Quante se ne raccontano su Bologna, ma soprattutto quante ne raccontano, a Bologna e quante se ne possono raccontare! Di balle, certamente, oltre a qualche faccenduola un po’ indecente, da sussurrare all’orecchio. Chi ne voglia sapere di più, dovrà leggere tra le amenità riportate di seguito.
Sapevate che a Bologna in un’estate rovente il termometro ha toccato i 53°? Altro che, un albero ha perfino preso fuoco. Come? Non ce n’è notizia nelle cronache cittadine? Bon, se lo dice Paganelli c’è da credergli. Chi è Paganelli? Uno che sulla sua città la sa lunga e, dove non sa, inventa.
S’è per questo, sempre in tema di stagioni sui generis all’ombra delle Due Torri, un altro di quelle parti che sa tutto su quelle stesse parti, Merighi, giura che una volta ha nevicato per tre giorni consecutivi, l’8 agosto. Di quale anno? Non si sa, forse nel ’32, dopotutto non si dice: “fa un zagno del ’32”? Sarà quello.
E poi, c’è sempre Biavati, che sostiene d’aver pescato una Smart bella e fatta nel laghetto dei castori, verso Pianoro.
Niente in confronto a quanto assicura un tale Jacopo. Dice che cento o duecento anni fa, ma forse anche trecento (non si ricorda bene, quindi potrebbero essere anche quattrocento o cinquecento, non più di seicento, comunque, al massimo settecento), a Loiano è nato un bambino con la testa di lupo.
Ufo a San Luca e altre leggende metropolitane bolognesi di Paolo Ricci
Sempre a proposito della Dotta, la Ghiotta, la Rossa: come chiamate voi i milkshake? A Bologna solo shake, perché non sarebbero fatti col latte vaccino, ma con occhi frullati di mucca o plastica zuccherata. Arduo, impegnativo e nella prima ipotesi anche repellente. È solo l’ennesima delle tante panzane, esagerazioni, dicerie e leggende metropolitane che si raccontano nella città felsinea, elevata a capitale del mondo (fin dall’antichità, a sentire gli enfant du pais), nel divertente libretto che il bolognese doc Paolo Ricci ha dato alle stampe nel 2018, col titolo Ufo a San Luca e altre leggende metropolitane bolognesi, per l’editore Giraldi, altri bolognesi guarda un po’ (collana I portici raccontano, 228 pagine), con le illustrazioni di Jacopo Mezzanotte a commento dei testi spiritosi.
Pure amenità. Uno strampalato repertorio di miti della città, un’antologia di episodi, situazioni, racconti alcuni brevi altri più ampi, aneddoti non verificabili e certamente poco attendibili, insieme a qualche diceria che in via Ugo Bassi e dintorni si dà per vera, cascasse il mondo, ma non sembra da prendere sul serio.
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Certo che le dicono tutte a Bologna. E Paolo Ricci le ha sentite tutte, lui ch’è rossoblu dal primo vagito, nel 1975, e ne sa tante sui concittadini più stravaganti, da collaborare alla stesura del “Repertorio dei matti della città”, laboratorio di venti autori, squinternati come i soggetti di cui si occupano, ispirato e coordinato da Paolo Nori.
Il numero uno degli strampalati e fonte inesauribile di stravaganze è senza dubbio Max. Dal suo posto di osservanza in zona Bar Ciccio, non perde un passo su nessuno ed è sempre pronto a spararne una più una più grossa dell’altra. La vittima preferita è Lucio Dalla, il compianto cantautore, di casa in centro, protagonista assoluto di tante cavolate che Max racconta di aver apprese da Lele Zucchi, al quale le avrebbe riferite il Parrucco della Barca, che sostiene di averle sapute dalla socia Sonia, che indica come testimone la Fede, che sotto il casco ha garantito di averle ascoltate alla Virtus. In quel circolo tennis pare non parlino d’altro. Peccato che un sopralluogo di Paolo Ricci tra i vialetti abbia consentito allo scrittore di accertare che lì del cantante conoscono poco e niente, quello che sanno tutti, né più né meno.
Peccato, ci sarebbe d’accertare se è vero che la mamma, giudicando il Dalla bambino troppa basso ed esile, l’abbia ricoverato in una famosa clinica svizzera, che nessuno sa quale fosse, per una terapia ricostituente di vitamine da cavallo e ormoni della crescita. Risultato: pare che Lucio sia tornato basso allo stesso modo, ma con la barba.
Dopo Dalla, nel mirino di Max e degli altri ci sono sicuramente le donne avvenenti. Ed è qui che si manifesta vincente “l’arte delle bolognesi”, che sarebbero particolarmente esperte nella pratica hard che rese famosa l’attrice porno chic Linda Lovelace negli anni Settanta (dice niente il film Gola Profonda?). Qualcuno associa la specialità delle felsinee al simpatico intercalare col quale si accompagnano spesso le frasi a Bologna. Ma è un modo di dire innocente e tollerato, un’espressione di gergo, per niente spinta: Ricci l’esemplifica in “socc’mel che caldo!”.
Per par condicio di genere, è innegabile che tra gli aneddoti di questo libretto rosso (per la copertina color fuoco vivo) emerga una particolare predilezione dei bolognesi per l’autoerotismo. Al Pacinotti (o al Tanari?) corre voce che uno di terza, pare, abbia battuto il record delle 23 (o erano 27?) volte al dì. Niente rispetto al primato da Guinnes di un giapponese, che ha portato a termine 31 exploit in un giorno, trovando ispirazione, nei momenti più ardui, nel pensare alla fiducia dei connazionali e dei non pochi supporter.
Humour freddo gelido, che non risparmia una gloria bolognese dello sport mondiale, il campione di sci Alberto Tomba, protagonista nel 2000 del film d’azione“Alex l’Ariete”, che dicono in lizza per il primo posto tra le pellicole italiane più brutte di tutti i tempi.
E ricordate, che se Lele Zucchi dà per certo che nelle giornate più luminose dal parcheggio di San Luca si veda l’Everest, una volta il signor A.V. ha visto un ufo sulla cupola di San Luca, uscendo dal sottopassaggio di via Marconi.
Pare, poi, che Bologna nasconda una storia orribile, vecchia di secoli. È tanto spaventosa che nessuno vuole raccontarla e alla fine non si sa bene nemmeno quale sia.
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: Bologna la Grassa: leggende metropolitane, amenità ed esagerazioni
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