Arduino e la marca di Eporeia
- Autore: Davide Polcari
- Genere: Romanzi e saggi storici
- Categoria: Narrativa Italiana
- Anno di pubblicazione: 2024
Arduino d’Ivrea re d’Italia: così c’insegnavano alle elementari, ma il racconto in questo libro si ferma prima del Mille, quando nemmeno è diventato marchese. L’ho tra le mani e mi colpiscono alcuni aspetti e curiosità. Innanzitutto, è insolitamente voluminoso, per essere un romanzo storico. Impegna ben 548 pagine, Arduino e la marca di Eporeia di Davide Polcari, pubblicato dall’Editrice Tipografia Baima-Ronchetti di Castellamonte-Torino, nella collana Biblioteca degli scrittori piemontesi. Un lavoro riuscito: prima uscita maggio 2024 e, se non nuove edizioni, ci sono state altre ristampe.
La narrativa storica si attesta in genere sulle 300 pagine o poco più. Testi più ampi se li concede la saggistica: articolare tesi e contestare antitesi pretende spazio. Sicchè, se in questo caso le pagine si sono moltiplicate si deve all’inclinazione dell’autore per la ricerca storica, in particolare al suo interesse per il Medioevo, alto e basso, italico ed europeo. Eventi e protagonisti veri assecondano un racconto che propone anche personaggi non esistiti e vicende di fantasia.
Eporediese d’adozione dall’infanzia, ispettore in un istituto bancario a Biella, il quarantacinquenne Polcari conduce un’intensa attività di ricerca e saggistica su Facebook, dove gestisce una pagina, Feudalesimo, con quasi 57 mila follower, oltre 165 mila iscritti e il 98% di valutazioni positive, “rivista" di storia medievale con puntate occasionali su quella moderna e rare sull’antica. Punta alla divulgazione di qualità, favorendo l’incontro di interessi e stimolando con poche informazioni la voglia di approfondire dei lettori.
Racconto la storia medievale, pubblicando oltre mille articoli l’anno insieme a validi collaboratori.
In un’intervista sulla stampa locale canavese ha precisato che quello su Arduino è il romanzo d’esordio, non potendo considerare testi scritti in età verde e smarriti. Nasce anche questo da lontano: fin dai tempi del liceo maturava l’idea di scoprire e raccontare storie importanti del territorio. Ivrea è ovviamente Arduino, per quanto venga seguito negli anni giovanili con altri due protagonisti, una ragazza, Anna, contadina e orfana per una strage e un chierico, Ansprando, bibliotecario del vescovo Warmondo di Eporeia e già confessore del re d’Italia Berengario II. Da un eremita ha ricevuto una profezia su Arduino:
il destino di questo fanciullo si compirà sotto il profilo dormiente di due donne, una lo tenterà, una lo accudirà.
Aprendo il volume, colpisce l’elenco alfabetico dei personaggi, ben sei pagine fitte di nomi e relativi brevi profili biografici, a conferma che il taglio narrativo è la veste scelta per raccontare la storia del Marchesato eporediese con un respiro ampio.
A proposito, Ivrea era Eporedia o Eporeia? Entrambe, perchè derivano da variazioni di grafia negli annali; vi si trova finanche Eporegia. Nascono dalla denominazione romana della prima colonia nel Piemonte occidentale: Eporedia. A detta di Plinio, i Galli chiamavano Eporedias gli abitanti della zona, dediti all’allevamento equino, dal gallico epo, cavallo, legato a reda, carro.
Quasi 650 pagine e nemmeno vi si legge tutta la storia di Arduino, perché si ferma all’investitura della Marca d’Ivrea, prima del Mille. Lo stesso autore osserva che, nel periodo narrato, il rampollo d’Ivrea era sconosciuto e le prime notizie su di lui risalgono all’investitura come marchese. Le fonti coeve lo dicono figlio di Dadone, milanese o conte di Pombia. Gli storici lo considerano un uomo nuovo, premiato per la fedeltà e non per ragioni di sangue, come si voleva fino a pochi decenni fa. L’origine seguita nel romanzo è però quella delle radici nobiliari - per quanto mitizzata dai discendenti allo scopo di legittimare le proprie ambizioni - immaginando che Dadone fosse un fratello minore di re Berengario e quindi Arduino cugino del marchese Corrado.
Dal momento che il contesto del romanzo precede interamente il periodo dell’Arduino noto, Davide Polcari propone un personaggio di fantasia, per quanto abbia cercato di renderlo “il più verosimile possibile”, conoscendo le vicende autentiche successive. Necessariamente romanzati gli altri personaggi istituzionali (vescovi, abati, imperatori, re, marchesi) e tutti immaginari quelli di contorno.
Quanto alle basi storiche, il ruolo dei Signori di Ivrea è chiarito da Polcari in appendice. Dopo la morte di Berengario I (marchese del Friuli, re d’Italia, imperatore dei Romani), gli anscarici (dal nobile franco Anscario, primo reggente della Marca fino all’891) erano stati arbitri delle lotte per il trono d’Italia. All’improvvisa e sospetta scomparsa del giovane re Lotario II (950), si erano impossessati della corona e da marchese d’Ivrea Berengario II era diventato monarca. Se pure era stato un aristocratico potente, risultò un sovrano debole, minato come i predecessori dall’instabilità dei vassalli. Provò a far sposare al figlio Adalberto la vedova di Lotario, che rifiutò le nozze e preferì il re tedesco, Ottone I, presso il quale riuscì a fuggire. Proprio in virtù del matrimonio con Adelaide, il sassone reclamò pretese ereditarie sull’Italia, ottenendo la sottomissione di Berengario II (952), poi deponendolo e assumendo tanto la corona d’Italia che quella imperiale (962), infine sconfiggendolo e deportandolo in Germania (964).
Ottone si dimostrò un regnante forte, ma nel controllo non si rivelò più efficace degli altri re feudali. In più, i vescovi, già esercitando un potere spirituale nelle diocesi, ambivano ad assumere anche l’autorità territoriale, rappresentando famiglie influenti e facendosi carico di funzioni politiche, specialmente urbane. Il tedesco ritenne di fondare il potere sul clero ordinale, per creare una base di consenso ed evitare casi di successione dinastica in capo a grandi vassalli. Ravvivò così il conflitto per le investiture, tra i vertici del clero e i nobili laici.
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