oltre le categorie di tempo e spazio. Hikmet ha scritto Alla vita, come di qualcosa che non muore.
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: “Alla vita” di Nazim Hikmet: una poesia salvifica
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