La volpe e l’uva, La cicala e la formica, La lepre e la tartaruga, Il topo di campagna e il topo di città: ecco solo alcune delle più celebri favole di Esopo, bagaglio imprescindibile dell’infanzia, una narrazione inconfondibile e caratteristica che ha accompagnato intere generazioni verso l’età adulta divenendo un fondamento educativo importante.
Cos’è la morale, diciamolo, l’abbiamo imparato tutti grazie a Esopo. Gli animali parlanti protagonisti delle sue storie ancora oggi ci appaiono più veri del vero, sono figure imprescindibili, autentici numi tutelari, popolano quel mondo fantastico e fatato che ha gettato le basi dell’immaginazione intessendo mirabilmente quella bella arte che è il raccontare storie. Le favole di Esopo non sono semplici racconti, hanno avuto il merito - indiscusso - di fondare un immaginario.
Sono favole antiche, ma non sembrano essere invecchiate di un giorno, si adattano perfettamente al lessico familiare dell’infanzia e hanno un effetto duraturo ed efficace, come accade con tutte le lezioni apprese in tenera età quando ancora non vi era vera coscienza di apprendere, ma solo puro e ingenuo stupore.
Chi è Esopo? Da bambini questa curiosità è presto soddisfatta: è l’autore greco delle favole. Ci basta questo, non chiediamo nulla di più: le ha scritte lui le favole è certo, del resto la risposta è sufficiente alla scuola elementare per prendere un bel voto e far contenta la maestra. Chi ha scritto La volpe e l’uva?
Alzare la mano e dire “Esopo”, se proprio si vuole eccellere si può aggiungere che è “un autore greco antico” e allora dieci e lode e bravissima. Però, c’è un però, chissà perché ci sono domande che poi smettiamo di porci quando, una volta cresciuti, le definizioni si fanno più ingarbugliate. Ecco che, in età adulta, la risposta da dieci e lode non ci basta più ed ecco che si insinua il dubbio, dal momento che ormai abbiamo smesso di “credere alle favole”. Dunque ecco che alla domanda: Chi è Esopo? si sostituisce la curiosità più impertinente: Ma è davvero esistito Esopo?.
Perché oltre alla celeberrima questione omerica comincia a farsi strada anche la questione “esopica”. C’è chi narra infatti che Esopo fosse uno schiavo etiope - da qui l’origine del nome - e chi pensa invece che non sia mai esistito, proprio come Omero.
Dunque, dove sta la verità? Scopriamo la sua storia.
Esopo: vita, opere e pensiero
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Alcune delle biografie meno approfondite e più blande, poste a coronamento delle sue Favole, ci presentano sommariamente Esopo come “scrittore greco arcaico” vissuto tra il 620 a.C. e il 560 a.C, noto come il più grande autore di favole dell’antichità.
La verità è che il nome di Esopo - proprio come quello di Omero - è ammantato da un alone leggendario. Le narrazioni su di lui si moltiplicano e, come accade sovente con gli autori molto antichi, si contraddicono tra loro al punto da far sospettare che forse il mitico “favolista greco” non sia mai esistito veramente, ma il suo nome sia un’invenzione utile nata per accorpare un vasto corpus narrativo di favole origine orale.
Si narra che sia vissuto attorno al VI secolo a.C. Di lui Plutarco nelle sue Vite di grandi greci ci dice che fosse uno schiavo di origine Frigia (l’attuale Turchia), affetto da una grave forma di balbuzie (cosa alquanto improbabile date le sue doti di oratore, che tuttavia coincide con la necessità di una caratteristica propria e specifica, come la cecità di Omero).
Le narrazioni pervenuteci su Esopo non sono particolarmente indulgenti riguardo al suo aspetto: balbuziente, gobbo, brutto “con la testa sporgente e il naso schiacciato”, storpio e con i piedi piatti, forse addirittura muto, il pover’uomo sembra essere affetto da tutte le più terribili tare fisiche - e non solo. Pare che, proprio come la morale, delle favole, questa narrazione spietata sul suo conto fosse necessaria a dimostrare che, dietro l’aspetto umile e insignificante, si nascondesse un grande e acuto ingegno. Dunque, proprio come insegnano le favole: “Mai fidarsi delle apparenze”. La biografia favolistica di Esopo sembra perdere ogni connotato di realtà e sconfinare, sempre più, nel mondo dell’immaginazione, ma proprio come le sue storie mantiene ferme le sue caratteristiche pedagogiche.
Aristofane è l’unico a parlarci della sua morte nella commedia Le Vespe, rappresentata per la prima volta ad Atene nel 422 a.C.
Secondo il commediografo greco, Esopo fu ucciso dagli abitanti di Delfi rivoltatisi contro di lui presi dall’ira per le accuse di corruzione che aveva rivolto alla città e ai suoi sacerdoti.
Molte leggende fiorite sul conto di Esopo pervengono tutte alla stessa conclusione: dopo aver ottenuto la libertà dalla schiavitù, viaggiò per tutto l’Oriente sino a portare le sue favole alla corte del re Creso in Lidia e, infine, morì a Delfi ucciso nel corso di un’insurrezione popolare. Un’ultima leggenda narra che il dio Apollo ne avrebbe vendicato la morte scatenando un’epidemia sulla città di Delfi.
Il “Romanzo” di Esopo o “Vita Aesopi”
La vita di Esopo è, in definitiva, più “favolosa” delle sue stesse favole ed è stata inequivocabilmente romanzata, come testimonia anche il Romanzo di Esopo (in latino Vita Aesopi), uno scritto risalente forse al V secolo a.C. Gli studiosi hanno ravvisato in questo testo, considerato la biografia di Esopo, il rifacimento in chiave greca di un testo medio-orientale scritto originariamente in aramaico e denominato Storia di Ahikar. La riscrittura di quell’opera avrebbe dato origine alla leggendaria biografia dell’autore greco.
In quel testo si racconta che Esopo, nato balbuziente, ottenne il dono della parola come ricompensa divina direttamente dalla dea Iside che volle ricompensarlo per aver aiutato, attraverso il suo ingegno, gli altri schiavi suoi compagni di sventura. In seguito l’uomo venne liberato, sempre grazie alla sua astuzia, e iniziò a viaggiare per tutto l’Oriente dove era accolto nelle corti dei più grandi re grazie alla sua saggezza e alla sua abilità nello sciogliere enigmi. Pare che fosse venerato al pari di un oracolo e che le sue narrazioni moraleggianti fossero tenute in gran conto, persino dai sacerdoti.
Furono, però, sempre le “favole” a decretare la sua fine. Proprio a causa di quanto aveva scritto, favole che insinuavano la disonestà e la corruzione degli abitanti di Delfi, fu punito dai cittadini che si ribellarono gettandolo giù da una rupe.
Secondo la versione di Plutarco si tratta della rupe Hyampeia; mentre altre narrazioni alludono alle rupi dalle quali sgorga la fonte Castalia.
La fama di Esopo dunque si propagò sull’onda di queste leggende, ma è probabile, secondo gli studiosi, che si trattasse di un personaggio leggendario e simbolico creato per incarnare la saggezza popolare diffusa attraverso i racconti.
Esopo e la morale: una funzione allegorica
L’unica certezza rimane, in definitiva, il corpus di favole: se ne contano oltre 500 e, sia nel mondo greco che in quello romano, rappresentarono un autentico fondamento pedagogico utile per l’insegnamento scolastico. Intere generazioni di scolari, nell’antichità, si formarono sulla lettura della sua opera. In seguito l’opera esopica sarebbe stata tradotta in latino da Fedro che riadattò le favole scrivendole in versi senari per dare loro maggiore dignità letteraria, ma mantenendone intatta l’essenza, il valore metaforico e, soprattutto, la chiarezza morale.
Oggi è ritenuto il “favolista principe”: eppure tutto lascia intuire che il corpus originale della sua tradizione letteraria fosse orale e non scritto.
Esopo, nel mondo classico (e non solo), rappresentava un fondamento culturale imprescindibile, insieme all’Iliade e all’Odissea di Omero. E, proprio al pari di Omero, oggi si mette in dubbio la sua esistenza.
Le favole di Esopo erano portatrici di una saggezza popolare e di un insieme di insegnamenti virtuosi validi per gli uomini di ogni tempo. I protagonisti erano animali parlanti, ma anche piante, fenomeni naturali e oggetti inanimati che svolgevano una funzione allegorica: lo scopo finale di ogni storia, tra l’altro molto breve, era quello di mostrare una caratteristica tipica degli esseri umani o un aspetto peculiare della vita o delle relazioni sociali. Lo scopo finale della favola era quella di offrire una norma di comportamento: la letteratura, in quest’ottica, aveva un ruolo di regolamentazione sociale, promuoveva la virtù e condannava i vizi e i soprusi.
La leggenda di Esopo schiavo virtuoso, poi liberato grazie a un dono, risponde curiosamente proprio all’esigenza pedagogica delle sue famose favole.
Quello di Esopo, ora possiamo dirlo, è stato a tutti gli effetti il primo “viaggio dell’eroe” archetipico di cui la letteratura serbi memoria.
Le più celebri favole di Esopo
Tra le più celebri favole di Esopo ricordiamo in particolare quelle che hanno per protagonisti gli animali, note per la loro forza simbolica. Ogni animale viene infatti a incarnare una particolare caratteristica umana (ad esempio, la volpe incarna l’astuzia; la formica la laboriosità; il lupo l’avidità, il leone la forza, eccetera).
Nelle versioni più recenti ogni favola era accompagnata da una massima finale, che ne conteneva la morale.
- La volpe e l’uva;
- La cicala e la formica;
- Al lupo! Al lupo!;
- Il leone e il topo;
- La lepre e la tartaruga;
- Il topo di città e il topo di campagna;
- La volpe con la pancia piena;
- Il lupo ferito e la pecora;
- La gallina dalle uova d’oro.
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: Chi era Esopo? Vita e opere dell’autore delle “Favole”
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