Diari e memorie dal fronte (1915-1918)
- Autore: Meuccio Ruini
- Genere: Romanzi e saggi storici
- Categoria: Saggistica
- Anno di pubblicazione: 2018
In guerra, nel 1915, con i capelli che cominciavano a prendere di grigio alle tempie e con l’orgoglio di servire la patria, stando da radicalsocialista vicino ai semplici, ai soldati. Da quella esperienza, Meuccio Ruini ricavò una ventina di libretti di appunti, nove dei quali, superstiti, sono il contenuto di un libro, Diari e memorie dal fronte (1915-1918), pubblicato dalla casa editrice Mattioli 1885 di Fidenza nel centenario della fine della Grande Guerra (2018, 160 pagine, 13 euro).
Si tratta della testimonianza diretta di un italiano e politico illustre, Bartolomeo Ruini, nativo di Reggio Emilia, 1877-1970 (dal 1946, il diminutivo Meuccio sostituì all’anagrafe il nome originario). Attraverso le sue considerazioni è un popolo in guerra a parlare, a cominciare dai soldati, anziani della Milizia territoriale, “La Terribile”, al comando dei quali si ritrovò ufficiale di complemento volontario. Nel 1915, già deputato e consigliere di Stato, mosse mari e monti per entrare nell’Esercito, in fanteria, nel Genio.
Laureato in legge, direttore generale per il Mezzogiorno nel Ministero dei lavori pubblici, consigliere provinciale socialista-riformista a Reggio, comunale a Roma e deputato radicale dal 1913, non era favorevole a un’entrata in guerra “troppo presto e alla cieca”, ricorda nella prefazione la nipote Marieli Ruini. Riteneva necessario prepararsi e attendere il momento giusto, che non sarebbe mancato.
Questo atteggiamento attendista, tutt’altro che ingiustificato, gli attirò la condanna di Giolitti, l’ostilità dei democratici e un attacco concentrico di critiche, che lo marchiarono come “sordo, cieco e neutralista”.
Una volta dichiarata la guerra all’Austria, invece, volontario nonostante gli imminenti 40 anni, insistette per essere mandato al fronte, dove si batté con coraggio e determinazione, meritando una medaglia d’argento al valor militare.
Ma il Genio e la Territoriale gli sembravano un impegno bellico troppo leggero. Chiese e ottenne il trasferimento ai Bersaglieri come ufficiale di complemento, in prima linea e vi tornava, all’occorrenza, anche dopo le disposizioni superiori che avevano richiamato a Roma i parlamentari in divisa. Quando considerava prossima un’azione, il comandante Ceccherini gli telegrafava un messaggio convenzionale e Ruini si precipitava al reparto, attirandosi il sospetto dei commilitoni: “è arrivato l’onorevole menagramo”, si dicevano i bersaglieri al suo apparire.
Erede degli ideali garibaldini paterni (papà Antonio era stato camicia rossa in Trentino nel 1866, dopo aver tentato di arruolarsi appena adolescente nel 1859), si sentiva mosso all’azione. Solo i Carabinieri bloccarono il suo tentativo di andare a combattere per la libertà della Grecia dai turchi, nel 1897, con Ricciotti Garibaldi.
Ideologicamente, si ispirava al pensiero positivista e marxista. Nel 1901 aderì alla Massoneria e divenne uno dei maggiori “dignitari tra i liberi muratori”, informa il prof. Fiorenzo Sicuri, inquadrando il profilo di Ruini nel periodo storico di riferimento.
Tra i fanti piumati del generale Ceccherini si distinse nel 1916, partecipando anche alle terribili battaglie sul Monte San Michele. Redasse numerosi diari e appunti, non tutti conservati. Quelli giunti fino a noi vennero pubblicati per la prima volta nel 1973, nel suo “Ricordi” e sono quelli proposti a cura di Giovanni Fontanesi nell’attuale edizione. Riguardano il periodo luglio-ottobre 1915 e contengono rapide considerazioni politiche, note geografiche sulle province visitate, osservazioni sull’assetto agrario e idrogeologico, passaggi di natura letteraria, spunti critici sulla cattiva organizzazione militare e proposte di riforma di taluni servizi. Restava prevalentemente un amministratore pubblico di professione.
Caratteristico lo stile sincopato degli appunti: periodi molto brevi e asciutti si aprono ogni tanto a considerazioni più ampie, in ragione del maggior tempo a disposizione in certi momenti.
Quinto Battaglione della Milizia territoriale, Caserma Rusticucci di Pavia, ecco il primo incontro con le truppe, tutti richiamati quarantenni, in pratica suoi coetanei. Trecento Genieri nel suo plotone, pochi contadini, per lo più falegnami, artigiani, operai, con famiglia a carico. Il morale è alto, “si ama la patria, si sente la guerra, si odia il tedesco”, ma legittimamente si aspira a non rimetterci la vita.
A fine giugno 1915 sono in zona di guerra, Gradisca d’Isonzo. Si sente il cannone nemico fare danni a Mariano del Friuli. Tra i Comandi nessuno sa dire perché i Genieri siano lì e a cosa servano. Sembrano saperlo bene gli austriaci, che li bersagliano con un 305, un grosso calibro. La Terribile non sbanda. Bella prova. Vengono spediti a Medea, a scavare trincee sullo Judrio. Attività necessaria? L’importante è che siano occupati a fare qualcosa.
A luglio l’attenzione di Ruini è attratta dalla fanteria italiana impegnata sul Monte sei Busi, Trincea delle Frasche, Bosco Cappuccio. Sangue. Meuccio scrive che i nostri avanzano, pur non riuscendo a indicare dove, ma non può fare a meno di registrare voci sull’artiglieria nostra che cessa il tiro troppo tardi, falciando le fanterie grigioverdi all’assalto, finanche di reparti italiani che si decimano a vicenda sparando per sbaglio gli uni contro gli altri.
Con quei “meschini e poveri diavoli” gettati in quella tragedia Ruini divise i rischi, gli orrori e gli errori della guerra. Sentiva di dover stare tra loro e lo ha fatto.
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