Oggi potrebbe essere ricordato alla stregua di Thomas Mann, invece la sorte gli ha inflitto un diverso destino. Moriva a Parigi, il 26 aprile 1910, il drammaturgo e poeta nordico Bjørnstjerne Bjørnson, premio Nobel per la letteratura nel 1903: fu il terzo Nobel letterario della storia. Possiamo considerarlo l’antenato di Jon Fosse, l’ultimo Nobel norvegese.
Dopo la sua scomparsa ricevette i funerali di Stato in Norvegia e fu commemorato anche in Italia da un discorso del Ministro degli Esteri, il siciliano Antonino Paternò-Castello. Era considerato il promotore della rinascita civile della Norvegia moderna: come critico e giornalista, Bjørnson sostenne sempre l’autonomia della Norvegia contrastandone l’unione con la Svezia, era un ardente patriota e riformatore sociale. Nel 1905, quando la Svezia concesse l’indipendenza alla Norvegia, fu proprio Bjørnson a comporre il testo di Ja, vi elsker dette landet (Noi amiamo questo Paese, Ndr), l’inno nazionale norvegese composto sulla musica austera e solenne di Edvard Grieg.
La prima strofa dell’inno recita così:
Sì, amiamo questo Paese,
mentre emerge
tempestato sull’acqua,
con le mille case.
Ama, amalo e pensa
ai nostri padri e madri
e quella notte leggendaria quale affonda
sogni nella nostra terra.
Già queste poche righe ci danno prova della scrittura di Bjørnstjerne Bjørnson, fortemente evocativa, che affondava nelle origini mitiche della sua terra, nell’incanto leggendario delle saghe nordiche e, al contempo, se ne discostava narrando un idillio naturale e umano. La modernità nelle opere di Bjørnson diveniva un prolungamento della saga mitica, tramutandosi in un idillio ideologizzato. Protagonisti delle sue opere erano contadini, pastori, gente umile e schietta che si faceva portavoce di valori salvifici, come lo zelo e la virtù.
Ora il Premio Nobel, colui che fu l’autore dell’inno norvegese, è caduto nell’oblio, raramente il suo nome viene ricordato tra i grandi letterati del Novecento. Scopriamo la causa di questa dimenticanza.
Bjørnstjerne Bjørnson: la vita
Nacque l’8 dicembre 1832 a Kvikne, un piccolo paese vicino alla catena montuosa dell’Osterdal. Il padre, Peter Bjørnson, era un pastore che poi divenne parroco evangelico. Quando Bjørnstjerne aveva cinque anni la famiglia si trasferì a Ness, dove poté ricevere un’istruzione. Sui banchi di scuola, Christiania, Ibsen sarebbe stato uno dei suoi compagni di studi: i due sarebbero stati paragonati tutta la vita, considerati i due capisaldi della letteratura norvegese. In vita fu Bjørnstjerne Bjørnson a trionfare, insignito del Nobel della letteratura, amato e onorato a livello internazionale: eppure oggi il suo nome appare di poco conto in confronto a quello di Henrik Ibsen, Bjørnson è considerato un precursore di Ibsen o, comunque, viene posto in relazione con il grande drammaturgo.
Bjørnson si trasferì a Oslo per frequentare l’università, ma non concluse mai gli studi. Si dedicò invece all’attività giornalistica e alla critica teatrale come redattore di varie testate, fondando il periodico Il giornale popolare illustrato (Illustrerte FolkBladet, Ndr). A soli venticinque anni, nel 1857, esordì con l’acclamatissimo Synnøve Solbakken (in italiano La fattoria del sole, Ndr).
Bjørnstjerne Bjørnson: le opere
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La prima parte della produzione letteraria dell’autore norvegese era contraddistinta dall’influenza del romanticismo e da un’accesa vena di patriottismo: erano opere moralizzanti, in cui la religione svolgeva un ruolo cruciale nell’addomesticamento degli istinti e il Bene - inteso nel senso di virtù - trionfava sempre. Faceva da cornice la natura incontaminata della terra norvegese, ancora non corrotta dal progresso tecnico e dall’assedio della civiltà.
Erano le opere dell’idillio, appunto; ciò che ora fa apparire la produzione di Bjornstjerne Bjørnson arcaica e in qualche modo sorpassata è proprio questo attaccamento a un’immagine virtuosa e moralizzante, distante dalle lotte interiori e dai drammi storici che attraversarono il Secolo breve.
Il suo capolavoro, già all’epoca, fu considerato da Brandes il romanzo Al di là delle forze umane (l’unica opera di Bjørnson oggi pubblicata in italiano da Iperborea, Ndr). Pubblicato nel 1883, oggi è considerato un classico del teatro nordico: narra la storia di un pastore, Adolf Sang, che vive in un luogo sperduto tra i fiordi norvegesi e sembra essere dotato di un potere miracoloso. La voce si sparge in fretta tra i suoi concittadini e presto anche oltre i confini del paese: si racconta che lui sia in grado, addirittura, di resuscitare i morti. Quest’opera di Bjørnson segna un punto di rottura con le precedenti, segnando il principio di un’indagine psicologica. Tra le righe scorrevano domande senza risposta, prima tra tutte: la fede ha davvero bisogno di miracoli? Il pastore dava a suo modo una risposta, sostenendo che “le persone si riducono a credere al falso”. La religione non è più l’idillio negli scritti di Bjørnson, così come la Natura rivela per la prima volta un tratto maligno, a partire dal 1882, quando con l’opera Polvere il drammaturgo metteva in scena il dramma di una caduta da cavallo che costava la vita alla giovane protagonista.
I critici dissero che la seconda parte della produzione dell’autore norvegese era più orientata al dramma sociale e storico. Negli ultimi anni della sua vita Bjørnstjerne Bjørnson era sempre più concentrato sulle questioni politiche che gli stavano a cuore: l’indipendenza della Norvegia, la fondazione di una lingua nazionale letteraria, i problemi dei contadini. I suoi scritti giornalistici avevano un tono militante, si faceva in prima persona promotore del rinnovamento del proprio Paese. Eppure le sue opere rimasero sempre in bilico tra un tempo e l’altro: aveva cantato l’idillio e poi il dramma sociale, tuttavia non si era mai avvicinato all’atmosfera claustrofobica dei drammi borghesi di Ibsen, in cui si affrontava lo scontro tra l’Io e la società.
Perché il Nobel Bjørnstjerne Bjørnson è stato dimenticato?
A queste ragioni si può attribuire l’oblio recente di Bjørnson in ambito letterario: autori come il precedentemente citato Thomas Mann - che pure era un avido lettore delle opere del norvegese - e l’amico-rivale Henrik Ibsen. Bjørnson narrava l’idillio nell’epoca più anti-idilliaca che la Storia ricordi, presto attraversata dall’insidia di due guerre mondiali e dallo spettro della distruzione totale. Non troviamo nelle sue pagine le contraddizioni che avrebbero condotto all’avvento del Modernismo letterario, al flusso di coscienza joyciano e ai “moments of being” di Woolf: in letteratura l’interiorità stava prendendo il sopravvento, sovvertendo ogni regola, il dominio dell’interiore sovrastava le descrizioni paesaggistiche, le narrazioni rurali, il primato incontrastato della natura. Bjørnstjerne Bjørnson sarebbe stato insignito del Premio Nobel per la Letteratura nel 1903 con la seguente motivazione:
Un tributo alla sua nobile, magnifica e versatile poeticità, con la quale si è sempre distinto per la chiarezza della sua ispirazione e la rara purezza del suo spirito.
La poeticità idilliaca di Bjørnstjerne Bjørnson, l’attenzione con cui avrebbe, ad esempio, narrato il moto di una nuvola davanti al sole per pagine e pagine, sarebbe stato ciò che in seguito lo avrebbe penalizzato. I suoi scritti mancavano di forza drammatica, come avrebbe sottolineato in seguito August Strindberg che pure un tempo era stato suo ammiratore. Eppure la letteratura, la grande letteratura, è frutto di una perfetta adesione tra l’uomo e il suo tempo: la prosa poetica di Bjørnstjerne Bjørnson a un certo punto sembrò essere fuori dal tempo, sfuggire alla trama convenzionale del destino. La retorica di Bjørnson suonò falsa alle orecchie degli autori del Novecento che pretendevano dalla letteratura ben altre risposte e una morale che tenesse conto delle contraddizioni della storia. Bjørnstjerne Bjørnson cantava una fede ingenua nella vita - come il moto di una nuvola davanti al sole - che gli uomini del Novecento avevano definitivamente perduto. Oggi nella sua scrittura, che subì gli influssi filosofici di Kierkegaard, possiamo trovare delle affinità con il recente Nobel norvegese Jon Fosse che di nuovo ha posto al centro del suo narrare una fede più umana che divina: in ogni uomo c’è una parte di Dio, afferma Fosse, formulando nella sua scrittura il flusso di coscienza che era mancato a Bjørnson. Chissà, forse possiamo cogliere in Jon Fosse l’erede spirituale di Bjørnstjerne Bjørnson, il suo riscatto mancato che ancora parla al presente.
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: Chi era Bjørnstjerne Bjørnson, il Nobel per la Letteratura che scrisse l’inno norvegese
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