La poesia Digitale purpurea appartiene alla raccolta di Giovanni Pascoli I poemetti, pubblicata per la prima volta nel 1897.
I poemetti si aprono con un’epigrafe tratta da Virgilio, "Paulo maiora" ("paulo maiora canamus" scrive il poeta latino nel quarto libro delle Egloghe). Poetiamo con uno stile più alto: questo il significato dell’espressione come la intende Pascoli ponendola a inizio volume.
Rispetto alla raccolta Mirycae, infatti, I poemetti sono componimenti più estesi (sono poemetti, appunto), hanno un andamento prevalentemente narrativo e un verso più disteso (molto spesso sono composti in terzine dantesche).
Con Italy, Digitale purpurea è tra i testi più famosi della raccolta: scopriamo insieme come si struttura metricamente, di cosa narra e cosa significa.
Digitale purpurea: struttura metrica
La poesia è composta da 75 versi divisi in terzine dantesche (strofe composte da tre endecasillabi a rima incatenata, ABA-BCB ecc.). Moltissimi gli enjambement, che creano alla lettura un senso di attesa frammentata: numerosi si collocano tra soggetto e verbo o tra verbo e complemento oggetto (sono tra le spezzature più pesanti), es. "non lo ricordi / quell’orto chiuso?" vv. 11-12).
Digitale purpurea: di cosa parla?
Il poemetto riporta dell’incontro tra due amiche, la bionda Maria e la bruna Rachele, che ricordano insieme gli anni della loro infanzia trascorsi in un convento. Maria è ispirata a Maria Pascoli, sorella di Giovanni (con cui il poeta vivrà fino alla morte, nel tentativo di ristabilire il nido familiare andato in frantumi dopo la morte del padre), e ha un ruolo prevalentemente di spettatrice; sarà Rachele ad avere lo sconcertante coraggio di lanciarsi verso l’ignoto e a confessarlo, dopo anni, all’amica.
Sembra che lo spunto per la composizione del testo nasca proprio da un racconto fatto da Maria: molti anni prima, le suore le avevano vietato di respirare il profumo di una pianta dai fiori rossi, creduta velenosissima (in realtà, la digitale purpurea è sì velenosa, ma solo in elevatissime concentrazioni). Nello svolgersi di versi, il fiore diventerà simbolo della trasgressione e della pulsione erotica.
Proprio da questo fiore, la digitalis purpurea , prende nome il componimento.
La poesia si divide in tre parti
- Prima parte:
Le due protagoniste ricordano insieme gli anni trascorsi in convento. Sono "piccoli anni così dolci al cuore" (v. 10), ma subito coperti da un alone di cupezza: vengono ricordati "i rovi con le more" (v. 12), i canti misteriosi degli uccelli, e il "fior di...? / morte" (vv. 15-16), la digitale purpurea, a cui non avvicinarsi assolutamente perché emana un intenso odore che causa la morte. - Seconda parte:
Solo dopo aver citato il fiore, le due riescono davvero a vedere ("vedono" è l’anafora che apre le prime due terzine di questa sezione, vv. 26 e 29), vicinissimo, quanto fino a quel momento evocato: ricordano la quotidianità del convento, le visite dei parenti, l’aria satura di incenso, le continue litanie. Anche la seconda sezione si chiude con l’immagine della digitale purpurea, i cui fiori vengono umanizzati ("dita / spruzzolate di sangue, dita umane" vv. 48-49). - Terza parte:
Rachele, con grande stupore di Maria, scoppia in lacrime e confessa di aver sfidato la paura e il divieto e di essersi avvicinata al fiore, che, ribadisce l’ultimo verso, porta alla morte.
Digitale purpurea: analisi e temi principali
L’atmosfera che caratterizza il componimento è inquieta e sensuale (decadente), ricca di suggestioni uditive, visive e olfattive (l’incenso, le litanie delle suore e il canto degli uccelli, il giallo sole, il verde dei campi, il bianco delle vesti, il rosso del sangue).
L’intenso profumo emanato dalla digitale purpurea è simbolo della pulsione erotica e di un complicatissimo rapporto con l’amore e la carnalità che caratterizza la vita di Pascoli: l’odore non è solo forte e dolcissimo, ma mortale. In questi termini, che la trasgressione si collochi su un piano puramente onirico o che Rachele abbia fisicamente accolto la carnalità risulta di secondaria importanza.
Non è un caso che fra la bionda, modesta e ingenua Maria e la bruna e scintillante Rachele sia proprio la seconda a cogliere il fiore, aprendosi alla trasgressione, all’amore e alla vita.
Il componimento è caratterizzato da alcune opposizioni molto forti.
- La prima riguarda quella tra innocenza infantile e ardore sensuale: Maria è tutta innocenza ("esile e bionda, semplice di vesti / e di sguardi" v. 2); Rachele, "esile e bruna" invece è ardente (i suoi occhi “ardono” v. 5).
- La seconda è interna alla natura: l’esempio più importante è quello che dà il nome al componimento. La digitale purpurea ha un profumo dolcissimo ed è presentato come molto bello, ma nella sua forma ricorda delle dita insanguinate. È un fiore ambiguo, che strega, chiama a sé. È bellissimo, come tutta la natura, ma di una bellezza angosciante e misteriosa (come angosciante è il verso dell’assiuolo in L’assiuolo o i fiori del gelsomino in Il gelsomino notturno, con cui Digitale purpurea condivide anche parte dei temi).
- La terza, che è strettamente legata alla seconda e si colloca su un piano ancora più profondo, è quella legata all’eros: l’amore da cui Pascoli è tanto attratto è lo stesso che il poeta censura e che teme; a questo amore, Pascoli preferirà la costruzione di un rifugio domestico, con una figura femminile domestica, madre, sorella.
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: "Digitale purpurea": analisi e commento della poesia di Pascoli
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