Ci sono figure storiche la cui natura sconfina nell’immaginario del mito: una di queste è Empedocle, il filosofo presocratico ritenuto da Aristotele il padre della retorica in quanto era “omerico e grave nelle espressioni”.
Sulla sua vita le notizie reperibili sono scarse, forse proprio a causa di questa lacuna informativa, unita al mistero legato alla sua morte, da figura storica Empedocle è divenuto personaggio e la sua esistenza si ammanta di un alone inespugnabile di leggenda.
Il filosofo greco ci fissa con occhi penetranti dai rari ritratti tramandati ai posteri, sembra ancora chiuso nella sua studiata inconoscibilità, come un mago che ormai ha compiuto il suo sortilegio e si fa beffe dei mortali che non credono alla profezia della vita eterna.
Sappiamo per certo che nacque ad Agrigento attorno al 490 a.C., motivo per cui spesso è nominato come Empedocle di Agrigento. Si dedicò tanto alla filosofia quanto alla politica come oratore e, proprio per cause politiche, fu costretto ad abbandonare la sua città natale insieme a un ristretto gruppo di collaboratori. Pare che Empedocle, oltre che di filosofia, si intendesse anche di arti magiche; ma qui è dove la sua storia sconfina nel mito unita alla leggenda tramandata riguardo la sua misteriosa morte.
Si racconta infatti che il filosofo presocratico si gettò nel cratere vulcanico dell’Etna per provare la propria teoria sull’immortalità.
Empedocle: vita e pensiero del filosofo presocratico
Come tutti i filosofi presocratici, anche gli studi di Empedocle si concentrarono sulla cosmogonia, ovvero sull’origine del cosmo e la materia primaria dell’universo. L’innovazione portata dal pensatore di Agrigento fu di individuare due forze in opposizione al principio dell’Essere che creano il divenire costante della materia: secondo Empedocle queste due forze erano Eros e Thanatos, ovvero Amore e Morte, dal filosofo intese anche nella duplice accezione di Philia (Amicizia) e Neikos (Odio).
Da questa concezione deriva l’idea di un mondo inteso come caos ordinato, in continua evoluzione magmatica: sono Eros e Thanatos i principi regolatori dei quattro elementi, acqua, aria, terra e fuoco, dunque l’origine della vita è data dal dissidio eterno. Ci sono fasi, afferma il filosofo, in cui domina Amore e altre in cui domina Morte: un’era della Pace e un’era del Caos. Il pensiero di Empedocle dunque si situa in una zona intermedia tra “l’Essere” di Parmenide e il “Divenire” di Eraclito.
Tramite la sua teoria il pensatore presocratico riusciva ad accordare il dissidio tra l’eterna persistenza dell’Essere e la natura ciclica della materia, smussandone il contrasto.
L’arché, il principio, per Empedocle era costituito dai quattro elementi o “radici” di tutte le cose: la terra, cui si riconducono gli elementi solidi, all’acqua i liquidi, all’aria e al fuoco gli aeriformi. A ciascun principio il filosofo associava anche una matrice divina, come si conveniva a un uomo del suo tempo: a Zeus, il padre degli Dei dell’Olimpo, era connesso il fuoco.
La teoria di Empedocle, non a caso spesso definito il “filosofo scienziato,” aveva anche un fondamento epistemiologico. Fu il primo, infatti, a teorizzare il principio della chimica moderna sulla natura eterna della materia, secondo cui nulla perisce e tutto si trasforma, nota anche come La legge della conservazione di Lavoisier. Un’idea simile l’avremmo ritrovata, molto tempo dopo, anche nelle Metamorfosi di Ovidio tramite l’accezione Omnia mutantur, nihil interit, letteralmente: “tutto muta, nulla perisce”.
Il primo a teorizzare questa concezione sul processo di unità e disgregazione della materia fu proprio Empedocle, nel lontano V secolo, che ce ne offre anche una preziosa testimonianza scritta:
Un’altra cosa dirò. Non v’è nascita d’alcuna delle cose / mortali, né termine di morte funesta; / ma solo mescersi e dissolversi di sostanze commiste / v’è e fra gli uomini ha nome di nascita.
Nascita e morte, dunque, sono concetti arbitrari, frutto della continua metamorfosi della materia, nient’altro che processi casuali nell’eterno divenire del Tutto. Queste idee furono tramandate nel filosofo nelle sue principali opere scritte, Sulla natura e Le purificazioni, che sono giunte sino a noi come testimonianza imperitura del suo pensiero.
La morte di Empedocle
Come morì Empedocle? Nel tempo la leggenda sulla morte del filosofo presocratico ha sovrastato la storia della sua vita, quasi sino ad annullarla. Ormai si può dire che l’intera esistenza di Empedocle sia racchiusa nella storia della sua leggendaria scomparsa.
Si racconta infatti che, dopo essere stato cacciato da Agrigento per motivi politici, il filosofo si recò nel Peloponneso. Leggenda narra che, nei suoi ultimi giorni, il filosofo-mago fece ritorno in patria e si gettò nel cratere dell’Etna per dimostrare la sua teoria dell’immortalità: in tutta risposta il vulcano espulse un suo sandalo di bronzo, intatto, non corroso dalla lava. Sul luogo del ritrovamento mitico del sandalo oggi è stata costruita la Torre del Filosofo, un edificio divenuto luogo di osservazione dell’attività vulcanica. Si pensa che l’ideatore della Torre fosse stato l’imperatore Adriano (proprio l’imperatore glorificato dalle Memorie di Adriano di Yourcenar), che la fece costruire per avere un posto sicuro in cui recarsi durante le sue esplorazioni dell’Etna e anche come punto di osservazione strategico della vallata circostante. Nel corso dei secoli la Torre del filosofo è stata sommersa dai detriti delle eruzioni vulcaniche e oggi se ne possono ammirare, anche se a fatica, le rovine.
La leggenda della morte di Empedocle è tramandata da Luciano di Samosata e Diogene Laerzio e, nel corso dei secoli, ha contribuito ad alimentare il mito del filosofo Mago che pretendeva di poter controllare gli elementi. C’è anche una verità nascosta oltre il racconto immaginifico; pare che il filosofo si fosse recato in cima al vulcano per studiare più da vicino i diversi tipi di magma; la sua morte, dal punto di vista storico, potrebbe essere stata causata da un incidente e non da un’azione volontaria. L’umanità però ha bisogno di nutrirsi di magia e di racconti in grado di superare la scarna superficie del reale, quindi l’idea del suicidio eroico di Empedocle è stata la più accreditata nel corso dei secoli, tanto da giungere sino a noi immutata.
A tramandarla con intatto stupore è stata soprattutto la letteratura che le ha dedicato narrazioni esemplari: a Empedocle rende omaggio Lucrezio nel primo libro del De Rerum Natura, Dante lo inserì tra gli “Spiriti Magni” nel IV Canto dell’Inferno insieme a Democrito, Eraclito, Zenone e molti altri e, infine, abbiamo la rappresentazione della sua scomparsa nella tragedia di Hölderlin intitolata proprio La morte di Empedocle (1797).
La tragedia di Hölderlin dedicata a Empedocle
La leggenda di Empedocle è stata, in qualche maniera, sublimata dall’opera del poeta tedesco Friedrich Hölderlin nella tragedia dedicata al filosofo. Nella scomparsa solitaria ed eroica del pensatore greco, Hölderlin colse l’ispirazione ideale per il suo canto che si nutriva di malinconia e rimpianto per l’Ellade classica.
Intuì nella figura del filosofo il prototipo perfetto del Wanderer, ovvero del vagabondo della conoscenza, una sorta di “viandante della sapienza”.
La tragedia di Hölderlin è rimasta incompiuta, ma rappresenta, ancora oggi, uno dei massimi vertici lirici ed espressivi del poeta tedesco. Nel personaggio di Empedocle l’autore proiettava la propria interiorità, lo strazio dell’essere umano dinnanzi al suo destino, l’angoscia e la passione di un uomo che crede di vincere la morte con la proprietà virtuosa del proprio intelletto.
L’opera fu scritta mentre in Germania si assisteva all’ascesa dello Sturm und Drang e, a ben vedere, la leggenda del filosofo greco si prestava perfettamente all’interpretazione del Movimento che costituiva l’alba del Romanticismo: c’è l’uomo solo dinnanzi all’ignoto, la potenza della Natura, il Sublime, la lava vulcanica che sarebbe stata ripresa magistralmente nei quadri di Turner. Le pendici del vulcano, in seguito, avrebbero ispirato un altro grande poeta, Giacomo Leopardi, che vi avrebbe posto la residenza della sua Ginestra che, non renitente, affrontava la sorte dinnanzi allo “Sterminator Vesevo”. La misteriosa morte del filosofo mago, divorato dal suo sogno di immortalità, dischiudeva la potenza dell’immaginario romantico divenendo, ancora una volta, una storia moderna e degna di essere raccontata.
Uno dei brani più celebri della tragedia di Hölderlin, Der Tod des Empedokles, sintetizza magistralmente il pensiero del filosofo presocratico e recita così:
E altro ti dirò: non c’è nascita
per nessuna delle cose mortali, né termine di morte le distrugge,
ma soltanto mescolanza e separazione
di elementi mescolati, che origine viene detta dagli umani.
In questo “Non c’è nascita” è contenuto, in nuce, il vertice della tragedia: teorizzando che tutto è frutto di mescolanza e mutazione, Empedocle di fatto rendeva tangibile e, in qualche maniera, certificava la dissoluzione dell’Io. La morte è come una soglia che deve essere attraversata per accedere alla fusione con il Tutto. Nella vertiginosa potenza del fuoco, nelle profondità dell’Etna dove ribolliva la lava, sembra essere racchiuso questo contatto insondabile con l’Eterno: il filosofo greco, secondo Hölderlin, sceglie la morte con consapevolezza stoica, convinto di ricongiungersi con l’Origine e, così, tornare a essere Creazione pura.
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: Chi era Empedocle, il filosofo greco che credeva di vincere la morte
Ringrazio per la gradevolezza del brano.
Segnalo gentilmente che thanatos significa morte e non odio
Grazie Bruna per la segnalazione, abbiamo corretto spiegando - in maniera più chiara ed esatta - che Empedocle intendeva le due forze oppositive anche nella duplice accezione di Philia (Amicizia) e Neikos (Odio).
Deve essere stato questo a indurci in errore, ancora grazie per il riscontro!