Si chiamava Victoria Amelina, ed era una scrittrice. Ora è l’ennesima vittima di una guerra insensata e folle che batte alle porte dell’Europa.
Victoria quella guerra aveva provato a raccontarla; stava lavorando a un saggio in lingua inglese War and Justice Diary: Looking at Women Looking at War dedicato alle donne che documentano i crimini di guerra russi, ora rimasto tragicamente incompiuto. Non poteva sapere che sarebbe stato il suo ultimo libro. È morta a trentasette anni per le fratture riportate al cranio in seguito a un bombardamento russo. È stata colpita mentre si trovava in una pizzeria insieme al collega scrittore Hector Abad Faciolince e una delegazione di giornalisti in quella che doveva essere una serata di festa; la fragile illusione spezzata dal fragore di un missile che rompe i vetri, i bicchieri, i piatti e, infine, spegne le vite di persone inermi che volevano solo trascorrere un momento di spensieratezza.
Il bilancio delle vittime civili del raid russo a Kramatorsk di mercoledì 27 giugno è salito a 13; Victoria Amelina è una di loro, è spirata il 1° luglio all’ospedale di Mechnikov di Dnipro, nonostante i medici abbiamo fatto di tutto per salvarla.
Aveva recuperato dalle macerie il diario dello scrittore Volodymir Vakulenko, estraendolo da una fossa comune a Izyum, e si era battuta perché fosse pubblicato. Il libro era uscito lo scorso settembre in edizione cartacea per la casa editrice Vivat. Nella prefazione Victoria Amelina aveva scritto:
“Finché uno scrittore viene letto rimane vivo”
Oggi quelle parole suonano come una profezia sinistra, ma anche come una forma di riscatto. Ci ricordano che non tutto è perduto e che Victoria, anche per sé stessa, si sarebbe augurata il medesimo destino. Essere letta, e quindi rimanere viva.
Chi era Victoria Amelina
Aveva lunghi capelli biondi e un volto di porcellana. Le foto del suo profilo Twitter la mostrano con un’espressione fiera e uno sguardo perforante, capace di andare oltre l’obiettivo. Portava una maglietta con scritto “Feminist”, femminista, in accordo con il suo ultimo progetto: la volontà di scrivere di guerra vista dal punto di vista delle donne. La “guerra non ha volto di donna”, scriveva il Premio Nobel Svetlana Aleksievič; probabilmente Amelina sarebbe stata d’accordo, ma il suo “War and justice diary” rimane incompiuto.
Su Twitter si trova una fotografia che la ritrae di spalle intenta a scattare fotografie a un edificio sventrato dalle bombe. Nella didascalia scriveva una sorta di propria autobiografia, che iniziava così:
It’s me in this picture.
“Sono io in questa foto”, scriveva Victoria Amelina nella sua testimonianza.
E aggiungeva:
Sono uno scrittore ucraino. Nella mia borsa conservo ritratti di grandi poeti ucraini. Dovrei fotografare libri, opere d’arte e il mio bambino piccolo. Ma io documento i crimini di guerra della Russia e ascolto il suono dei bombardamenti, non le poesie. Perché?
It's me in this picture.
I'm a Ukrainian writer. I have portraits of great Ukrainian poets on my bag. I look like I should be taking pictures of books, art, and my little son. But I document Russia's war crimes and listen to the sound of shelling, not poems. Why? #StopRussiaNow pic.twitter.com/R50RqacXSZ— Victoria Amelina 🇺🇦 (@vamelina) June 7, 2022
Tutto infine si condensa in quell’ultima domanda senza risposta: “Why?, perché?, che oggi si amplifica come un’eco in un silenzio assordante. Chissà se lei se lo è domandata ancora quando d’improvviso il suono dei bombardamenti si è fatto terribilmente vicino e ha capito di non avere scampo.
Nei suoi scritti denunciava i crimini di guerra russi, affermando che le loro bombe stavano annientando “un’altra generazione di cultura ucraina”. Sapeva di essere una delle vittime designate. Secondo l’agenzia di stampa PEN Ukraine i russi, quel fatale 27 giugno, erano consapevoli di bombardare un ristorante con molti civili all’interno.
Victoria Amelina era nata a Lviv (Leopoli) il 1° gennaio 1987. Si era laureata con lode al Politecnico in tecnologia informatica. Il suo primo romanzo, The November Syndrom, o Homo Compatiens, era stato pubblicato nel 2014. Due anni dopo aveva dato alle stampe il secondo libro, Dom’s Dream Kingdom (in ucraino Dim dlja Doma, in italiano Una casa per Dom), in cui raccontava la storia dell’Ucraina del XX secolo narrata dal punto di vista di un cane che vive in una famiglia russo-ucraina. Era stato un grande successo di pubblico che le era valso numerosi riconoscimenti internazionali, tra cui il LitAktsent 2017 Prize e l’UNESCO City of Literature Prize. Era stata finalista all’European Union Prize for Literature e aveva vinto il Joseph Conrad Literature Prize per le opere in prosa.
Il libro era stato tradotto in diverse lingue, tra cui tedesco, ceco, olandese; l’ultima traduzione, in lingua spagnola Un hogar para DOM, risale a pochi mesi fa.
Victoria viveva di scrittura, aveva fondato un festival letterario nella regione di Donetsk, nel Donbass (oggi tristemente nota per altri motivi); era così che lei si proponeva di fermare la guerra. Da mesi si stava dedicando anima e corpo al suo ultimo saggio, War and justice; una volta terminato progettava di trasferirsi a Parigi insieme a suo figlio, dove aveva vinto una borsa di studio consegnatale dalla Columbia University. Il suo bambino viveva da tempo in Polonia, al sicuro dai bombardamenti, ma lei progettava di riabbracciarlo presto; una volta terminato il suo ultimo libro, diceva a tutti, che sarebbero stati insieme a Parigi. Li attendeva un appartamento con vista su Montmartre.
Durante la guerra Victoria Amelina aveva iniziato a scrivere poesia, lei che era sempre stata autrice di prosa ora si dedicava al linguaggio in versi per una ragione precisa. Uno dei suoi componimenti recitava così:
Non scrivo poesia / Scrivo prosa / Ma la realtà della guerra / si mangia la punteggiatura.
Alcune sue poesie erano state pubblicate nell’antologia Invasion: Ukrainian Poems about the War (SurVision Books, Dublin, Ireland, 2022).
Anche la scrittura rifletteva lo shock, psichico ed emotivo, il trauma dei bombardamenti russi. Ma Victoria Amelina scriveva con uno scopo preciso: quello di denunciare. Lei se n’è andata, ma le sue parole rimangono; e attraverso quelle parole continua a vivere ribadendo il suo messaggio, ricordandoci di proteggere, di salvare, anche nel mezzo della distruzione più assurda e apocalittica. Lei aveva scavato con le mani nella terra come un’archeologa per trovare il diario di Vakulenko. E ce l’aveva fatta, l’aveva estratto dalle macerie, l’aveva salvato.
Ora tocca a noi, lettori, fare lo stesso con lei, perché le sue parole non vadano perdute. Riportiamo di seguito una delle sue poesie dal titolo Sirens, “sirene”; ma è chiaro che Victoria Amelina non si riferisce alle creature marine anche se il suono stregato è lo stesso, un canto di morte. E ora ci colpisce fino a commuoverci quell’ultima frase “questa volta non tu”, come un presentimento.
Sirene d’allarme in tutto il paese
Sembra che tutti vengano portati fuori
Per l’esecuzione
Ma solo una persona viene presa di mira
Di solito quella che si trova ai marginiQuesta volta non tu; tutto libero.
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: Chi era Victoria Amelina, la scrittrice ucraina uccisa durante un raid russo
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