Un dibattito femminista ante litteram, quello tra Natalia Ginzburg e Alba de Cèspedes, che è interessante leggere in occasione dell’8 marzo.
La condizione della donna è tuttora al centro della cronaca contemporanea e non manca di sollevare un vespaio di polemiche specialmente in riferimento a donne madri e donne non madri; donne lavoratrici e non; donne sposate e non, insomma, per quanto tendiamo a professarci una società liberale sembriamo incapaci di accettare veramente le differenze, ma vorremmo adeguare tutto a un unico canone: ecco “come deve essere la donna del XXI secolo”. Nonostante i cambiamenti sociali e culturali continuiamo a parlare di libertà negate, di soprusi e violenze e del fenomeno - purtroppo in ascesa - del femminicidio. Tutti problemi che, puntualmente, in vista della ricorrenza dell’8 marzo sollevano un gran polverone, un’autentica bufera di voci e di opinioni contrastanti.
Il dialogo sulle donne tra Ginzburg e De Céspedes
Ecco, pensiamo che molti anni fa - settantacinque per l’esattezza - una scrittrice fu chiamata a scrivere sulla “condizione della donna” e, nel suo saggio, colse così perfettamente il punto, il nocciolo della questione, che ancora oggi leggiamo le sue parole con un misto di stupore e ammirazione e, in conclusione, le diciamo “Brava”.
Il discorso sulle donne fu scritto da Natalia Ginzburg nel lontano 1948 sulla rivista Mercurio, eppure non ha perso un briciolo della propria attualità: certo oggi si potrebbero forse contestare alcuni punti centrali che contengono un sottile elogio alla “donna-madre”; la sostanza del testo tuttavia rimane invariata e rivendica la stessa verità che dovette apparire, con palese evidenza, alle lettrici di metà Novecento. La metafora del pozzo di Ginzburg è, ancora oggi, la più efficace rappresentazione della condizione femminile.
Da quel suo saggio potremmo estrapolare una frase in particolare, oggi divenuta un manifesto:
Le donne hanno la cattiva abitudine di cascare ogni tanto in un pozzo, di lasciarsi prendere da una tremenda malinconia e affogarci dentro, e annaspare per tornare a galla: questo è il vero guaio delle donne.
Il testo fu pubblicato nel 1948 sulla rivista Mercurio, a cura dell’editore Darsena di Roma, diretta da Alba de Céspedes. Va detto, innanzitutto che non si trattava di una rivista femminista, così come, del resto, non era femminista neppure la stessa Natalia Ginzburg.
Mercurio era una delle riviste centrali del secondo dopoguerra, vi collaboravano i maggiori intellettuali dell’epoca tra cui Eugenio Montale, Corrado Alvaro, Giacomo Debenedetti, Gaetano Salvemini, Sibilla Aleramo, e sulle sue pagine si trattavano diverse questioni: arte, politica e scienza, come recitava il sottotitolo.
Il saggio di Ginzburg dunque apparve come una folgore inattesa, ma portò un contributo decisivo alla questione al tempo dibattuta della “differenza” tra uomini e donne.
Al principio Alba de Céspedes - all’epoca direttrice di Mercurio - non intendeva pubblicare quel Discorso sulle donne come spiegò all’autrice in una lettera.
Lo scambio tra Ginzburg e De Céspedes getta nuova luce sul dibattito attuale sul femminismo e ci offre interessanti spunti di riflessione.
Il discorso sulle donne di Ginzburg è contenuto nella raccolta Un’assenza. Racconti, memorie, cronache 1933-1988, edita da Einaudi nel 2016 con una prefazione a cura di Domenico Scarpa.
Scopriamo il testo del discorso di Natalia Ginzburg e la replica - altrettanto degna di nota - di un’altra grande scrittrice, Alba de Céspedes che proprio in quegli anni si apprestava a ultimare il suo capolavoro Dalla parte di lei (1949).
Il discorso sulle donne di Natalia Ginzburg (1948)
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Al principio del suo intervento Natalia Ginzburg ammette di essersi già interrogata in precedenza sulla “condizione della donna” e osserva, con l’umiltà di chi è solito pensare molto, di averlo fatto male. Scrisse di aver parlato dell’argomento in un articolo scritto subito dopo la Liberazione e di averlo fatto in modo stupido e superficiale: ora, dunque, intende correggersi e parlare delle donne “per come sono davvero”.
Per farlo la scrittrice non rivolge lo sguardo a delle donne immaginarie, inventate o ideali, ma guarda negli occhi le donne vere, quelle che la circondano: e facendo questo scopre la metafora del pozzo.
E invece avevo tralasciato di dire una cosa molto importante: che le donne hanno la cattiva abitudine di cascare ogni tanto in un pozzo, di lasciarsi prendere da una tremenda malinconia e affogarci dentro, e annaspare per tornare a galla: questo è il vero guaio delle donne.
Le donne spesso si vergognano d’avere questo guaio, e fingono di non avere guai e di essere energiche e libere, e camminano a passi fermi per le strade con bei vestiti e bocche dipinte e un’aria volitiva e sprezzante (…) M’è successo di scoprire proprio nelle donne più energiche e sprezzanti qualcosa che mi indiceva a commiserarle e che capivo molto bene perché ho anch’io la stessa sofferenza da tanti anni e soltanto da poco tempo ho capito che proviene dal fatto che sono una donna e che mi sarà difficile liberarmene mai.
Ginzburg osservandole bene scopre nelle donne qualcosa “di dolente e di pietoso” che non c’è negli uomini. Per evidenziare questa caratteristica comune, questa attitudine a “cascare nel pozzo”, l’autrice mette in luce prima di tutto le differenze tra le donne che - come vedremo - sono molte: Ho conosciuto moltissime donne è il refrain che scandisce il discorso come una poesia ripresa a ogni capoverso.
Ho conosciuto moltissime donne, donne tranquille e donne non tranquille, ma nel pozzo ci cascano anche le donne tranquille: tutte cascano nel pozzo ogni tanto. Ho conosciuto donne che si trovano molto brutte e donne che si trovano molto belle, donne che riescono a girare i paesi e donne che non ci riescono, donne che hanno mal di testa ogni tanto e donne che non hanno mai mal di testa (...)e donne che escono al mattino muovendo il sedere e specchiandosi nelle vetrine e donne che hanno perso l’impiego e si siedono a mangiare un panino su una panchina del giardino della stazione e donne che sono state piantate da un uomo e si siedono su una panchina del giardino della stazione e s’incipriano un po’ la faccia. (...)
Ho conosciuto moltissime donne, e adesso sono certa di trovare in loro dopo un poco qualcosa che è degno di commiserazione, un guaio tenuto più o meno segreto, più o meno grosso: la tendenza a cascare nel pozzo e trovarci una possibilità di sofferenza sconfinata che gli uomini non conoscono forse perché sono più forti di salute o più in gamba a dimenticare se stessi e a identificarsi con lavoro che fanno, più sicuri di sé e più padroni del proprio corpo e della propria vita e più liberi.
Le donne, sostiene Ginzburg, iniziano a “cascare nel pozzo” sin dall’adolescenza quando piangono in segreto soffocando i singhiozzi nelle loro camerette. Da quel momento cadono nel pozzo e scoprono che ci cadranno spesso, ancora molte volte, nelle loro vite. Questo perché - afferma Natalia Ginzburg - le donne pensano molto a loro stesse, ci pensano in modo doloroso e febbrile, sconosciuto ad un uomo.
La malinconia, inoltre, si aggrava quando le donne hanno dei figli: perché da quel momento la loro tristezza e paura si allarga al nuovo nato. Non temono più solo per sé stesse ma anche che il bambino si ammali o abbia freddo o abbia paura, ed ecco che il senso della vita di una donna diventa proteggere e difendere la sua creatura: perché non esiste più solo per sé stessa.
Da ciò Ginzburg conclude che “le donne sono una stirpe disgraziata e infelice” perché non sono mai veramente libere, ma diventano schiave di quella mania di cascare ogni tanto nel pozzo della malinconia. Da notare, tuttavia, che Natalia Ginzburg parla in prima persona e nel discorso include anche sé stessa: nel dire “le donne” parla anche di sé. E nel finale si autoammonisce, si rivolge un rimprovero: ha rivelato il proprio segreto, si è messa a nudo, ma così facendo ha rivendicato la propria appartenenza a una categoria troppo spesso oppressa e incompresa, quella del genere femminile.
Il discorso sulle donne si conclude con una rivendicazione femminista ante litteram: l’appello a essere libere.
Le donne sono una stirpe disgraziata e infelice con tanti secoli di schiavitù sulle spalle e quello che devono fare è difendersi dalla loro malsana abitudine di cascare nel pozzo ogni tanto, perché un essere libero non casca quasi mai nel pozzo e non pensa così sempre a se stesso ma si occupa di tutte le cose importanti e serie che ci sono al mondo e si occupa di se stesso soltanto per sforzarsi di essere ogni giorno più libero. Così devo imparare a fare anch’io per la prima perché se no certo non potrò combinare niente di serio e il mondo non andrà mai avanti bene finché sarà così popolato d’una schiera di esseri non liberi.
Tuttavia permane in Ginzburg una tendenza a subordinare l’universo femminile a una condizione di schiavitù. Secondo Natalia le donne sono schiave di quel pozzo che si portano dentro, da cui lei stessa si prefigge di emanciparsi.
Alba de Céspedes, invece, rivelerà che non è così che in realtà quel “pozzo” metafora della condizione femminile rappresenta una straordinaria opportunità, un vero privilegio.
Il discorso sulle donne: la replica di Alba de Céspedes
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Il degno completamento del Discorso sulle donne di Ginzburg è la lettera che ne consegue, scritta da Alba de Céspedes in persona. Oggi quella lettera rappresenta una forma di complemento dell’acuta intuizione di Ginzburg: in un dialogo “da donna a donna” le due grandi scrittrici del Novecento si confrontano e mettono in luce un lato inedito della condizione femminile.
Nella sua risposta a Ginzburg, De Céspedes scrive:
Mia carissima, voglio scriverti due parole appena finito di leggere il tuo articolo. È così bello e sincero che ogni donna, specchiandosi in esso, sente i brividi gelati nella schiena.
Tuttavia, per un momento, avevo pensato di non pubblicarlo, temendo di commettere un’indiscrezione verso le donne nel rivelare questo loro segreto. Inoltre pensavo che gli uomini lo avrebbero letto distrattamente, o con la loro vena d’ironia, senza intuire l’accorata disperazione e il disperato vigore che è nelle tue parole, e avrebbero avuto una ragione di più per non capire le donne e spengerle ancora più spesso nel pozzo. Ma poi ho pensato che gli uomini dovrebbero infine tentare di capire tutti i problemi delle donne; come noi, da secoli, siamo sempre disposte a cercare di capire il loro. Ti dirò che nel pubblicare il tuo “discorso” ho dovuto vincere un senso istintivo di pudore: lo stesso, certo, che tu avrai dovuto vincere nello scriverlo. Poiché anch’io, come tutte le donne, ho grande e antica pratica di pozzi: mi accade spesso di cadervi e vi cado proprio di schianto, appunto perché tutti credono che io sia una donna forte e io stessa, quando sono fuori dal pozzo, lo credo.
Il motivo per cui De Céspedes pensò di non pubblicare il discorso di Ginzburg fu dunque il pudore. Dalle parole scritte da Natalia, Alba de Céspedes si sentì messa a nudo, scoperta, rivelata. Quel “pozzo” di cui parlava la scrittrice di Lessico famigliare lei lo conosceva bene. Nella sua risposta tuttavia De Céspedes non parla del pozzo con scoramento o vittimismo, ma ne innalza l’immagine facendone un baluardo, una rivendicazione: il pozzo, secondo Alba de Céspedes, non rappresenta la fragilità di una donna, ma la sua forza. Solo le donne possono sprofondare in questo abisso del pensiero, fare questa esperienza quasi speleologica della propria coscienza.
Ma – al contrario di te- io credo che questi pozzi siano la nostra forza. Poiché ogni volta che cadiamo in un pozzo noi scendiamo alle più profonde radici del nostro essere umano, e nel riaffiorare portiamo in noi esperienze tali che ci permettono tutto quello che gli uomini - i quali non cadono mai nel pozzo- non comprenderanno mai.
Nella conclusione della sua lettera De Céspedes sembra significativamente anticipare i temi del suo romanzo capolavoro, Dalla parte di lei, che sarebbe stato pubblicato da Mondadori l’anno seguente, nell’agosto del 1949, ed evidentemente in quel periodo stava fermentando nel profondo della sua coscienza.
Nel pozzo sono pure le più dolorose e sublimi verità dell’amore, anzi, sono nel fondo più profondo di ogni pozzo, ma le donne, tutte le donne delle quali tu parli, vi crollano dentro così pesantemente da riuscire a toccarle. E noi siamo spesso infelici in amore appunto perché vorremmo trovare un uomo che anche lui cadesse qualche volta nel pozzo e, tornando su, sapesse quello che noi sappiamo. Questo è impossibile, vero, cara Natalia?, e perciò è impossibile per noi veramente essere felici in amore. Ma quando si cade nel pozzo si sa anche che essere felici non è poi molto importante: è importante sapere tutto quello che si sa quando si viene su dal pozzo. Chi scende nel pozzo conosce la pietà. E come si può vivere, agire, governare con giustizia senza conoscere la pietà?
In quel pozzo, al contrario di Ginzburg, De Céspedes vede il privilegio proprio dell’essere femminile: la chiave di volta della disparità di genere. Nell’immagine che segue possiamo scorgere un ritratto perfetto della sua protagonista, Alessandra Corteggiani.
La superiorità per una donna è proprio nella possibilità di finire su una panchina, come tu dici, in un giardino pubblico, anche se è ricca, anche se scrive o dipinge, anche se ha occhi belli, gambe belle, bocca bellissima. Anche se ha vent’anni. Perché neppure la gioventù dà alla donna la sicurezza che tanto spesso possiedono gli uomini, e che è solo ignoranza della reale condizione umana.
Le parole di Alba de Céspedes lette oggi appaiono come una profezia del femminismo: la scrittrice di Dalla parte di lei stava annunciando una nuova verità. Le donne dovevano solo acquisire la consapevolezza delle virtù di quel pozzo.
Nel finale De Céspedes si riflette nello sguardo dell’amica scrittrice e rivendica la propria appartenenza al genere femminile con parole che ancora oggi smuovono in noi lettrici un vivo senso di partecipazione, di condivisione e di sorellanza che in seguito avremmo ritrovato nei suoi scritti.
Scusa, mia cara, questa lunga lettera. Ma volevo dirti che, a parer mio, le donne sono esseri liberi. E, tra l’altro, volontariamente accettano di essere spinte nel pozzo; delle sofferenze che esse patiscono nel pozzo vorrei parlarti a lungo, perché tutte le sofferenze sono nella vita delle donne; ma allora, per essere perfettamente onesta, dovrei anche parlarti di tutte le gioie che esse trovano in loro.
E di questo non posso parlarti oggi perché mi trovo - come spesso- nel pozzo.
Recensione del libro
Dalla parte di lei
di Alba de Céspedes
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