Il 12 gennaio 1906 nasceva in Lituania il filosofo Emmanuel Levinas. Nelle opere di Emmanuel Levinas prende forma una delle riflessioni più originali del Novecento: anche se profondamente influenzato dal pensiero di Husserl e di Heidegger, di cui fu allievo, egli elaborò una filosofia che si distanzia non solo dalla fenomenologia e dall’esistenzialismo ma anche dallo strutturalismo e dal post strutturalismo che dominavano la cultura francese del secondo dopoguerra.
Protagonista di una vicenda personale rocambolesca e a tratti disperata, nella sua vita Levinas fu educato ai precetti della Torah, combatté nella seconda guerra mondiale, scampò la morte per il solo fatto di esser stato arruolato come ufficiale e fu poi uno dei protagonisti del rinnovamento della cultura ebraica dopo la Shoah.
In concetti che sono divenuti un contrassegno inconfondibile della sua filosofia, quali l’etica come filosofia prima e il volto dell’altro uomo come manifestazione di un’insormontabile alterità che chiama in causa l’infinito, Emmanuel Levinas ha espresso la carica dirompente di un pensiero quanto mai attuale, e necessario, nel tempo presente.
Oggi, 12 gennaio, nell’anniversario della sua nascita, scopriamo insieme la vita, le opere e il pensiero del filosofo francese di origini ebraico-lituane Emmanuel Levinas.
La vita e le opere di Emmanuel Levinas
Di origini lituane, Emmanuel Levinas (Kaunas, 12 gennaio 1906 - Clichy, 25 dicembre 1995) si formò inizialmente sui testi della tradizione ebraica, lesse voracemente i classici russi e assistette in Ucraina alle vicende della Rivoluzione Russa. Giunto in Francia all’età di diciassette anni, inizia a studiare filosofia a Strasburgo per poi spostarsi, dopo pochi anni in Germania a Friburgo dove si concentra sulla fenomenologia di Husserl e diviene allievo di Martin Heidegger.
Rientrato a Parigi, acquisisce la cittadinanza francese, stringe i primi contatti con l’ambiente accademico e conosce grandi personalità della cultura francese come Marcel, Lacan, Merleau-Ponty e Kojeve, di cui seguirà le lezioni.
Vive in prima persona la tragica esperienza della secondo conflitto mondiale: arruolato nell’esercito francese, sarà deportato in un campo di sterminio e, nonostante le sue origini ebraiche, riuscirà a salvarsi per il solo fatto di essere un graduato.
All’indomani della guerra, di nuovo a Parigi, collabora alle attività del Collège Philosophique, dove tiene anche letture e commenti del Talmud; nel corso degli anni successivi insegna in diverse università francesi (Poitiers, Paris-Nanterre, Sorbona) e diviene uno dei filosofi più originali e apprezzati del vecchio continente pur prendendo le distanze dall’esistenzialismo, dal marxismo e comunismo, e mostrandosi molto critico verso lo strutturalismo di Levi-Strauss e verso gli eventi del Sessantotto.
I suoi capolavori sono Totalità e infinito (1964) e Altrimenti che essere o al di là dell’essenza (1971); tra le altre opere degne di nota ricordiamo:
- Dall’esistenza all’esistente (1947);
- Il tempo e l’altro (1948);
- Umanesimo dell’altro uomo (1974);
- Etica e infinito (1982).
La totalità e l’infinito per Emmanuel Levinas
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La filosofia di Levinas prende le mosse da una critica alla tradizione filosofica precedente, che egli chiama ontologia, sulla scia di quanto già aveva proposto Heidegger: in gran parte dei suoi precedenti tentativi il pensiero occidentale ha sempre tentato di ricondurre il molteplice e il diverso all’uguale, di ridurre l’Altro al Medesimo, di far rientrare la differenza, considerata negativamente, in una più rassicurante totalità.
La totalità è un atteggiamento, un modo d’essere; è il nostro ordine, il nostro orizzonte di senso, tutto ciò che si raccoglie intorno al soggetto e che è riconducibile, anche, ai suoi bisogni, alle strategie che il soggetto mette in atto per soddisfarli, alla sua sete di possesso.
Ciò vale anche sul piano conoscitivo: tutti i filosofi che, nelle loro teorie della conoscenza, hanno tentato di mediare tra il soggetto e ciò che era fuori di esso, esteriore, hanno sempre concepito un terzo termine, un elemento mediano che, però, era riconducibile al soggetto, all’io. A mo’ di esempio possiamo pensare a filosofi, come Protagora, che hanno affermato che l’uomo è misura di tutte le cose per dire che tutto ciò che ci circonda viene ricondotto al nostro modo di valutare e ai nostri canoni; a Hume che tra il soggetto e l’oggetto aveva posto le impressioni e le idee, anch’esse interne al soggetto; a Kant, che aveva attribuito all’Io penso una funzione unificatrice, di sintesi, mediante la quale il conosciuto, ciò che sta al di fuori di noi, era ridotto a fenomeno incasellato nelle nostre strutture conoscitive, nelle categorie.
Nella totalità, dunque, viene messo in atto un processo di riduzione del diverso (qualunque cosa sia, può trattarsi di un oggetto o di una persona) a ciò che è uguale, al Medesimo, ovvero a noi stessi: si tratta di una “filosofia della potenza” che annulla ogni forma di alterità e di trascendenza, e che porta con sé il rischio del solipsismo, di un soggetto che, in realtà non esce da sé stesso e, quindi, non ha alcuna possibilità di agire eticamente.
Secondo il nostro filosofo, nella nostra esperienza c’è, però, qualcosa che resiste a ogni tentativo di possesso: il volto dell’Altro, che esprime una differenza irriducibile rispetto a noi, che impone un limite al nostro potere.
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La nozione di Altro in Levinas è polisemica: l’alterità può essere quella di un altro essere umano che ci si fa incontro, ossia del nostro prossimo, ma anche quella dell’Assoluto, di Dio, un’alterità del tutto trascendente al quale il prossimo rimanda, o, ancora, può trattarsi dell’alterità generalmente intesa, come differenza che si contrappone a noi, al Medesimo e ai suoi tentativi fagocitanti di ricondurre tutto a sé stesso.
L’Altro, dunque, ci costringe ad andare oltre la nostra soggettività egoistica: nel volto, che è la modalità in cui l’Altro si manifesta, ritroviamo un Tu irriducibile all’io, una realtà che dotata di una proprio e autonomo significato, e assolutamente trascendente (che esula totalmente da noi).
Questa trascendenza, questa completa irriducibilità alle nostre categorie, dischiude anche l’infinito, lo richiama, è proprio la modalità in cui l’infinito si manifesta all’uomo. Se volessimo usare termini meno tecnici potremmo affermare, semplificando, che nel volto del prossimo, di un altro essere umano, si manifesta la presenza di Dio, di un Altro che è una realtà totalmente trascendente.
Non solo, il volto ha anche un valore etico, perché ci chiama in causa, ci obbliga a metterci in discussione e ci rende responsabili:
“Il volto mi chiede e mi ordina.
Fare qualcosa per un altro. Donare. Essere spirito umano significa questo.
Io non intercambiabile, sono io nella misura in cui sono responsabile. Io posso sostituirmi a tutti, ma nessuno può sostituirsi a me. Questa è la mia inalienabile identità di soggetto”.
Siamo, dunque, irrimediabilmente coinvolti con l’Altro, siamo responsabili di lui, ma anche delle azioni che l’Altro compie verso terzi: è qui che vediamo in azione uno dei principali precetti dell’ebraismo, la giustizia, che secondo Levinas si incarna nelle leggi di uno Stato e che deve sempre essere affiancata all’amore e alla carità, che possono contribuire anche a modularla.
Il primato dell’etica e il suo legame con la religione
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Nell’altra fondamentale opera, Altrimenti che essere o al di là dell’essenza, Emmanuel Levinas distingue tra essere e altrimenti che essere: con il primo termine egli indica l’accadere dell’essere ossia, heideggerianamente, l’essere che si disvela nell’esistenza dell’uomo e nella sua libertà, quindi, semplificando, la dimensione egoistica dell’uomo.
Al di là di tale essere c’è l’incontro con l’Altro, che si esibisce attraverso il volto, e con il quale va intrattenuto un discorso che mantiene la sua irriducibile differenza da noi. Con l’Altro, dunque, si intrattiene una relazione etica che oltrepassa, e che allo stesso tempo precede, la nostra dimensione egoistica e totalitaria, e che per questo coincide con la filosofia prima ossia con la metafisica.
A loro volta, l’etica e la metafisica coincidono anche con la religione perché l’etica chiama in causa l’Altro come prossimo e, contemporaneamente, l’Altro come Dio. Il Dio di cui parla Levinas, come afferma anche il Vecchio Testamento, è invisibile e inoggettivabile (“non ti farai immagine alcuna di ciò che è lassù in cielo”, recita il Deuteronomio) per questo l’incontro con il prossimo diventa, secondo Levinas, occasione di incontro con Dio:
“Non può esserci alcuna “conoscenza” di Dio a prescindere dalla relazione con gli uomini”
In questa visione della religione Emmanuel Levinas esalta la fede monoteistica, che professa un Dio trascendente e che è l’unica in grado di garantire la netta separazione, l’incolmabile distanza tra Creatore e creature. Per la stessa ragione, però, Levinas considera positivamente l’ateismo, almeno come momento di passaggio, che permette di giungere a una fede davvero autentica.
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: Chi è Emmanuel Levinas, il filosofo sopravvissuto ai campi di sterminio
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