“Je suis un petit bateau ivre”, così si descrisse poeticamente Arthur Rimbaud: “sono un piccolo battello ubriaco”. Mai definizione fu più esatta per cogliere l’essenza del poeta maledetto, autentico enfant prodige della letteratura francese che scrisse la sua poesia capolavoro, Le bateau ivre per l’appunto, a soli diciassette anni.
Le poche fotografie sgranate in bianco e nero lo ritraggono con i capelli perennemente arruffati, lo sguardo accigliato e pensoso dall’aria vagamente contrita; ha il volto magro e imberbe, un abbigliamento ordinato da scolaro, appare come un eterno ragazzo e tale sarebbe rimasto; per sempre giovane. La vita non l’avrebbe mai costretto a crescere davvero, morì a soli trentasette anni.
Arthur Rimbaud nasceva a Charleville, nelle Ardenne, il 20 ottobre 1854. Insieme Paul Verlaine fu tra i più celebri esponenti dei “poètes maudits”, la generazione ribelle della poesia ottocentesca che trovarono la scintilla della propria ispirazione nella Parigi bohémienne dove si beveva l’assenzio nel chiaroscuro dei locali fumosi nell’“ora verde” della Ville Lumière. L’assenzio, chiamato anche la “Fata Verde”, era considerato alla stregua di una Musa ispiratrice; lo stesso Rimbaud, che era solito comporre i suoi versi sotto l’effetto alcolico, lo definì “la salvia dei ghiacciai”.
Arthur Rimbaud: la vita
Arthur Rimbaud nacque in un paesino provinciale delle Ardenne francesi. Visse l’infanzia e la giovinezza solo con la madre, una donna cattolica e molto autoritaria; il padre aveva abbandonato la famiglia quando lui aveva soli sei anni. Era un bambino educato, intelligente e studioso; ma dentro di lui covava una strana inquietudine. Nell’adolescenza quel bambino tranquillo si trasformò in un ragazzo ribelle: iniziava a sentirsi soffocare nel conformismo della vita di provincia e a nutrire segreti desideri di fuga.
Era già una penna brillante, un enfant prodige, nel 1869 grazie ai suoi scritti vinse il primo premio al Concours académique.
La sua anima anelava alla libertà e così ben presto, a soli sedici anni, Rimbaud fuggì dalla sua cittadina natale dal nome melodioso, Charleville, e iniziò una vita da girovago. Divenne amico di un giovane insegnante ventunenne, Georges Izambard, che gli fece conoscere Baudelaire. Izambard era stato professore di liceo di Rimbaud ed era rimasto incantato dal suo poema Les Etrennes des orphelins, cogliendo subito il talento del giovane poeta.
In questo periodo Rimbaud iniziò a leggere molto e a vagare tra la Francia e il Belgio. A Parigi aderì alla rivolta politica al fianco degli operai, condivideva con loro la speranza in una società diversa, più libera ed egualitaria. Il desiderio di cambiare il mondo e la società si rifletteva nella sua poesia. Rimbaud scriveva febbrilmente, aveva una sconfinata immaginazione: la sua rivolta poetica era una conseguenza della sua smania di rivoluzione. A soli diciassette anni scrisse quelli che sono ritenuti i suoi capolavori, Le bateau ivre (Il battello ubriaco) e La lettre du voyant (La lettera del veggente). La poesia di Rimbaud era un continuo contatto con l’invisibile, credeva che al poeta spettasse il compito di elevarsi al di sopra della mediocrità, della vita dell’uomo comune, e che in fondo il ruolo del poeta non fosse dissimile da quello del veggente. E sosteneva che il poeta, proprio come un moderno Prometeo, dovesse portare la luce agli altri uomini che vivevano nel buio.
Il Poeta si fa veggente attraverso un lungo, immenso e ragionato sregolarsi di tutti i sensi.
L’incontro con Paul Verlaine
A Parigi Rimbaud conobbe il poeta Paul Verlaine, un incontro dettato dal destino che rischiò di essergli fatale. Verlaine aveva letto i suoi versi ed era rimasto stregato dal talento del giovane poeta, soprattutto da quella poesia così incisiva e al contempo sognante: Le bateau ivre. Lo aveva invitato a Parigi, scrivendogli una lettera: “Venez, chère grande âme, on vous appelle, on vous attend”, lo definiva proprio così “una cara grande anima”.
L’incontro avvenne 24 settembre 1871; all’epoca Rimbaud aveva diciassette anni, mentre Verlaine ventisette ed era sposato con Mathilde, aveva un figlio di nove mesi e beveva già fin troppo. Iniziò così una delle relazioni più tumultuose della storia della letteratura. I due furono d’ispirazione l’uno per l’altro, vissero insieme, scrissero insieme e cercarono di uccidersi a vicenda.
Era un’autentica fusione di corpi e di anime, ma anche una vera e propria relazione infernale. Rimbaud pugnalò Verlaine con cinque coltellate, lasciandolo ferito a una coscia e alla mano; un paio di anni dopo invece fu Paul Verlaine a sparare un colpo di pistola che rischiò di uccidere Rimbaud.
Era il luglio del 1873, a Bruxelles; la furibonda lite costò il carcere a tutti e due. Verlaine, in seguito al fatto, sarebbe rimasto in prigione fino al 16 gennaio 1875. La loro tormentosa relazione finì così, con uno sparo. Verlaine aveva sparato per impedirgli di andarsene; ma dopo quel colpo di pistola esploso nella placida sera di Bruxelles davvero non si rividero mai più.
Arthur Rimbaud, il poeta veggente
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Rimbaud continuò i suoi viaggi, la sua vita girovaga all’insegna della libertà. Non a caso Verlaine lo aveva definito "l’homme aux semelles de vent", l’uomo dalle suole di vento, proprio per la sua attitudine innata al vagabondaggio solitario.
In seguito avrebbe abbandonato la poesia e lavorato come scaricatore di porto, operaio, insegnante, commerciante mercenario; perfino come tuttofare in un circo.
Dopo la fuga dal Belgio scrisse la raccolta Une saison en enfer (Una stagione all’inferno), ritenuta uno dei suoi capolavori. Ne inviò una copia a Verlaine, che ancora si trovava in carcere, con una dedica scabra e lapidaria che non diceva niente, o forse diceva tutto: “A P. Verlaine”.
Rimbaud visse a lungo in Africa. Nel 1880 divenne direttore di una stazione commerciale in Abissinia. Nel 1886-87 si dedicò al commercio di armi, forse nella speranza di arricchirsi; ma l’impresa si rivelò un totale fallimento. Iniziò poi a soffrire di forti di dolori al ginocchio che gli impedirono di camminare e fu così rimpatriato in Francia.
Sarebbe morto di cancro a Marsiglia il 10 novembre 1891, a soli trentasette anni, sofferente dopo l’amputazione della gamba destra che tuttavia non fu sufficiente a salvarlo. Verlaine l’avrebbe seguito appena cinque anni dopo, ponendo fine a una vita vagabonda e dissoluta, in preda all’alcol e all’inquietudine, nel gennaio 1897. Su di loro continua ad aleggiare incontrastato il nome di “poètes maudits”, ormai una sorta di aureola oscura che li definisce come i “poeti maledetti” della letteratura francese.
Arthur Rimbaud: la canzone di Roberto Vecchioni
Alla vita tormentata e avventurosa di Arthur Rimbaud ha dedicato una bellissima canzone il professore Roberto Vecchioni.
Nel suo canto malinconico Vecchioni dà voce al poeta, lo immagina mentre narra la propria breve esistenza dall’infanzia all’incontro con Verlaine, sino al tragico epilogo quando vede in lontananza le “luci di Marsiglia”, presagio della fine.
Ho visto tutto e cosa so,
ho rinunciato, ho detto “no”,
ricordo a malapena quale nome ho:
Arthur Rimbaud, Arthur Rimbaud
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: Chi era Arthur Rimbaud, l’enfant prodige della letteratura francese
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