Coltivo una rosa bianca
- Autore: Enrico De Angelis
- Genere: Musica
- Categoria: Saggistica
- Anno di pubblicazione: 2020
Non so fino a che punto le canzoni di oggi riusciranno a resistere alla prova del tempo. Anzi no, lo so benissimo: la forma dubitativa è pleonastica. Mi ci gioco la faccia che non ci riusciranno. Come potrebbero riuscirci, del resto? Espressione del vacuo uso-e-getta contemporaneo come sono. Luigi Tenco già nel 1968 non c’era più. Si è perso l’articolata stagione delle ballate di impegno civile e impronta (spesso) letteraria, e nonostante tutto si parla ancora di lui. Sergio Endrigo è arrivato ai primi anni di questo millennio, ma il suo floruit è coinciso più o meno con quello di Tenco. Idem come sopra: tra testa e penna ci sapeva fare, e ancora si ascoltano i suoi pezzi migliori. Su Fabrizio De Andrè è inutile persino accennare: pubblica i primi dischi quando la canzone italiana passa ancora dalla stereotipia di Ranieri, Reitano & Co, e si candida per la storia. Contemporanea e futura. Ho fatto tre esempi. Potrei continuare, come continua Enrico De Angelis nel suo saggio sulla canzone antimilitarista Coltivo una rosa bianca. Antimilitarismo e nonviolenza in Tenco, De Andrè, Jannacci, Endrigo, Bennato, Caparezza (Vololibero 2020), allargando il discorso al Bennato no-war della sua prima, inarrivabile cinquina discografica (ma anche dopo, più sporadicamente), a un Enzo Jannacci intrinseco ab origine all’antimilitarismo come alla causa dei paria; Caparezza lo annovero sulla fiducia (lo sconosco, il suo genere musicale mi respinge) proprio perché è De Angelis a considerarne lo specifico non-violento. Per quanto mi riguarda di fronte a Enrico De Angelis continuo a togliermi il cappello: è tra i pochi giornalisti musicali a padroneggiare teoria e prassi della canzone d’autore, e dunque sa di cosa scrive – e parla –, quando scrive – e parla – di canzone d’autore. In questo libro il genere è analizzato nella sua espressione antimilitarista e non violenta, attraverso i testi (ripeto) di cinque capiscuola, e un epigono (per mantenermi sempre sul piano della fiducia) in salsa rap.
Il titolo, Coltivo una rosa bianca, è mutuato da una canzone di Endrigo, mutuata a sua volta dai versi del poeta cubano Josè Marti. Il brano è celebre, lapidario quanto efficace e in italiano suona così:
“Coltivo una rosa bianca/ In luglio come in gennaio/ Per l’amico sincero/ Che mi dà la sua mano franca/ Per chi mi vuol male e mi stanca/ Questo cuore con cui vivo/ Cardi né ortiche coltivo/ Coltivo una rosa bianca”.
Davvero De Angelis non poteva scegliere brano migliore per un libro a tesi no-war. Un bagaglio tematico desunto dalle ballate francesi degli chansonnier (Tenco, De Andrè), dal primo Bob Dylan (Bennato), dal Sudamerica di Chico Buarque e compagni (Endrigo) e dai cantautori trasceso in taglio e impronta propri. Così è come sono andate le cose. Più o meno, e sintetizzando molto.
A cavallo di storia, storia della canzone d’autore, e analisi del testo, Coltivo una rosa bianca indaga dunque, in primo luogo e meta-significatamente, su un comune sentire pacifista che non si sottrae alla denuncia. Lo slancio antimilitarista e nonviolento che la canzone d’autore assume come proprio in concomitanza con un mondo che a sua volta comincia a crederci e a farsi forte per lo più senza armi né bastoni. Oggi il discorso credo possa avere spessore e caratura resistenziali; dunque Coltivo una rosa bianca è un libro doppiamente coraggioso. Un libro che esce peraltro, e non a caso, con l’imprimatur del Movimento Nonviolento a cui De Angelis devolverà i profitti.
Mi piace concludere, a tal proposito, con le parole spese da Mao Valpiana (presidente del Movimento Nonviolento), per l’introduzione del libro. Ne riepilogano il succo come meglio non si potrebbe:
“Dei sei cantautori, de Angelis ci racconta non solo la capacità di comporre musica e testi, ma riesce a trasmetterci anche la personalità, le idee, la storia della loro vita. e non poteva fare scelta migliore, selezionando sei persone che l’antimilitarismo e la nonviolenza li hanno presi sul serio, come filo conduttore del proprio essere artisti e uomini. Luigi Tenco contestatore e nonviolento; Fabrizio De Andrè poeta di tolleranza, solidarietà, nonviolenza; Enzo Jannacci cantore di perdenti, soldati,. Partigiani e bonzi; Sergio Endrigo con la sua elegante coerenza; Edoardo bennato sempre alla ricerca dell’isola che non c’è; Caparezza che preferisce granite a granate”. (pag. 11)
Post Scriptum: Coltivo una rosa bianca si avvale anche della prefazione di don Luigi Ciotti e dei ritratti d’autore (nel senso dei disegni) di Massimo Cavezzali e Milo Manara. Tutto molto bello, come si vede. Per non dire utile.
Coltivo una rosa bianca. Antimilitarismo e nonviolenza in Tenco, De Andrè, Jannacci, Endrigo, Bennato, Caparezza
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