La poesia di Cesare Pavese da sempre si nutre di contraddizioni: “inquietudine” e “desiderio” sono i poli cardine entro cui si muove la voce poetica pavesiana.
“I desideri e l’inquietudine ti hanno fatta chi sei”, faceva dire Pavese alla ninfa Britomarti nel dialogo con Saffo contenuto nella meravigliosa rivisitazione mitica dei Dialoghi con Leucò. Una voce che ritorna come un’eco o come schiuma d’onda, per riprendere il titolo del racconto, in questa poesia intitolata Ascolteremo nella calma stanca che si conclude con una chiusa analoga facendo riferimento al “disperato amore verso tutte le cose”.
In questa lirica, Pavese sembra ricalcare il suo modello ispiratore, Francesco Petrarca, la cui voce ritorna, come in una sovrapposizione del sonetto Pace non trovo et non ò da far guerra
in cui l’io lirico appare ugualmente combattuto tra speranza e disperazione.
Il tema principale della poesia di Cesare Pavese, a differenza di quella di Petrarca, è però il tempo che porta con sé il ciclico risorgere della speranza e, di seguito, il suo inevitabile crollo.
In Verrà la morte e avrà i tuoi occhi, Pavese scriveva:
O cara speranza, quel giorno anche noi sapremo che sei la vita e sei il nulla.
Ma in questa poesia, Ascolteremo nella calma stanca, la speranza è ancora un sentimento vivo, come un’irrequietudine costante che avvolge l’anima senza concederle tregua. L’amore disperato verso tutte le cose di cui parla Pavese è un attaccamento tormentato alla vita e alla sua disperata fuggevolezza. Il poeta ci ricorda che dobbiamo fare i conti con il tempo che sempre emigra, lasciandoci in mezzo al crocevia dei venti con il cuore in tumulto, alla perenne ricerca di qualcosa, una speranza, una ragione, un motivo per cui vivere.
“Ascolteremo nella calma stanca” di Cesare Pavese: testo
Ascolteremo nella calma stanca
la musica remota
della nostra tremenda giovinezza
che in un giorno lontano
si curvò su se stessa
e sorrideva come inebriata
dalla troppa dolcezza e dal tremore.Sarà come ascoltare in una strada
nella divinità della sera
quelle note che salgono slegate
lente come il crepuscolo
dal cuore di una casa solitaria.
Battiti della vita,
spunti senz’armonia,
ma che nell’ansia tesa del tuo amore
ci crearono, o anima,
le tempeste di tutte le armonie.Ché da tutte le cose
siamo sempre fuggiti
irrequieti e insaziati
sempre portando nel cuore
l’amore disperato
verso tutte le cose.
“Ascolteremo nella calma stanca” di Cesare Pavese: analisi e commento
Ascolteremo nella calma stanca è una poesia che dà voce al tormento di Pavese, alla ferita costantemente aperta della sua anima, perennemente in bilico tra “memoria e desiderio”. Il campo semantico in cui si muove la lirica è ben definito da parole accuratamente scelte: ansia, tempesta, irrequietudine , solitudine e infine disperazione.
Nel finale Pavese dà voce al suo “amore disperato verso tutte le cose”, che può essere tradotto in una sorta di urgenza di vivere che si traduce in impazienza, in una forma segreta e inenarrabile di scontentezza. Da tutte le cose, scrive, siamo sempre fuggiti “irrequieti e insaziati”: ecco che ritornano i “desideri” e “l’inquietudine”, provati da Saffo, che sono poi la matrice che ha forgiato il carattere e la personalità dello stesso Pavese.
Ricordiamo che, dopo aver vinto il Premio Strega nel 1950 con La bella estate, un mese prima di morire, Pavese annotava sul suo diario:
“A Roma, apoteosi. E con questo?”.
Nulla poteva saziarlo, niente poteva placare la perenne tempesta della sua anima. Persino nella “calma stanca” lo perseguitava il richiamo della sua “tremenda giovinezza”; la scelta dei termini è ossimorica, in netto contrasto o contraddizione, non certo casuale. La gioventù veniva ricordata come una stagione frenetica, percorsa da grandi sogni e vaste aspettative, spesso inconciliabili con la realtà. Ma anche ora, nella calma stanca della sera, lo spirito non si placa, continua a battere ansioso il cuore senz’armonia. Lo stato d’animo di Pavese sembra riecheggiare quello spirto guerrier ch’entro mi rugge di cui parlava Foscolo: la medesima tensione verso l’assoluto. Nella ricerca di una ragione di vita, di uno scopo, di una possibilità ecco che l’irrequietudine sale al pari del desiderio.
Nei versi finali Pavese condensa perfettamente la condizione esistenziale dell’uomo, l’irrequietudine senza scampo per cui la felicità non è mai raggiunta, ma perennemente si cammina per riconquistarla di nuovo. Nella convivenza dei contrari, del resto, era condensata anche la personalità pavesiana, sempre nutrita da inquietudine e desiderio. Il “disperato amore per tutte le cose” di Cesare Pavese si traduce in un’altra bella affermazione contenuta nei Dialoghi con Leucò, quando Odisseo dice alla ninfa Calipso:
Quello che cerco l’ho nel cuore, come te.
Qui, in questo snodo, è contenuta la matrice della poesia pavesiana e ciò che ancora oggi la rende attuale e universale, traducendo la disillusione, il mistero e la profondità del desiderio dell’esperienza umana. Cos’altro possiamo augurarci, del resto, se non di avere sempre nel cuore questo “disperato amore verso tutte le cose”? Pavese sapeva che la sua ricerca sarebbe stata tormentata perché non sarebbe mai giunta a destinazione o a compimento, proprio come è destino di ogni parabola umana.
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: “Ascolteremo nella calma stanca” di Cesare Pavese: la poesia sull’amore disperato verso tutte le cose
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