

In occasione della Giornata mondiale del teatro, che cade il 27 marzo 2025, diamo un’occhiata ai grandi mattatori dell’Ottocento, ovvero quando l’attore era anche l’impresario di sé stesso.
Mattatore: etimologia e significato
Questa particolarità si basa quasi esclusivamente sull’arte dell’attore e non è un caso che gli studiosi classifichino il teatro italiano del secondo Ottocento come “teatro del grande attore” o del “mattatore”.
Il termine deriva dallo spagnolo matador – sostantivo a sua volta legato al verbo uccidere –, indicante il torero deputato a uccidere il toro che, durante la corrida, tiene in pugno anche il pubblico e lo soggioga con le sue esibizioni; viene detto anche espada, perché è l’unico dei toreri in campo a essere armato.
Analogamente l’attore ottocentesco chiamato “mattatore” piegava il testo teatrale alle proprie esigenze sceniche e recitative suscitando l’ammirazione del pubblico. L’espressione grande attore, che di mattatore è sinonimo, non indica solo la bravura ma la sua centralità: in quanto proprietario e direttore della compagnia (allora si chiamava capocomico), è un imprenditore a tutti gli effetti. Rischia il suo capitale con quello che si chiama “rischio di impresa”, perché l’impresa è lui. Gli altri attori della compagnia sono sottoposti da lui scritturati.
Le tre generazioni di mattatori
L’epoca dei mattatori viene distinta in tre periodi corrispondenti a tre generazioni:
- alla prima appartengono Adelaide Ristori, Ernesto Rossi, Tommaso Salvini;
- alla seconda Giovanni Emanuel e Giacinta Pezzana;
- alla terza, definita propriamente “età del mattatore”, Ermete Novelli ed Ermete Zacconi.
Ermete Novelli ed Ermete Zacconi
Ermete Novelli (1851-1919) aveva un aspetto bonario, sottolineato da numerose caricature. Grazie a un volto semplice, cordiale, comunicativo era in grado di entrare in empatia con il pubblico. Nello stesso tempo però, osservarono alcuni cronisti, la sua recitazione aveva un che di eccessivo, straripante, strano che non convinse il grande critico Silvio D’Amico. E pensare che fino ai sedici anni, quando già imparava i rudimenti del mestiere, era analfabeta.
Ermete Zacconi (1857-1948) fu il massimo esponente italiano del realismo a teatro, dove introdusse un verismo interpretativo, sempre rispetto agli standard recitativi dell’epoca. Scrisse di lui un giornalista:
Fu il più fedele interprete dell’uomo come oggi con le sue virtù, i suoi vizi, i suoi pregi e i suoi difetti. È l’artista che in un atteggiamento del viso, in una modulazione della voce, in un sottinteso del gesto riesce a mostrarci tutto un ambiente intimo della vita moderna; pare che egli tenga in pugno tutta la psicologia del nostro tempo.
Tra le sue interpretazioni più note ricordiamo re Lear nell’omonima tragedia di Shakespeare. Come dimostrano alcune fotografie, si preoccupava di sottolineare nella tragedia del vecchio prossimo all’abdicazione i tratti deliranti e patologici del suo dolore: occhi dilatati e bocca semiaperta ad articolare un suono indistinto.
Adelaide Ristori, Giacinta Pezzana e Virginia Marini
Un pensiero a due grandi attrici: Adelaide Ristori (1822-1906) e Giacinta Pezzana (1841-1919).
Il cavallo di battaglia di Adelaide Ristori era la parte di Maria Stuarda nell’omonima tragedia dello scrittore tedesco Friedrich Schiller che interpretò ben 576 volte nel corso della sua carriera artistica. La documentazione dell’epoca ci restituisce uno sguardo particolarmente intenso e trasognato, quello della cattolica regina di Scozia che muore decapitata per ordine di Elisabetta, la regina protestante di Inghilterra.
Un altro personaggio che suscitò il suo interesse fu Lady Macbeth, tanto che l’attrice si fece preparare una traduzione del testo shakespeariano adattata alle proprie esigenze sceniche.
Durante le sue tournée all’estero viaggiava in un vagone personale dotato di ogni comfort degno di una pop star.
Giacinta Pezzana, insieme ai grandi della sua generazione, rappresentò l’anello di congiunzione tra uno stile recitativo meno enfatico e uno più vicino al realismo che troverà in Ermete Zacconi uno degli interpreti più convincenti. Il suo personaggio preferito era la parte della signora Raquin nel dramma tratto dall’omonimo romanzo di Emile Zola.
Giunta alla fine della carriera, l’attrice volle fissare sulla pellicola quella sua creazione scenica per lasciare una traccia duratura anche ai posteri, ma non fu fortunata perché, come spesso accadeva per le pellicole girate nei primi anni del cinema muto, il film andò perduto e solo alcuni fotogrammi sono giunti fino a noi.

Recensione del libro
Teresa Raquin
di Emile Zola
Chiudiamo con un’altra attrice, Virginia Marini. Uno dei suoi personaggi preferiti fu Messalina nel dramma omonimo di Pietro Cossa. Secondo un tipico costume teatrale del tempo, quando l’autore scrisse questo testo le tre più grandi attrici italiane in quel momento in attività si accinsero a recitarlo, dando vita a un confronto a distanza che fu molto apprezzato dal pubblico. Una per esempio costruì un personaggio robusto e forte, un’altra ne sottolineò la subdola grazia e così via.
Tommaso Salvini ed Ernesto Rossi
Di contro, gli attori maschi facevano a gara per interpretare Otello. Tommaso Salvini porto più volte sulla scena il personaggio, che gli consentiva di rappresentare quei caratteri eccezionali a lui congeniali senza tralasciare lo sviluppo psicologico. A riguardo abbiamo un testimone d’eccezione, lo scrittore americano Henry James, che ricorda con queste parole la sua interpretazione:
La sua corporatura possente, agile, maschia, la sua faccia nobile, seria ed espressiva; il suo occhio italiano, la sua voce superba, voluminosa; il suo portamento, il suo tono, la sua spigliatezza, la sicurezza con cui possiede la parte dimostra di poter fare, di esse esattamente ciò che vuole, tutto ciò occupa completamente l’animo dello spettatore.
A recitare l’Amleto invece si specializzò Ernesto Rossi, un attore romantico per eccellenza che fu considerato a lungo nel corso del secondo Ottocento il più efficace interprete di questo personaggio, con uno stile concitato, grandioso e tipico della sua sensibilità recitativa.
Tra i grandi personaggi del drammaturgo inglese non poteva mancare Romeo, che viene interpretato dal Rossi nella postura tipica del giovane innamorato, la mano destra al cuore gli occhi languidi verso la sua Giulietta. Purtroppo quando interpretò la parte, Rossi aveva quasi sessant’anni e questo particolare anagrafico ci fa capire che allora il pubblico non era interessato alla perfetta corrispondenza di tipo naturalistico tra la fisicità dell’attore in carne e ossa e le caratteristiche del personaggio.
© Riproduzione riservata SoloLibri.net
Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: I grandi mattatori del teatro italiano dell’Ottocento
Naviga per parole chiave
Approfondimenti su libri... e non solo News Libri Storia della letteratura Significato di parole, proverbi e modi di dire
Lascia il tuo commento