Oggi 25 novembre in occasione della Giornata internazionale contro la violenza sulle donne c’è un messaggio che è più che mai urgente ribadire per annientare il pregiudizio principale che purtroppo accompagna molte storie di violenza, ovvero la convinzione che la vittima in qualche modo “se la sia cercata” o ne sia stata inconsciamente responsabile.
Il cosiddetto victim blaming, la colpevolizzazione della vittima, è una piaga che si allarga prendendo il sopravvento nella narrazione delle storie di violenza. Il victim blaming spesso si traduce in una domanda subdola: Cosa indossavi?
Nel 2013 la dottoressa Mary Simmerling scrisse una poesia dal titolo What Were You Wearing?, traducibile in italiano proprio come Cosa indossavi?, in cui descriveva l’esperienza di stupro da lei vissuta nell’estate del 1987. La poesia di Simmerling con parole semplici e incisive racconta il terribile evento attraverso il filtro del pregiudizio, narrando soprattutto l’indicibile vergogna cui è esposta la vittima di violenza. La donna descrive il suo abbigliamento da capo a piedi, rispondendo alla ripetuta domanda “Cosa indossavi?”, e conclude con un’affermazione incisiva che riformula il quesito ribaltando, di fatto, la prospettiva:
Mi chiedo quale risposta potrebbe dare conforto a te che me lo chiedi. Ricordo anche cosa indossava lui quella notte, anche se in verità questo nessuno me lo ha mai chiesto.
Nel 2013 due docenti e psicoterapeute ispirate dalla poesia, la dott.ssa Mary Wyandt-Hiebert e la dott.ssa Jen Brockman, hanno sviluppato l’idea per un’installazione artistica che recasse il titolo omonimo What Were You Wearing? . Una volta ottenuto il permesso di Simmerling si misero al lavoro e realzzarono il progetto. L’opera riproduceva gli abiti indossati dalle vittime di stupro, riportando accanto ai vestiti data e ora del drammatico avvenimento. La mostra Com’eri vestita? fu esposta all’Università dell’Arkansas dal 31 marzo al 4 aprile 2014.
Si trattava della prima installazione artistica dedicata alle donne sopravvissute a una violenza sessuale.
Le immagini dei vestiti raccolti ed esposti sulle pareti nude della mostra fecero il giro del mondo e furono ispirate proprio dalle parole, espresse in poesia, di una donna coraggiosa. L’arte, ancora una volta, si faceva testimone di un cambiamento sociale.
Scopriamo testo, analisi e commento della poesia di Mary Simmerling.
“Cosa indossavo?” di Mary Simmerling: testo
Quello che indossavo
era questo:
dall’alto
una maglietta bianca
di cotone
a maniche corte
con lo scollo rotondoera infilata in
una gonna di jeans
(sempre di cotone)
che arrivava appena sopra il ginocchio
con una cinturasotto tutto ciò c’era
un reggiseno di cotone bianco
e mutande bianche
(probabilmente non coordinate)ai piedi
scarpe da tennis bianche
quelle con cui si gioca a tennis
e infine
orecchini d’argento e lucidalabbra.questo è ciò che indossavo
quel giorno
quella notte
quel 4 luglio
del 1987.Ti chiederai
perché questo è importante
o come possa ricordare
ogni elemento
in modo così dettagliatovedi
Questa domanda mi è stata fatta
molte volte
molte volte
mi sono ritornati alla mentequesta domanda
questa risposta
questi dettagli.ma la mia risposta
molto attesa
molto attesa
sembra in qualche modo piatta
dato il resto dei dettagli
di quella notte
durante la quale
a un certo punto
sono stata violentata.e mi chiedo
quale risposta
quali dettagli
dovrebbero dare conforto
potrebbero dare conforto
a te
che me lo chiedicercando conforto dove
non c’è
ahimè
nessun conforto
che possa essere trovato.se solo fosse così semplice
se solo potessimo
porre fine agli stupri
semplicemente cambiando i vestitiRicordo anche
cosa indossava lui
quella notte
anche se
in verità
questo nessuno
lo ha mai chiesto.
“Cosa indossavo” di Mary Simmerling: analisi e commento
La poesia di Mary Simmerling sullo stupro ci pone, in maniera diretta e incisiva, di fronte a un ribaltamento di prospettiva. Tutta la verità della violenza è racchiusa nella strofa finale e ci colpisce dritta in faccia come uno schiaffo.
Non si può sconfiggere la violenza cambiando il modo di vestire o l’abbigliamento: non saranno certo gli abiti (una gonna più lunga, una maglietta meno scollata) a fermare lo stupro. Questo il messaggio potente di Mary Simmerling che afferra il pregiudizio e lo scarnifica, lo demolisce pezzo pezzo, mostrando così il punto di vista della vittima e la terribile violenza psicologica che le viene inflitta suo malgrado.
Alla fine ciò che rimane è la vergogna, la vergogna pura e semplice di aver posto una domanda che racchiude in sé una forma di violenza e tradisce un comandamento non scritto: non giudicare.
In occasione del 25 novembre è importante ricordare il victim blaming che spesso si accompagna alla violenza: di questo fenomeno sono vittime soprattutto le donne ed è una delle ragioni sotterranee che alimentano la piaga dei femminicidi, rendendosene segretamente complici. Le vittime, per diretta conseguenza di queste accuse dette a mezza bocca mascherate dietro domande inutili e indiscrete, si sentono “colpevoli” e quindi non accusano, non denunciano, stanno zitte portando con sé il loro segreto fin nella tomba.
Dovremmo modificare innanzitutto la nostra percezione: smetterla di chiedere alle donne di “stare attente”, di vestirsi coperte, di essere sottomesse. Non sono le donne a dover essere protette (o coperte) ma gli uomini a essere educati al rispetto.
Finché vivremo in una società che giustifica i comportamenti dell’aguzzino e tacitamente punta il dito contro la vittima - soprattutto quando quest’ultima è di sesso femminile - saremo ancora molto lontani dall’eliminare la violenza sulle donne.
“Cosa indossavo” di Mary Simmerling: recitata da Paola Cortellesi
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: “Cosa indossavo?”: la poesia di Mary Simmerling contro la violenza sulle donne
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