

È un inno all’ossimoro la poesia intitolata Biglietto lasciato prima di non andar via, in cui l’autore Giorgio Caproni distilla alcuni dei temi fondamentali della sua poetica e con la quale ci consegna un messaggio che ha tutto il sapore di un testamento.
Biglietto lasciato prima di non andar via compare nel 1982 all’interno de Il franco cacciatore, raccolta tra le più lunghe di Caproni, che accoglie le liriche dei sette anni precedenti e viene pubblicata dopo Il muro della terra, silloge con la quale presenta una chiara continuità e dalla quale bisogna partire per comprendere il nostro componimento.
Il muro della terra è una raccolta che funge da spartiacque nella poetica di Giorgio Caproni dal momento che inaugura una nuova stagione della sua produzione e avvia un’indagine del tutto inedita. Caproni vuole qui andare oltre il muro ovvero sente, fuor di metafora, di essere giunto ai confini del mondo fisico, questa ricerca di un oltre diviene caccia, tentativo di prendere la mira e puntare in alto a un bersaglio incerto, che potrebbe essere anche Dio. Tutt’altro che blasfema, per Caproni questa ipotesi sarebbe, anzi, rassicurante dal momento che poter uccidere Dio sarebbe la prova migliore della sua esistenza; tuttavia è proprio questa possibilità che viene ripetutamente messa in dubbio nei componimenti di questi anni.


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Riguardo a Il franco cacciatore, poi, fu lo stesso Caproni a chiarire gli intenti della raccolta:
“Quella che soprattutto m’interessa è la figura del cacciatore, […] vista – come già la figura del
viaggiatore – in veste di cercatore. Cercatore di che? Di dio? Della verità? Di ciò che sta dietro il fenomeno ed oltre l’ultimo confine cui può giungere la ragione? Della propria o dell’altrui identità? Una domanda vale l’altra, e forse si tratta solo di ricerca per amor di ricerca”
Quale sia la ricerca che Giorgio Caproni vuole intraprendere lo comprendiamo meglio anche riflettendo sul titolo della raccolta che richiama un’opera omonima di Carl Maria von Weber e rivela, quindi, un forte legame col mondo musicale e operistico di cui il poeta aveva una conoscenza profonda. Ciò potrebbe alludere a una vicinanza stilistica ma potrebbe trattarsi anche di un riferimento ironico: se il franco cacciatore di von Weber dopo aver perso la sua infallibile mira ricorre a un proiettile magico per abbattere un’aquila, il cacciatore-cercatore di Caproni, con maggiore franchezza, rinuncia all’uso di qualsiasi artificio magico.
Il poeta, allora, ne Il franco cacciatore, ci mette di fronte a un uomo che vorrebbe cercare Dio ma che, alla fine, è costretto ad ammettere che si sta affannando nella ricerca ossessiva di una preda che probabilmente non esiste neanche, che nessuno ha mai visto. Ecco, allora, che quest’uomo appare sprofondato in una desolante solitudine dove lui stesso diviene preda e vittima e non può fare affidamento neanche sulle proprie percezioni sensoriali: anch’esse falsate, configurano realtà irreali, dove i luoghi familiari e quelli ancora da visitare, i personaggi incontrati e i progetti ancora in cantiere, le stesse parole appaiono sfocati, scivolosi e incerti.
Già quando parlava di muri di terra, Caproni diceva l’estraneità dei luoghi, alludeva a un deserto dove l’isolamento si fa sempre più tangibile e impedisce ogni forma di comunicazione e, quindi, di socializzazione. Si tratta di una condizione claustrofobica che dal punto di vista linguistico è testimoniata da versi sempre più essenziali, circondati da ampie zone di vuoto (come le linee bianche o i puntini di sospensione), dove il poeta dosa le parole in modo molto parsimonioso.
La straniante condizione di quest’uomo che, in assenza di Dio, rimane solo con sé stesso Giorgio Caproni la testimonia anche in un’intervista rilasciata al quotidiano «Repubblica» nel 1984:
“Dio, se c’è, è un dio serpente, un dio che non remunera, non redime. Cristo, infatti, non è mai presente nelle mie poesie; come non è presente la Provvidenza perché, appunto, non c’è. […] Dio mi appare proprio come quell’universo insensibile, quel freddo primo motore immobile che da tempo abbiamo tutti ucciso nella nostra coscienza, e che però sopravvive come feticcio, in tutte le religioni organizzate”.
Dopo queste indispensabili premesse, consideriamo allora la poesia Biglietto lasciato prima di non andar via di Giorgio Caproni e scopriamone insieme il testo e il significato.
Biglietto lasciato prima di non andar via di Giorgio Caproni: il testo della poesia
Se non dovessi tornare,
sappiate che non sono mai
partito.
Il mio viaggiare
è stato tutto un restare
qua, dove non fui mai.
Biglietto lasciato prima di non andar via: analisi e significato della poesia di Giorgio Caproni
È senz’altro il viaggio il tema intorno al quale ruota tutto il componimento e il viaggio, proprio come la caccia, non è altro che un’altra declinazione della ricerca. In tutta la raccolta Caproni parla di una particolare forma di viaggio, insiste infatti sul vuoto, sulle zone di confine, su percorsi privi di destinazione perché, come la ricerca che è fatta solo “per amor della ricerca”, anche questo speciale percorso non ha meta precisa, non conduce da nessuna parte; è in definitiva un viaggio nel nulla.
Che si tratti di un’esperienza del tutto paradossale lo confermano le antitesi delle quali è intessuto tutto il componimento e che costituiscono anche la cifra stilistica principale di tutta la raccolta: Giorgio Caproni, infatti, inserisce nel titolo un evidente controsenso, poi, nei versi, nega quanto aveva affermato poco prima, associa temi contrapposti, che dovrebbero autoescludersi, come la partenza e il ritorno da un lato (v. 1) e l’immobilità dall’altro (vv. 2-3), il viaggio e la permanenza (vv. 4-5), la collocazione spaziale e l’assenza (v. 6).
Tutto ciò si comprende meglio se teniamo presente che il viaggio cantato qui ha una chiara valenza allegorica: Caproni parla, infatti, della vita stessa, della quale esprime tutta la conflittualità e, allo stesso tempo, l’incertezza.
Il biglietto del titolo, legato a una falsa partenza, mostra tutta la sua inutilità, il viaggio dei primi versi non è mai iniziato, piuttosto è avvenuto nella dimensione della staticità, è un movimento despazializzato, che non ha nulla di fisico e che riflette oscillazioni tutte interiori.
Il rifiuto di ogni logica binaria e ogni principio di non-contraddizione sono funzionali al tono ironico di tutto il componimento ma non dobbiamo illuderci, dal momento che quest’ironia non ha nulla di leggero e si colora di una strisciante disperazione.
Ciò si comprende meglio se teniamo presenti gli altri temi della raccolta: l’esilio, la ricerca di Dio, la morte e la vita dopo di essa: piuttosto che al passato Caproni si volge qui al futuro e, dopo aver mostrato tutta la vanità della caccia, l’inutilità di una ricerca che conduca a valori stabili, ammette il suo non esistere, confessa che l’unica certezza è quella per una vita in vita, che si può lasciare vivere e lasciare tranquillamente, ovvero senza dubbi e senza il rimpianto di credenze sconosciute, conquistate a seguito di interminabili cacce.
Analisi metrica e stilistica della poesia
Biglietto lasciato prima di non andar via si compone di soli sei versi liberi distribuiti su due terzine, con uno schema metrico irregolare: ABCAAB.
Il componimento consta di poche e scarne parole, proprie di un lessico semplice e colloquiale, talvolta in posizione isolata (soprattutto i vv. 3 e 4). Si tratta di un linguaggio che ha un esito ossimorico: chi legge si trova costantemente di fronte alla negazione di ciò che era stato affermato un attimo prima, disorientato e destabilizzato. È una scelta stilistica funzionale a cantare un’approssimazione al nulla, a esprimere l’impossibilità di trovare corrispondenze nel linguaggio e la consapevolezza che la poesia può cogliere solo frammenti di una realtà mutevole e sfuggente, che diventa quasi un gioco di specchi deformanti.
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: “Biglietto lasciato prima di non andar via”: la poesia di Giorgio Caproni sul viaggio della vita
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