Dopo i successi del precedente romanzo Quando le montagne cantano, la scrittrice poetessa vietnamita Nguyễn Phan Quế Mai torna a raccontarci del suo paese e delle storie nate dalla guerra nella guerra e anche dopo la guerra.
L’abbiamo incontrata al festival di Pordenonelegge, dove l’autrice ha iniziato il suo tour europeo che la porterà a presentare il suo nuovo romanzo Dove Vola la Polvere (editrice Nord, 2023, traduzione di Francesca Coticchi).
Il libro nasce con un punto di vista diverso dal precedente. Siamo sempre in Vietnam. L’atmosfera che si respira è quella della guerra ma da un punto di vista diverso, che va oltre. Gli aspetti più opachi conseguenza di quelle guerra la fanno da padrone. Protagonisti diretti (e indiretti) sono i bambini nati da americani e asiatici: gli amerasiatici. Vessati, abbandonati (da tutti), senza diritti considerati negletti. Considerati figli del nemico. Definiti e identificati con un termine ben preciso nella lingua vietnamita, da cui nasce anche il titolo del libro. Sono i Bụi đời, figli della polvere.
Un termine poetico sulla carta, che però nasconde dolore. Sottolinea la consanguineità col nemico, l’essere una minoranza priva di genealogia.
I bambini che hanno nella polvere le loro radici sono senza appiglio e riferimento. Senza un punto fermo. Non possono contare su un paio di braccia aperte pronte ad accoglierli né sul tepore di un caldo abbraccio in cui riposare.
La cosa più triste e tragica dei conflitti è proprio lo sradicamento delle persone, proprio da questo punto inizia il dialogo di Nguyễn Phan Quế Mai con noi .
Nguyễn Phan Quế Mai racconta “Dove vola la polvere”
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Le persone cadono come le foglie dagli alberi nelle guerre. A milioni.
Cadono e vengono soffiate via. Non necessariamente muoiono, possono anche scomparire. Abbandonati in orfanotrofi dove l’essere polvere vuol dire essenzialmente essere abbandonati non solo da chi gli ha generati ma davvero da tutti.
Questo libro Dove vola la polvere, che all’autrice è costato anni di ricerche epistolari fotografiche di interviste, fa emozionare. Dalle lettere, annunci sul giornale e colloqui con veterani si manifestano alcuni auto-racconti pieni di torti subiti e di scelte imposte.
L’idea di questo libro viene da molto lontano, da quando ero bambina. Assistevo inerme nelle strade di Saigon, dove giocavo o semplicemente camminavo, a vere e proprie scene di violenza e bullismo verso questi nati da relazioni tra yankee e donne vietnamite (le Bar Girls).
Erano ritenuti colpa della dissolutezza e di quel dolore che porta la guerra, dove in qualche modo tutti sono colpevoli, artefici e soprattutto vittime.
Un lavoro di ricerca di ben sette anni, iniziato nel 2015 quando Nguyễn Phan Quế Mai incrocia la storia di un veterano statunitense che lungo le strade di Saigon, con un album di foto, chiede ai passanti se riconoscessero la donna che vi era ritratta. Con quella aveva avuto un’intensa storia d’amore. Aveva avuto un figlio. Voleva ritrovarli.
Nel supportare questo veterano nella sua ricerca l’autrice scopre un vero e proprio mondo di storie uguali simili e alla volte terribili. Donne stuprate, figli della violenza abbandonati in orfanotrofi. Bambini nati meticci: yankee neri. Fino ad arrivare alle tristi storie delle Bar Girl.
Ci racconta l’autrice:
Devo dire che parlare e scrivere di queste storie mi ha fatto piangere tantissimo. Soprattutto ho pianto alla fine. Capita spesso, ma questa volta con più intensità.
Quando si inizia a scrivere non si sa mai come andrà davvero.
In questo caso più che in altri. Qui i personaggi mi hanno condotto in modo delicato nelle loro storie, nelle loro delusioni. E pian piano verso il finale.
Ho pianto con loro, in una sorta di catarsi narrativa che avvolge e spero avvolga in un abbraccio tenero e delicato anche il lettore.
Phong, meticcio vietnamita nero, le sorelle Trang e Quynh (Bar Girls ai tempi della guerra) il veterano Dan rappresentano quel delicato abbraccio al lettore. Sono semplici storie vere diventate personaggi immaginati, che emozionano. Infondono speranza in una redenzione possibile. Nulla in loro è didascalico. Tutto narrativo. Sono lineari veri e veritieri nel loro essere immaginati.
Come un albero che piantato, penetra nel terreno e fa radici, piano piano, così la storia dell’autrice vietnamita germoglia. Dura, dolorosa ma anche ricca di quelle foglie verdi e nuove e che danno speranza per una possibile redenzione.
Come ribadisce Nguyễn Phan Quế Mai:
Così ho impostato l’idea del mio romanzo. Le strutture, le tecniche narrative e creative a cui uno scrittore attinge costruiscono il tronco i rami e le foglie dell’intera storia. E poi l’albero fiorisce. Nel momento in cui viene letto.
Perché un racconto, un romanzo, una novella è creata proprio per quel momento.
Questa è la bellezza della narrativa: dà la possibilità attraverso l’immaginazione di un autore di rendere reali e vivi dei personaggi, immedesimandosi in essi.
Io, quando scrivo, mi immedesimo. Vorrei che questo facessero (o riuscissero a fare) anche i mei lettori. E’ il mio obiettivo.
La narrativa è di certo la modalità migliore per documentare una storia, questa narrataci da Nguyễn Phan Quế Mai in modo particolare.
I fatti narrati sono certamente duri, spezzanti alle volte lancianti nel loro descrivere sofferenze. E comunque si rivelano condivisi.
Vissuti dai singoli, ma trasferibili a molti, se non a tutti.
L’autrice vietnamita Nguyễn Phan Quế Mai conclude:
In questi momenti di forte disperazione, quando la speranza e anche la vita sembra averti girato le spalle, penso alla mia infanzia e giovinezza. Quando mia madre ci cantava ninne nanna o poesie. Perché quando ci sono i momenti difficili ci aggrappiamo alla poesia ai racconti alla letteratura per salvarci.
E forse anche questo è il motivo per cui scrivo.
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: “Dove vola la polvere”: il romanzo di Nguyễn Phan Quế Mai presentato a Pordenonelegge
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