Quale mondo giaccia al di là di questo mare non so, ma ogni mare ha un’altra riva, e arriverò.
Così scrive Cesare Pavese nel diario intitolato Il mestiere di vivere (Einaudi, 2014): la pagina porta la data del 16 febbraio del 1936. Il mare rappresenta metaforicamente il percorso di un autore che medita di cambiare strumento espressivo, passando dalla poesia alla prosa. Ma è anche quello reale di Brancaleone, in provincia di Reggio Calabria, nel cuore della costa dei Gelsomini, in una Calabria assolata e bellissima, dove lo scrittore è al confino dal 4 agosto 1935 per motivi politici. Sospettato di collaborazione antifascista dovrà soggiornare qui tre anni. La permanenza si limiterà a 7 mesi, ma cambia entrambi, lui e il paese che lo ospita e che lo ricorda a distanza di quasi 90 anni. In fondo quello appena trascorso è il mese dedicato allo scrittore. Da poco è stato assegnato il Premio che porta il suo nome: la 41esima edizione incorona Michele Cortelazzo per la saggistica, Dacia Maraini per la narrativa, Silvia Pareschi per la traduzione, Martin Rueff per la poesia e Antonio Sellerio per l’editoria. Ed è occasione per ricordare la parentesi di pochi mesi nella vita di Cesare Pavese, in un gemellaggio ideale tra la sua Santo Stefano Belbo e Brancaleone.
La dimora del Confino di Cesare Pavese a Brancaleone
L’indirizzo dello scrittore in Calabria è rimasto lo stesso: corso Umberto I. La dimora del Confino di Cesare Pavese corrisponde ad una casa a un piano, con porta e finestre aperte sulla strada. Di proprietà privata, grazie alla passione per la letteratura pavesiana dell’avvocato Tonino Tringali e alla locale Pro loco, l’edificio diventa ogni anno luogo di pellegrinaggio per i turisti e polo culturale, sede di mostre, dibattiti, convegni. Il luogo conserva un che di ascetico nella sua semplicità. Dentro ci sono il letto in ferro battuto, la scrivania, il pavimento a piastrelle che trasuda umidità, la lampada a carburo, la scatola dei libri inviati dalla sorella Maria, la lanterna arrugginita. Fuori i binari e il mare azzurrissimo. Lo stesso di Ulisse, dirà Pavese che di quelle onde riconosce la bellezza, seppure vestita da prigione senza mura.
La gente ricorda con affetto la sua presenza discreta e solitaria. Viva, nonostante lo scorrere del tempo. Per tutti è u professore perché durante la permanenza insegna latino per mantenersi. E scrive poesie e il diario che inizia qui e terminerà solo il tragico giorno della scomparsa, in una stanza d’albergo nella lontanissima Torino a più di 1300 chilometri di distanza.
I luoghi pavesiani
Lo scrittore piemontese schivo e riservato sembra non essersene mai andato: forse il soggiorno gli serve per mitizzare il paese natio. Ma rivela anche un’intelligenza profonda che non cede ai pregiudizi, che sa conquistarsi l’affetto dei nuovi compaesani. Pavese si interessa della cultura orale, impara proverbi, si informa dell’etimologia delle parole. Crea un legame che dura nel tempo. Da quel filo nascono i luoghi pavesiani, un itinerario che racconta le sue giornate ai visitatori. Il bar Roma dove legge il giornale, lo scoglio lungo da dove si tuffa e osserva l’orizzonte. La stazione ferroviaria dove arriva ad inizio agosto scortato dai carabinieri dopo la reclusione alle Nuove di Torino prima e a Regina Coeli a Roma, poi.
Da qui partono 78 lettere dirette agli amici, ai parenti che cercano di aiutarlo anche con l’invio di pacchi: la maggior parte porta l’indirizzo della sorella Maria. A lei racconta in maniera intensa la permanenza al confino, senza retorica ma con interesse sincero. Il paesaggio, le persone, le sensazioni e perfino le difficoltà che non sono poche per via della sua condizione vengono descritte con vivida immediatezza, all’altezza dall’autore de La luna e i falò, corrispondente facondo come dimostra l’epistolario raccolto da Einaudi in Vita attraverso le lettere del 2008.
Brancaleone nelle parole di Cesare Pavese
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La descrizione più bella di Brancaleone fatta da Cesare Pavese, quasi una poesia, si incontra in una lettera spedita il 27 dicembre. Dal suo arrivo sono trascorsi quasi cinque mesi e Pavese riassume le sue impressioni:
I colori della campagna sono Greci. Rocce gialle o rosse, verdechiaro di fichindiani e agavi, rosa di oleandri e gerani, a fasci dappertutto, nei campi e lungo la ferrata, e colline spelacchiate brunoliva.
Diverse dalle sue, ma pur sempre colline. Fin da subito a poche ore dall’arrivo rende giustizia alla gente del posto:
Qui ho trovato una grande accoglienza. Brave persone, abituate a peggio, cercano in tutti i modi di tenermi buono e caro. Qui, sono l’unico confinato.
E poi:
Sono cotti dal sole. Le donne si pettinano in strada, ma viceversa tutti fanno il bagno. Ci sono molti maiali, e le anfore si portano in bilico sulla testa. … Ho affittato una camera per 45 L., ma tutti i giorni c’è una spesa nuova, e la luce e il catino e lo spirito e lo zucchero ecc. Mi faccio io da mangiare, cioè mangio roba fredda. (Lettera del 9 agosto)
D’altronde il pesce, confesserà, non gli piace.
La gente di questi paesi è di un tatto e di una cortesia che hanno una sola spiegazione: qui una volta la civiltà era greca (Lettera del 27 dicembre).
Il clima così diverso da quello di casa gli dà pensiero:
Qui un po’ fa caldo e un po’ fa umido e, fin che non abbia imparato il ritmo, ci soffrirò. Non ho ancora infilato una volta il paletot. Solo, di notte lo stendo sul letto.
Sono mesi di ozio febbrile. Un periodo di intenso lavorio intellettuale che porta ad un rinnovamento della poetica e dei mezzi espressivi utilizzati.
Debbo imparare a prendere questa rovina futile, questa faticosa inutilità come un benedetto dono – quale ne hanno soltanto i poeti – come un tendone davanti alla rappresentazione che dovrà poi ricominciare. Mi spiego. Ritorno a uno stato larvale d’infanzia (16 febbraio, Il mestiere di vivere)
La fine del confino di Pavese e il desiderio di tornare
Il 15 marzo ne Il mestiere di vivere scrive solo due parole:
Finito confino.
Eppure la gioia della libertà riconquistata non gli impedisce di desiderare un ritorno. 10 anni dopo in una lettera all’amico Oreste Politi confessa:
Io continuo a dover rimandare la gita che da dieci anni voglio fare laggiù. Sembra quasi che come nel 1936 ero confinato là, adesso sia confinato qui.
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: Quando Cesare Pavese andò al confino a Brancaleone, sulle coste della Calabria
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