Novant’anni di Einaudi. Era il 13 novembre del 1933 quando un gruppo di studenti del Liceo Massimo D’Azeglio di Torino dava origine alla storica casa editrice connotata dal logo dello struzzo e dal peculiare colore bianco nitido totalmente “einaudiano”.
Tutto iniziò, dunque, grazie all’idea di cinque liceali: i loro nomi erano Leone Ginzburg, Massimo Mila, Norberto Bobbio, Cesare Pavese, il più giovane di loro si chiamava Giulio Einaudi ed era nato nel 1912. Fu proprio lui Giulio, figlio quartogenito dell’economista e futuro Presidente della Repubblica Luigi Einaudi, l’anima imprenditoriale del gruppo. Il ragazzo, del resto, aveva una certa esperienza poiché dall’età di diciassette anni si occupava della rivista del padre, La riforma sociale, portandola da centinaia a migliaia di abbonati.
A lui si affiancò Leone, marito di una certa Natalia Levi ora nota come Natalia Ginzburg, che divenne di fatto il primo direttore editoriale della neonata casa editrice, come ricorda lo stesso Giulio Einaudi nelle sue memorie:
Eravamo quattro gatti: c’erano difatti una segretaria, un fattorino, e c’era Leone Ginzburg che abbiamo subito stipendiato...
Iniziava così una bella favola e al contempo una vicenda avventurosa, a tratti drammatica - non mancheranno i lutti e i colpi di scena a costellare la storia della casa editrice, come del resto accade in tutte le storie. L’aspetto più interessante è che la storia di Einaudi oggi non si è ancora conclusa, ma quell’avventura “giovanile” intentata da cinque intraprendenti liceali prosegue ininterrotta da novant’anni e non è invecchiata di un solo giorno, anzi, ha sempre avuto la capacità di rinnovarsi e rinascere come una fenice.
La nascita della casa editrice Einaudi: i libri non conformisti
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La casa editrice Einaudi nacque nel novembre 1933 con uno scopo preciso, anzi, una missione: fare editoria di cultura e la cultura con la C maiuscola, si sa, è inscindibile dalla politica. La Einaudi nacque in una circostanza storica particolare, mentre in Italia si andava affermando il fascismo, e si propose da subito come la più strenua forma di resistenza culturale al regime. Laddove il fascismo imponeva la censura, ecco che i nuovi libri einaudiani facevano eco con il grido: “libertà”.
La casa editrice nasceva in tempi avversi, di certo non propizi per la cultura e le idee, mentre sul Paese si stendeva l’ombra di una dittatura, la Seconda guerra mondiale incombeva come un presagio infernale e con essa lo spettro dei bombardamenti sulla città. In questo scenario oscuro c’era chi ancora osava sperare nel futuro, rispondendo alla minaccia delle bombe e del silenzio con un “diluvio di carta stampata”, perché l’obiettivo primario dell’Einaudi fu quello di stampare libri non conformisti, non sottomessi.
Quei cinque studenti liceali, che si riunirono in un grigio giorno del novembre torinese nella stanza al terzo piano di via Arcivescovado 7, frequentavano classi diverse ma avevano una cosa in comune: erano stati tutti allievi di Augusto Monti, docente e scrittore, che aveva soffiato nelle loro giovani menti l’ideologia antifascista e i valori della cultura, della libertà, dell’impegno civile. Il professor Monti, nel 1935, sarebbe stato arrestato con l’accusa di antifascismo e avrebbe scontato tutta la sua pena, rifiutandosi di scendere a patti con il regime.
I suoi studenti gli avrebbero fatto onore. Questa comunanza di idee, ispirata da Monti, riuniva i ragazzi; nessuno di loro aveva più di venticinque anni e si chiamavano tutti con dei soprannomi amichevoli, Pavese ad esempio era detto “Ces”, mentre Norberto Bobbio era chiamato affettuosamente “Dindi”. Erano soliti riunirsi nei bar e nei locali di Torino per discutere di letteratura, poiché erano parte della stessa “Confraternita”, una sorta di setta letteraria.
L’ultimo a entrare a far parte del gruppo era stato proprio Giulio Einaudi, che era stato introdotto ai membri da Massimo Mila. A scuola Giulio eccelleva nei temi, ma aveva contratto un debito in latino - fu proprio il professor Monti a rimandarlo - e quindi andò a ripetizioni dal bravo Mila che presto gli avrebbe fatto conoscere Pavese, Ginzburg e gli altri.
Da queste menti in fermento, alimentate a pane e letteratura, a cultura e politica, nacque l’idea della casa editrice, ma non solo. I magnifici cinque fondarono anche una rivista, chiamata La Cultura, che avrebbe affiancato il progetto della Einaudi. Le pagine della Cultura per anni ospitarono i contributi di intellettuali antifascisti, critici e letterati. La rivista era diretta da Cesare Pavese, ma ebbe vita breve, durò poco più di un anno, perché ben presto Mussolini mise gli occhi sul giornale e vide il pericolo che quelle parole stampate rappresentavano. Il primo a essere arrestato fu Leone Ginzburg, mentre Pavese fu condannato a due anni di confino.
Anni Quaranta: la resistenza einaudiana
Mentre i compagni scontavano l’ingiusta pena, Giulio Einaudi continuò a mandare avanti la casa editrice, sebbene con poche risorse. Nel 1940 sarebbe giunta, da Roma, una certa Natalia - la compagna di Leone Ginzburg - a dare manforte all’editore. La sua presenza sarebbe stata fondamentale per lo sviluppo della linea editoriale einaudiana: Natalia Ginzburg, definita inizialmente da Einaudi come una “lettrice formidabile”, avrebbe in seguito tradotto la Recherche di Marcel Proust e, dopo la morte del marito Leone ucciso per mano dei fascisti nel carcere di Regina Coeli, avrebbe acquisito un peso sempre maggiore nell’organigramma della casa editrice sino a diventare responsabile, insieme a Pavese e Vittorini, della collana dei “Narratori contemporanei”.
In seguito la stessa Ginzburg avrebbe definito quegli anni come “l’età eroica dei vecchi amici”.
Einaudi pubblicava libri rivoluzionari, “non sottomessi” appunto: fu il primo editore dei Quaderni e delle Lettere dal carcere di Antonio Gramsci e portò per la prima volta in Italia, nel 1938, L’autobiografia di Alice Toklas di Gertrude Stein. La resistenza, insomma, la facevano i libri; mentre il mondo veniva schiacciato nella morsa dell’antisemitismo, la Einaudi stampava le memorie di un comunista e un’autobiografia scritta da un’ebrea che senza indugi si professava lesbica.
Intanto la casa editrice sopravviveva persino sotto i bombardamenti che, durante la guerra, devastavano la città. Memorabile, nel ricordo di Giulio Einaudi, il secondo bombardamento su Torino: dopo la devastazione entrò nell’ufficio per vedere quanto si era salvato tra le macerie ed ecco che poi, radunata una manciata di fogli, ricominciò a correggere le bozze. Di quegli anni, nel libro Conversazione con Giulio Einaudi a cura di Severino Cesari, l’editore ricorda:
Si lavorava felici (...) perché vedevamo che si avvicinava la fine del nazismo, di quella mostruosità. E si pensava di poter progettare il futuro.
Il gesto compiuto da Giulio Einaudi: prendere in mano carta e penna e correggere, editare, tra le macerie simboleggiava proprio la speranza nel “futuro” in procinto di arrivare.
In quel periodo la casa editrice avrebbe iniziato a diversificare la propria produzione saggistica e narrativa; in quel contesto, la guida illuminata di Cesare Pavese si sarebbe rivelata fondamentale. Il decennio “resistenziale” si sarebbe concluso tragicamente proprio con la morte di Pavese, nell’agosto del 1950.
“Non fate troppi pettegolezzi”, avrebbe scritto sul suo biglietto d’addio al mondo il sempre giovane “Ces” che era stato mente e cuore pulsante della casa editrice per circa un ventennio. Era il secondo grave lutto per la Einaudi, dopo la tragica morte di Leone Ginzburg nel 1944. La stessa Natalia Ginzburg avrebbe ricordato con sgomento quel suicidio in numerosi suoi scritti, tra cui Frammenti di memoria:
Fu anche una perdita incolmabile per la casa editrice. Pavese aveva in mano tutto. La sua morte fece vacillare l’intiera casa editrice nelle fondamenta. Ci sentimmo come un branco di topini ciechi.
Un po’ del futuro in procinto di arrivare era morto con Pavese; ma anche la sua assenza si faceva presenza nel ricordo e l’avventura einaudiana non si era conclusa.
Giulio Einaudi avrebbe ricordato il peso di queste morti, ma soprattutto il loro importante lascito, nella sua conversazione con Severino Cesari:
Tutte queste morti hanno pesato come montagne. Anche le assenze, di chi è andato via. E anche i muri lo sanno che quando prendo un’iniziativa, ho l’abitudine ormai, nella mia mente, di convocare questi assenti, anche i vivi ma comunque assenti, e chiedere loro consiglio. Che cosa può pensare Pavese? Che cosa può pensare Leone?
Il segreto della lunga vita della Giulio Einaudi Editore è in fondo anche questo: non ha mai smesso di dialogare con i suoi morti, ha tratto insegnamenti persino dalla funerea “danza degli addii”, continuando a credere strenuamente nell’avvenire, in un futuro ancora da progettare. Come ricorda Ernesto Ferrero, un altro grande nome e pioniere della casa editrice Einaudi recentemente scomparso, nel libro I migliori anni della nostra vita, la sfida era:
Il gusto di inseguire qualcosa che aspetta al di là dell’orizzonte conosciuto, di scovare prima degli altri le cose che stanno nascendo o maturando. Correre senza fermarsi, non accontentarsi mai, guardare sempre in avanti, rilanciare la posta.
Anni Cinquanta-Sessanta: l’arrivo in Einaudi di Vittorini e Calvino
E poi, si chiedeva Einaudi, “cosa pensava Calvino”? Perché gli anni Cinquanta segnarono l’arrivo in casa editrice di quel ragazzo ligure che Pavese chiamava scherzosamente “lo scoiattolo della penna”.
Il neofita Italo Calvino, con la benedizione di Pavese, avrebbe aperto la casa editrice a una progressiva sperimentazione e contaminazione di generi. Gli anni Cinquanta furono anni di grande ricerca letteraria, contraddistinti soprattutto dalla rivista Il Menabò e dalla collana I Gettoni di Elio Vittorini che lanciò grandi nomi della letteratura italiana, tra cui lo stesso Calvino con Il sentiero dei nidi di ragno e Beppe Fenoglio, Anna Maria Ortese e Lalla Romano.
Sull’attività di editor di Vittorini, però, pesò eternamente il “gran rifiuto” de Il Gattopardo di Giuseppe Tomasi di Lampedusa, che fu pubblicato dall’“avversaria” Feltrinelli.
Anni Settanta: la Storia di Elsa Morante e il fenomeno bestseller
Gli anni Settanta einaudiani furono rivoluzionati da quella scrittrice che “vestiva lunghe gonne, come una zingara”. Stiamo parlando di Elsa Morante, approdata in Einaudi nel 1948 dopo l’invio del manoscritto di Menzogna e sortilegio a Natalia Ginzburg, che proprio nel 1974 pubblicò in edizione economica il suo capolavoro, La Storia, un successo da oltre un milione di copie.
Furono anche gli anni ruggenti della nuova collana calviniana, Centopagine, che si proponeva di presentare i grandi narratori di ogni tempo attraverso un innovativo formato: non un romanzo lungo, ma un racconto breve, di cento pagine per l’appunto. Il promettente sottotitolo della collana era “Collezione di grandi narratori diretta da Italo Calvino”. Tra gli autori riscoperti dal vivace intelletto di Calvino troviamo i racconti di Dostoevskij, Maupassant e Flaubert, oltre alla pubblicazione degli inediti Thomas Nasche e Laurence Stern.
Quella stagione di successo sarebbe presto stata eclissata dallo spettro incombente della crisi che avrebbe scosso nelle fondamenta la casa editrice.
Einaudi: dalla crisi degli anni Ottanta a oggi
La crisi finanziaria degli anni Ottanta portò la Einaudi a rinnovarsi profondamente, compiendo una seconda resistenza. La casa editrice cercò di adattarsi al cambiamento dei tempi pubblicando autori nuovi, collaborando anche con la francese Gallimard, e inaugurando la collana delle Microstorie.
Nel 1994 il marchio Einaudi sarebbe stato acquisito da Mondadori, senza tuttavia perdere la sua identità e soprattutto la sua missione primaria, ovvero la “politica della cultura”. L’editoria, sosteneva Giulio Einaudi, è soprattutto conoscenza degli uomini e come ogni rapporto umano, quindi, deve essere stimolata di continuo e non spenta nella monotonia della routine.
L’editore tenne fede al suo proposito sino alla fine, credendo nel “progetto” che differenziava l’editoria vera dalla corporation anonima, ovvero dall’azienda che per far tornare i conti inseguiva vanamente il fenomeno da Giulio Einaudi scherzosamente definito “del falso bestseller”. Einaudi, invece, non rinunciò mai a pubblicare un libro di alta cultura perché scoraggiato dalle pieghe di bilancio; ed è questo che ha fatto la differenza. La casa editrice tuttavia non ha mai rinunciato a innovarsi, inaugurando anche la nuova collana Einaudi Stile Libero dedicata ai principali titoli degli autori italiani contemporanei. Tradizione e rinnovamento sono sempre stati i capisaldi entro cui si è mossa la casa editrice, tenendo fede al “progetto” dell’ultimo ragazzo di via dell’Arcivescovado 7.
L’identità einaudiana, ovvero“ l’editoria sì”
Giulio Einaudi era il più giovane dei cinque studenti del liceo d’Azeglio in quel lontano novembre del 1933 e sarebbe stato l’ultimo tra loro ad andarsene, nel 1999, certo di lasciare il timone ben saldo e il vento in poppa.
Rimaneva fortissima l’identità del logo Einaudi, simboleggiato fieramente dallo struzzo sotto cui capeggiava il motto latino:
Spiritus durissima coquit
Letteralmente: “lo spirito digerisce anche le cose più dure”. Era quello del resto il fondamento su cui la Giulio Einaudi editore era stata fondata e a cui avrebbe tenuto fede per tutta la sua storia che prosegue tuttora dopo novant’anni e non è invecchiata di un giorno. C’è una differenza, sottolineava Einaudi facendo eco al suo caro Vittorini, tra “editoria sì ed editoria no”. “L’editoria no”, affermava, compiva scelte fondate sulla vacuità, mentre “l’editoria sì” costruiva un percorso duraturo, capace di lasciare una traccia nel tempo.
Ecco perché l’identità einaudiana è ben salda sulle zampe dello struzzo, simbolo eterno della casa editrice: il colore è il bianco, richiamato anche dalla storica sede torinese di via Biancamano 2, il carattere è Garamond Simoncini, coniato apposta in tipografia per i libri della casa editrici. E i libri sono “non conformisti, non sottomessi” ed è tutto questo a fare la differenza tra i lettori einaudiani e non.
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: 90 anni di Einaudi: la storia della casa editrice italiana che ha promosso “l’Editoria Sì”
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