Particolare di una mummia al Vaticano, Museo Gregoriano Egizio; CC-BY-SA-3.0, © Dguendel, via Wikimedia Commons
In occasione dell’anniversario della morte della poetessa Cristina Campo, avvenuta il 10 gennaio 1977, riscopriamo Moriremo lontani, una delle prime poesie dell’autrice, che, muovendo da un’occasione estemporanea, canta l’impossibilità di un amore giovanile.
Moriremo lontani è la seconda delle undici poesie di Passo d’addio, la raccolta d’esordio che l’autrice pubblica con l’editore Vanni Scheiwiller e che, poi, confluirà in La tigre Assenza. Si tratta di componimenti realizzati tra il 1954 e il 1955 quando Cristina Campo (pseudonimo di Vittoria Guerrini), poco più che trentenne, era già conosciuta come fine traduttrice (in particolare di Hugo von Hofmannsthal, Katherine Mansfield e Simone Weil) e come critica (suoi interventi erano apparsi sulle riviste letterarie Paragone, La Chimera e L’Approdo).
Scopriamo allora insieme il testo e il significato di Moriremo lontani di Cristina Campo.
“Moriremo lontani” di Cristina Campo: il testo
Moriremo lontani. Sarà molto
se poserò la guancia nel tuo palmo
a Capodanno; se nel mio la traccia
contemplerai di un’altra migrazione.Dell’anima ben poco
sappiamo. Berrà forse dai bacini
delle concave notti senza passi,
poserà sotto aeree piantagioni
germinate dai sassi…O signore e fratello! ma di noi
sopra una sola teca di cristallo
popoli studiosi scriveranno
forse, tra mille inverni:«nessun vincolo univa questi morti
nella necropoli deserta»
Analisi e significato di “Moriremo lontani” di Cristina Campo
Con questa lirica delicata la poetessa si congeda malinconicamente da un legame sentimentale per avviare un nuovo percorso, che dischiude la possibilità di un amore che non trova più corrispondenza nell’umano e si volge, quindi, a quel mondo altro dal quale lei stessa diceva di venire.
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Ciò è ben testimoniato anche dal titolo della raccolta in cui Moriremo lontani è inizialmente inserita: Passo d’addio, l’ultimo passo che una danzatrice disegna prima di lasciare il corso accademico, momento che segna la chiusura di una fase della vita e l’approssimarsi di una nuova stagione.
In questo commiato poetico, Cristina Campo abbandona progressivamente l’interlocuzione per dedicarsi alla contemplazione della sua solitaria interiorità, condizione indispensabile per l’incontro mistico con Dio che si farà sempre più patente nei componimenti successivi.
Composta con ogni probabilità nel 1955, quando la scrittrice era già giunta a Roma, al seguito del padre, Moriremo lontani può essere meglio compresa se consideriamo le parole coeve che Cristina Campo indirizza all’amica e poetessa greca Margherita Dalmati, in due lettere. Nella prima, dell’estate dello stesso anno, osserva:
“Se ti capita di trovarti nei Musei Vaticani, vedrai nella sala egizia una custodia di vetro con dentro i corpi di due bellissimi giovani. E sopra quella coppia millenaria, che è l’immagine stessa dell’amore, c’è il cartello: «Non erano uniti da alcun vincolo familiare»”.
Dopo un anno, quando torna a far visita ai due amanti, Campo si trova di fronte una deludente novità: le statue sono ora posizionate in due teche differenti, separate:
“Ora le teche sono due! A vederle il mio cuore si è diviso con loro… Nel Moriremo almeno, sono uniti per sempre”
È in quest’ultima citazione la chiave di lettura del nostro componimento: Cristina Campo prende spunto da un’occasione concreta, una visita ai Musei Vaticani, dove rimane incantata da una rappresentazione plastica dell’eternità dell’amore e, poi, turbata dalla separazione dei due amanti, per alludere al sentimento interiore che la anima in quel momento. La collocazione dei due bellissimi giovani in due teche diverse diviene simbolo dell’intima sensibilità della poetessa, è un presagio della separazione da un non meglio precisato signore e fratello, dietro al quale, con ogni probabilità, si cela il poeta Mario Luzi che Campo aveva conosciuto e frequentato durante l’adolescenza fiorentina.
La prima strofa si apre con un’espressione icastica, quasi un ossimoro, con la quale Campo rivela l’essenza profonda e contraddittoria dell’amore: è l’unione, attestata dal verbo al plurale, di esseri condannati alla lontananza e alla separazione. Nella vita terrena questo sentimento è vissuto nella dimensione dell’incertezza, della provvisorietà, col timore che la gioia di una carezza non possa ripetersi, che neanche il corpo riesca a dar conto, di “un’altra migrazione”, espressione con la quale Cristina Campo allude, forse, alla tensione verso il divino che indistintamente, già percepisce.
In un’altra lettera a Margherita Dalmati, dello stesso anno, Campo rivela che:
“Con Dio continuiamo a girarci intorno, come due armati di lancia che cercano il punto giusto per colpire [...] veramente è difficile esser poeti, cioè strumenti di mediazione, senza la fede esatta. Io tento a mi trascina una forza ma di Dio non so niente”
L’afflato religioso della scrittrice è ancora segnato dall’incertezza, per questo, nel testo afferma di sapere poco dell’anima: anche se già presagisce la tensione che l’avvicinerà al soprannaturale e al divino, senza una fede solida può offrire di questo amore altro solo immagini oniriche, aeree appunto, simboli di un appagamento solo probabile.
Nella dimensione terrena se l’allontanamento dal signore-fratello è inappellabile, definitivo, tuttavia la poetessa quasi si interroga su cosa resterà di quell’amore terrestre in un futuro lontano. Forse solo il vuoto, l’irrimediabile separazione nella solitudine di una città deserta.
“Moriremo lontani”: struttura metrica e analisi stilistica della poesia
Il componimento consta di tre quartine alle quali si aggiungono due versi finali. Cristina Campo, da un lato recupera in modo originale la tradizione classica, scegliendo l’endecasillabo, dall’altro, ammettendo vistose eccezioni tre settenari (vv. 5, 9, 12) e un novenario (v. 14) – mostra tutta l’insofferenza propria dei modernisti verso la versificazione chiusa e le preferenza per il verso libero, come conferma una sola, sporadica, rima nella seconda strofa (“passi”... “sassi”).
Se consideriamo le forme dei verbi, troviamo nel testo una netta prevalenza dei tempi commentativi, in particolare il futuro, un tempo del discorso che segnala l’intensione dell’autrice di portare l’attenzione del lettore a un livello alto: Campo vuole coinvolgere il letto in quell’itinerario di allontanamento dall’amore terreno e, allo stesso tempo, di approssimazione al divino, nella convinzione che non sia un percorso solo personale ma che tutti possano intraprenderlo.
Per quanto riguarda le figure retoriche assistiamo a un ripetuto impiego dell’enjambement, funzionale a dilatare il testo e a tradurre sul piano sonoro la sensazione di allontanamento e di separazione. Oltre a una sineddoche (“palmo”), nella prima strofa, e a un’apostrofe, in apertura della terza strofa, è da rilevare anche il frequente ricorso all’iperbato in tutto il componimento: Campo raggiunge così una maggiore ricercatezza poetica, accresce la suggestione del componimento ed enfatizza l’importanza di alcuni termini, funzionali a veicolare il messaggio testuale.
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: “Moriremo lontani”: la poesia di Cristina Campo sull’impossibilità di un amore
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