Come dice il celebre detto: nella vita puoi fare migliaia di cose buone, ma verrai ricordato per il tuo unico errore. Questa sorta di “damnatio memoriae” ha colpito anche uno dei migliori scrittori della nostra narrativa novecentesca: Elio Vittorini, perennemente associato al suo “gran rifiuto” de Il Gattopardo di Giuseppe Tomasi di Lampedusa.
La vulgata che è derivata da questo fatto è nota: bravo scrittore Vittorini, ma era meglio se non si dedicava al lavoro editoriale. Molti giungono persino a insinuare che, in quanto scrittore, Vittorini fosse il meno indicato a giudicare l’opera altrui poiché il suo parere poteva essere offuscato da invidie o da una certa competitività letteraria, portandolo quindi a esprimere opinioni parziali. Son pregiudizi, naturalmente, alimentati da chi non lavora davvero nel settore dell’editoria.
Possibile che lo scrittore di Uomini e no e Conversazione in Sicilia non si fosse reso conto di avere tra le mani un capolavoro?
Quale motivazione avrebbe guidato la sua bocciatura? Di questa faccenda raramente vengono analizzati i retroscena: si citano testualmente le parole di rifiuto, la famosa lettera che venne inviata all’autore, e si punta il dito contro Vittorini. Si dimentica di dire che la macchina editoriale è complessa, funziona alla stregua di ogni industria ragionando su ricavi e guadagni, e la bocciatura de “Il Gattopardo” non è da imputare al giudizio di un uomo solo.
La verità, come accade sovente in questi casi, è diversa. Il pettegolezzo, alimentato dalle malelingue, su Vittorini e il rifiuto editoriale del Gattopardo di recente è stato in parte smentito dal critico letterario Gian Carlo Ferretti che ricostruì la vicenda ne La lunga corsa al Gattopardo (Aragno, 2008). Ferretti scagiona Vittorini dall’accusa di essere stato l’unico colpevole del - peraltro duplice - rifiuto: ribadisce, invece, che giocarono un ruolo cruciale le due sedi editoriali nelle quali lo scrittore lavorava, Mondadori ed Einaudi.
Secondo il critico letterario nel corso degli anni è stata alimentata sul caso una “vulgata tenace quanto scorretta”.
Come sappiamo Il Gattopardo sarebbe giunto al successo postumo, edito da Feltrinelli grazie al sostegno di Giorgio Bassani, e avrebbe conquistato il Premio Strega nel 1959, divenendo il successo che oggi noi tutti conosciamo, il libro dei record, oltre 100mila copie vendute, il primo bestseller italiano.
Scopriamo come andarono veramente le cose. Leggenda narra che Vittorini rifiutò il “Gattopardo” per ben due volte, prima come consulente editoriale di Mondadori, poi di nuovo per Einaudi: ma cosa accadde di preciso?
Il lavoro editoriale di Elio Vittorini
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La testimonianza dell’eccelso lavoro editoriale di Elio Vittorini ce la offre Giulio Einaudi nella lunga intervista Colloquio con Giulio Einaudi di Severino Cesari, testo pubblicato per la prima volta da Theoria nel 1991 e poi riedito da Einaudi nel 2007.
A proposito del suo collaboratore, l’editore Einaudi formula un omaggio encomiabile:
Nel ricordo, una sensazione di rinnovamento continua ad accompagnarsi al nome di Vittorini.
Giulio Einaudi ricorda Vittorini a partire dalla collana Americana, ideata per Bompiani, che affascinò molto Cesare Pavese; per poi raccontare dell’esperienza de Il Politecnico, che da faro guida ideologico dell’Italia del dopoguerra attraversò una forte crisi economica, divenendo da settimanale a mensile, e fu infine costretto a chiudere i battenti. Poi Vittorini gestì la direzione de Il Menabò in coppia con Italo Calvino, rivista culturale sulla quale scrissero i maggiori autori e critici letterari dell’epoca, da Volponi, a Leonetti, a Manganelli.
E, ancora, seppe innovare con la creazione della collana “I Gettoni” nella quale si proponeva di pubblicare scrittori giovani, nuove voci della narrativa. Molti talenti della narrativa italiana sarebbero sbocciati proprio grazie all’idea di Vittorini: da Mario Rigoni Stern a Lalla Romano, da Leonardo Sciascia ad Annamaria Ortese.
Il titolo esplicativo della collana fu spiegato da Vittorini nei seguenti termini: perché “I Gettoni”?
Per i molti sensi che la parola può avere di gettone per il telefono (e cioè di chiave per comunicare), di gettone per il gioco (e cioè con valore che varia da un minimo a un massimo) e di gettone come pollone, germoglio ecc. - Poi suscita immagini metalliche e cittadine.
La parola cardine del lavoro editoriale di Vittorini era dunque, come notato da Einaudi, “rinnovamento”: va da sé che questo termine strideva fortemente con una narrazione dall’impianto ottocentesco quale è Il Gattopardo.
Elio Vittorini e il rifiuto del “Gattopardo”
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Proprio nel contesto, seppur vincente, della collana “I Gettoni” avvenne il “gran rifiuto”, quello da intendersi proprio in senso categorico, senza ritorno: nel luglio del 1957, Vittorini bocciò Il Gattopardo di Giuseppe Tomasi di Lampedusa, adducendo come pretesto che la collana editoriale era “satura”. La lettera era datata “Milano, 2 luglio 1957”:
Tuttavia, devo dirle la verità, esso non mi pare sufficientemente equilibrato nelle sue parti, e io credo che questo “squilibrio” sia dovuto ai due interessi, saggistico (storia, sociologia, eccetera…) e narrativo, che si incontrano e scontrano nel libro con prevalenza, in gran parte, del primo sul secondo.
Secondo la leggenda Vittorini motivò la scelta dichiarando l’insufficiente qualità dell’opera; in verità, a quanto afferma Ferretti, il giudizio complessivo sul romanzo fu redatto da Giuseppe Grasso e Raffaele Crovi, mentre Elio Vittorini si limitò a redigere la celebre chiusa, che Tomasi di Lampedusa ricevette appena due giorni prima di morire.
Purtroppo mi trovo nell’assoluta impossibilità di prendere impegni o fare promesse, perché il programma dei ‘Gettoni’ è ormai chiuso per almeno quattro anni. Ho già in riserva, accettati per la pubblicazione, una ventina di manoscritti che potranno uscire al ritmo di non più di quattro l’anno.
Lo scrittore siciliano sarebbe morto il 23 luglio 1957, a causa di un cancro ai polmoni, senza mai vedere il suo libro pubblicato.
Pare che la lettera di rifiuto, in cui si definisce il manoscritto insufficiente e prolisso “per più di una buona metà il romanzo rasenta la prolissità”, fu redatta da Raffaele Crovi e Vittorini si fosse limitato a firmarla dando quindi la sua approvazione. L’opinione - tra l’altro senza sconti - che noi leggiamo non è dunque quella di Elio Vittorini, ma sono le parole di Crovi.
Secondo Ferretti, come del resto motiva la stessa risposta di Vittorini, la scelta dello scrittore fu dettata da ragioni editoriali: Il Gattopardo, proprio per il suo impianto narrativo storico e di stampo ottocentesco, non si adattava alle “giovani voci della narrativa italiana” che “I Gettoni” intendevano coltivare e pubblicare.
In breve si potrebbe dire che Vittorini non considerava il Gattopardo di Lampedusa un libro al passo con i tempi moderni, come avrebbe dichiarato in seguito in un’intervista.
Tutto ciò si ricollega anche al precedente rifiuto - benché più controverso - avvenuto appena un anno prima, quando Elio Vittorini era consulente di Mondadori. Anche in quell’occasione lo scrittore rifiutò il libro di Lampedusa, impedendone di fatto la pubblicazione, ma è lecito pensare che in quel frangente - proprio per il suo ruolo di coordinatore editoriale - Vittorini il manoscritto non lo avesse neanche letto, ma si fosse limitato a leggere e analizzare le lettere valutative presentategli da Adolfo Ricci, Sergio Antonelli e Angelo Romanò.
Risultato: Vittorini il 22 ottobre del 1956 rinviò il manoscritto al mittente giudicandolo “monco”, mancante di qualcosa. Il testo fu rispedito a Lucio Piccolo, che faceva da tramite tra Lampedusa e la Mondadori.
Manca comunque di qualcosa che rende monco il libro pur pregevole. Non si può far capire all’autore che dovrebbe rimetterci le mani (e in qual senso)?
Dunque, il primo parere di Vittorini non fu propriamente una “bocciatura”; anzi, suggeriva all’autore di rimettere mano al libro, di migliorarlo, forse oggi si parlerebbe di un buon lavoro di editing. Auspicava che lo scrittore potesse rivedere e aggiustare l’opera che, tra l’altro, in quella stesura mancava ancora di alcuni capitoli.
Anche se come modi, tono, linguaggio e impostazione narrativa può apparire piuttosto vecchiotto, da fine Ottocento, il Suo è un libro molto serio e onesto dove sincerità e impegno riescono a toccare il segno in momenti di acuta analisi psicologica.
Il primo rifiuto, nel 1956, non fu proprio un rifiuto nel pieno senso del termine; mentre, per quanto riguarda il secondo, potremmo dire che Elio Vittorini fu motivato - in parte influenzato - dalle logiche editoriali e commerciali dell’epoca. Non da ultimo va detto che la collana “I Gettoni” avrebbe chiuso proprio l’anno successivo, nel 1958, dopo aver ultimato le pubblicazioni programmate. Erano stati pubblicati in tutto 49 autori, di cui solo 8 stranieri (tra questi figuravano Marguerite Duras e Jorge Luis Borges).
La collana einaudiana di Vittorini inoltre si occupava di opere di tutt’altro genere ed è anche probabile che l’opera di Lampedusa non rientrasse in pieno nel gusto dello scrittore del Politecnico che era animato da un sentimento anti-aristocratico, da ideali più libertari.
Questa curiosa vicenda editoriale che spesso fa dire con indignazione: “quindi quanti altri capolavori letterari sono stati rifiutati a causa di un giudizio sbagliato?” ci fa indubbiamente riflettere sul peso delle dinamiche di valutazione e di mercato sulla letteratura. Però, in fondo, Vittorini potremmo anche assolverlo e così salvarlo dalla “damnatio memoriae” che gli è toccata in sorte: del resto, va detto, lui fu sempre coerente con sé stesso, fedele al proprio sperimentalismo letterario e impegno ideologico.
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: Elio Vittorini e il rifiuto editoriale de “Il Gattopardo”: cosa accadde veramente?
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