Se vogliamo capire che cos’è il cinismo e quali sono le radici profonde di questo atteggiamento oggi molto comune, scopriamo insieme il pensiero di Antistene, il fondatore del cinismo che, al di là del significato comune di questo termine, è stato anche uno specifico movimento filosofico. Antistene è infatti colui che dà inizio alla scuola cinica, di solito ritenuta una scuola socratica, sia per ragioni cronologiche sia perché accentua alcuni aspetti del pensiero di Socrate, anche se da altri viene classificata come una scuola ellenistica, perché meno interessata alle questioni politiche e alla vita associata e più attenta alla dimensione individuale, all’etica e al comportamento del singolo. Il pensiero di Antistene ci permette di scoprire le origini di un atteggiamento verso la vita e verso gli altri oggi molto diffuso nelle società occidentali.
Chi era Antistene, fondatore del cinismo
Vissuto tra il V e il IV secolo a.C. (per alcuni tra il 436 e il 366 a.C., anche se le date sono incerte) Antistene nacque ad Atene, figlio di un ateniese e di una schiava tracia. Non era, quindi, a tutti gli effetti un cittadino ateniese e non poteva godere a pieno dei diritti politici.
Si interessò alla filosofia fin da giovane: prima seguì le lezioni del sofista Gorgia da Lentini, poi divenne uno degli allievi più fedeli di Socrate. Dalle testimonianze del biografo Diogene Laerzio sappiamo che era molto legato al maestro, non lo lasciava mai, fu presente anche al momento della sua morte (avvenuta nel 399 a.C.) e fu l’unico dei discepoli a non abbandonare Atene dopo questo tragico evento.
Di carattere insofferente e di spirito sarcastico e pungente Antistene si scagliava volentieri contro Platone, che considerava troppo orgoglioso, e anche la scuola da lui fondata si contrappose chiaramente all’Accademia.
Perché la scuola di Antistene fu chiamata cinica?
Antistene tenne le sue lezioni nel ginnasio ateniese del Cinosarge dove era accettati anche coloro che, come Antistene stesso, non erano cittadini di Atene a pieno titolo, perché figli illegittimi o figli di madre non ateniese.
Il nome Cinosarge che significa “cane agile” si comprende meglio attraverso una leggenda secondo cui, mentre Didimo stava per compiere un sacrificio, un cane saltò fuori e gli rubò l’offerta; un oracolo poi disse a Didimo di erigere un tempio dedicato ad Eracle, nel punto in cui il cane aveva abbandonato l’offerta. Vicino al tempio, appena fuori le mura di Atene, sorse poi il ginnasio ossia la scuola dove, appunto, Antistene insegnava. La scuola di Antistene potrebbe essere stata chiamata “cinica” (da kyon-kynós = cane) proprio per questo motivo oppure per una forte analogia tra la vita del cane, specie randagio, e il modello etico che Antistene e il suo discepolo Diogene di Sinope proponevano.
Le opere di Antistene
Diogene Laerzio racconta che Antistene fu autore di opere in dieci volumi delle quali però sono sopravvissuti solo alcuni frammenti, oltre a due orazioni minori, Aiace e Odisseo, di attribuzione incerta.
Come Platone, utilizzò la forma del dialogo col quale rivolse sferzanti attacchi, infarciti di giochi di parole, ad Alcibiade, a Gorgia e allo stesso Platone. Altre testimonianze lodano Antistene per lo stile e l’originalità e affermano che nelle sue riflessioni spiccavano più l’intelligenza e il sarcasmo che la profondità della cultura.
Il pensiero filosofico di Antistene
Quando oggi diciamo che una persona è cinica intendiamo che è distaccata e talvolta insensibile, che non si lascia facilmente influenzare dalla morale comune. Tali atteggiamenti si ritrovano, almeno vagamente, anche nella visione etica di Antistene e di altri filosofi cinici che predicavano, appunto, l’opportunità di vivere come cani. Perché?
Antistene riprende dal maestro Socrate l’eudaimonismo etico, ossia la convinzione che la virtù, il valore di una persona, ciò che lo rende buono, quindi, in buona sostanza, il bene coincida con la felicità e del maestro ammira gli straordinari tratti caratteriali: il bastare a sé stessi, l’autocontrollo e la sopportazione delle fatiche, la forza d’animo.
Come si arriva allora alla felicità che è anche il bene? Il saggio per Antistene deve rifiutare le ricchezze, il potere, la vita agiata e comoda, deve fuggire le passioni perché la felicità deriva soprattutto dalla capacità di contenersi ed evitare i piaceri terreni. Non solo, per Antistene è da rifiutare anche tutto ciò che è umano e non naturale, come ad esempio il denaro, la fama, la bellezza degli oggetti fisici (la bellezza di una casa o di un abito). Ciò perché bisogna perseguire un contatto più diretto con la natura, una comunione con essa che ci renda sobri come gli animali, indipendenti e parsimoniosi come i primitivi.
Il saggio arriva alla felicità anche attraverso l’autárkeia, la capacità di bastare a sé stessi, di essere autosufficienti, proprio come gli animali randagi, che si accontentano di poco, hanno pochi desideri e non necessitano di nessuno per sopravvivere e per ben vivere.
Non solo, l’autodominio di Socrate, ossia la capacità di dominare piaceri e dolori viene radicalizzata da Antistene: se per il maestro il piacere non era né bene né male, per il discepolo è sicuramente un male perché la vera felicità si ottiene con una vita parca e misurata, dove si rinuncia a desideri e piaceri inutili, compreso l’amore. Il dolore e la sofferenza, invece, per i cinici esistono veramente ma derivano sempre dal fatto che non capiamo bene come vivere, non sappiamo orientarci nella vita morale, spesso facciamo quello che fanno gli altri e ci perdiamo nella ricerca di falsi beni che non possiamo mai raggiungere.
L’etica cinica, quindi, porta con sé un messaggio profondamente individualistico, e anche antipolitico, perché Antistene invita a non rispettare le leggi della città ma solo la legge della virtù. È anche un ideale di vita che presuppone un continuo sforzo e una costante fatica nel rifiuto di piaceri e impulsi e nel disprezzo della fama, della ricchezza e perfino dei rapporti con gli altri. Tale fatica è per Antistene strettamente connessa al bene e alla virtù e rende il suo messaggio profondamente anticonformista perché assegna grande dignità a ciò che la maggior parte degli uomini rifuggono.
Il punto d’arrivo di questa visione è la capacità di essere impassibili di fronte alla vita, per Antistene dobbiamo far sì che gli altri non ci tocchino, non ci danneggino: il cinico deve essere insensibile ai fattori esterni (da qui il significato attuale del termine). Solo con questa impassibilità l’uomo riesce ad essere completamente libero nei confronti della vita: è una condizione difficilmente raggiungibile perché spesso valutiamo le conseguenze delle nostre azioni e preferiamo tacere mentre invece, secondo i cinici, dovremmo praticare una schiettezza estrema nel parlare (parresia) senza aver paura di offendere o delle ritorsioni altrui. Chi sa rinunciare a tutto, d’altra parte, non deve temere nulla.
Si tratta di un ideale di vita anche ascetico dove l’uomo è capace di spogliarsi di tutto, di rinunciare a tutto: il saggio cinico sa vivere senza avere niente, con il minimo indispensabile, e rifiuta le convenzioni e le usanze comuni senza vergogna; per lui, solo così si riesce ad essere completamente liberi e, quindi, felici.
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: Antistene: vita e pensiero del filosofo fondatore del cinismo
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