Eschilo è il primo tragediografo che opera in Grecia, di cui abbiamo dei testi, un autore la cui vita non è ben chiara, dal momento che le fonti non riportano grandissimi dettagli. Nella sua carriera Eschilo scrisse intorno alle 90 opere, ma solo sette tragedie sono giunte fino a noi con un testo integrale, mentre di alcune sappiamo solo i titoli, che vengono riportati nei papiri.
Eschilo è il primo tragico dell’antica Grecia di cui ci sono giunti dei testi, insieme a quelli di Sofocle e Euripide, che lo seguiranno in questo tipo di produzione.
Di seguito vediamo quali sono le opere di Eschilo, dando anche uno sguardo alla trama delle tragedie che sono giunte sino a noi e cercando di scoprire qualcosa in più su questo autore.
Eschilo: la vita del tragediografo
Eschilo nacque ad Eleusi intorno al 525 a.C, da una famiglia nobile, partecipò alla battaglia di Maratona, Salamina e Platea combattendo i Persiani. Le notizie sulla vita del tragediografo provengono in parte anche dall’opera di Aristofane "Le rane" in cui troviamo sulla scena i tre grandi tragediografi del passato. Da questa commedia sembra che Eschilo fosse stato iniziato ai misteri eleusini, uno dei riti segreti più famosi in Grecia.
Proprio per aver preso parte a questi misteri sembra che sia stato esiliato in Sicilia a Gela, dove poi morirà intorno al 456 a.C. Le fonti in questo caso sono contrastanti, perché se Aristofane afferma che fosse stato esiliato, secondo altri sembra invece che fosse stato invitato a Gela per mettere in scena delle tragedie.
Sappiamo invece con sicurezza che tra il 499 e il 496 a.C. partecipò ad un concorso tragico, ma ottenne il primo premio con la sua opera solo nel 484 a.C. Non si sa altro in maniera sicura sul tragediografo e la sua vita rimarrà probabilmente per sempre avvolta nel mistero.
Eschilo: tragedie giunte sino a noi
Sebbene sulla sua vita non si abbiano grandi informazioni ben sette tragedie sono arrivate sino a noi, opere che ci mostrano anche lo stile di Eschilo. In totale le opere che scrisse e di cui abbiamo almeno il titolo sono 88: 73 trasmesse dal catalogo, 10 citate da autori antichi e 5 dedotte dagli interpreti moderni.
Le opere che sono giunte sino a noi sono: I Persiani, messa in scena nel 472 a.C; I sette contro Tebe del 467 a.C.; Le supplici rappresentata nel 463 a.C.; Prometeo incatenato, di cui non abbiamo una datazione precisa e l’Orestea, una trilogia (portata in scena nel 458 a.C.) costituita dalle tragedie: Agamennone, Coefore ed Eumenidi.
Andiamo adesso a vedere la trama delle tragedie eschilee, così da avere un quadro chiaro sulle tematiche trattate.
- I Persiani, Πέρσαι: mancante del prologo, ma certamente databile al 472 a.C. è l’unica tragedia greca giunta sino a noi che tratti di un tema storico. L’opera è ambientata a Susa, dove la regina Atossa attende il risultato della battaglia di Salamina, raccontando i sogni funesti che ha fatto. Alla fine del racconto giungerà un messaggero che spiegherà nei dettagli la battaglia, descrivendo la disfatta dell’esercito. Apparirà poi Dario, ormai morto, sotto forma di fantasma, che spiegherà come la disfatta sia una punizione etica per il suo peccato di hybris (tracotanza) che aveva commesso attraversando il Mar Egeo. Giungerà poi lo stesso Serse, sconfitto, che si unirà al pianto della reggia.
- I sette contro Tebe, Ἑπτὰ ἐπὶ Θήβας: rappresentata per la prima volta alle Grandi Dionisie nel 467 a.C. Eteocle e Polinice, figli di Edipo, si erano accordati per regnare un anno ciascuno, ma Eteocle alla scadenza del suo regno aveva deciso di non lasciare il trono e Polinice aveva dichiarato guerra al fratello. Eteocle cerca di rassicurare la popolazione e nel frattempo deve scegliere sette dei suoi migliori uomini a presidiare le sette porte della città. Polinice intanto ha già schierato i suoi sette migliori guerrieri a guardia delle porte. Giunge in scena un messaggero riferendo che Polinice ha estratto a sorte le porte da abbinare ai nomi dei guerrieri e all’ultima si è posizionato lui stesso. Eteocle comprende così che anche lui si deve schierare e che deve affrontare il fratello in uno scontro che con ogni probabilità costerà la vita ad entrambi. Le donne del coro intonano un canto di disperazione in attesa del messaggero che giungerà affermando che sei delle sette porte di Tebe hanno tenuto e l’attacco è stato sventato. La settima porta ha però ceduto e i due fratelli si sono dati la morte l’un l’altro, la tragedia con ogni probabilità si concludeva con l’arrivo in scena dei due corpi e il canto di lutto del coro.
- Le supplici, Ἱκέτιδες: rappresentata per la prima volta intorno al 463 a.C. ha caratteristiche più arcaiche rispetto alle precedente e per questo spesso gli studiosi hanno ritenuto quest’opera la più antica del tragediografo. Danao ed Egitto sono fratelli e guidano il regno insieme, il primo ha avuto 50 figlie e il secondo altrettanti maschi. Egitto aveva tentato di far sposare i suoi figli con le figlie del fratello, ma Danao aveva evitato in ogni modo questo tipo di legami, dal momento che un oracolo gli aveva predetto che sarebbe morto per mano di un suo nipote. Le Danaidi, le figlie di Danao, scappano così dal regno e si rifugiano ad Argo. La tragedia inizia, quando le ragazze sono sbarcate in Grecia e qui vengono subito esortate dal padre ad entrare nel recinto sacro. Secondo una legge antica le persone che si trovano in questo recinto avevano il diritto di asilo, essendo supplici. Il re di Argo, Pelasgo, è però restio a far entrare le fanciulle, dal momento che potrebbe avere così inizio uno guerra contro l’Egitto. Decide quindi di sottoporre la questione al consiglio, dove si reca insieme a Danao. L’assemblea decide di accogliere le ragazze, ma proprio quando viene comunicata la buona notizia giunge l’esercito egizio che cerca di rapire le ragazze e portarle in patria. L’intervento di Pelasgo sarà provvidenziale e permetterà alle ragazze di entrare nelle mura della città.
- Prometeo incatenato, Προμηθεύς δεσμώτης: la data è incerta e si pensa che sia stata rappresentata per la prima volta intorno al 460 a.C. Zeus, dopo una lunga lotta, è riuscito ad insediarsi sul trono degli dei e a scalzare il padre Cronos. La sua ira ricade su Prometeo, che aveva osato donare agli uomini il fuoco, il titano viene quindi incatenato ad una rupe della Scizia. Vengono a dare conforto al titano diverse figure, tra cui Io, che predice a Prometeo l’arrivo del figlio di Zeus, generato con Teti, che porrà fine alle sue sofferenze. Zeus cercherà in ogni modo di venire a conoscenza del segreto di Prometeo, ma tutto sarà vano. Il re degli dei deciderà così di scagliare Prometeo e la sua rupe nel fondo di un burrone.
- Orestea, Ὀρέστεια: unica trilogia giunta sino a noi di Eschilo e messa in scena nel 458 a.C. durante le Grandi Dionisie. La trilogia si compone delle seguenti tragedie:
- Agamennone: la tragedia parte dall’antefatto che Agamennone, non avendo venti favorevoli per partire alla volta di Troia, sotto consiglio di Calcante, aveva sacrificato la figlia Ifigenia agli dei. Dopo la narrazione, da parte del coro, delle vicende della guerra di Troia, Clitennestra, moglie di Agamennone, entra in scena dicendo che Troia è caduta la sera prima. Nessuno le crede, dal momento che non vi sarebbe stato il tempo di far giungere un messaggero da Troia in così poco tempo. Sarà quindi un araldo a dare la notizia e successivamente arriveranno in scena Agamennone e Cassandra, principessa troiana resa schiava dal vincitore, la donna predirrà la fine imminente sua e di Agamennone, ma non verrà ascoltata. Seguono urla lancinanti dall’interno della casa e appare in scena Clitennestra, con i corpi senza vita di Agamennone e della giovane troiana.
- Coefore: la tragedia prende il nome dal coro, composto dalle coefore, portatrici di libagioni sulle tombe dei defunti, in questo caso su quella di Agamennone. Oreste, sotto consiglio di Apollo, si reca ad Argo, sulla tomba di Agamennone, il padre defunto. Lascerà qui una ciocca dei suoi capelli e si nasconderà per l’arrivo della sorella Elettra insieme alle donne del coro. La ragazza riconoscerà i capelli del fratello che lui si paleserà spiegando di essere tornato per vendicare la morte del padre, sotto ordine di Apollo. Il ragazzo si recherà dalla madre, in qualità di araldo, dicendole che Oreste è morto; Clitennestra non lo riconoscerà e triste chiederà alla nutrice di mandare a chiamare Egisto. Una volta giunto alla reggia Egisto verrà ucciso da Oreste che poi si rivolgerà alla madre. La donna cercherà di muovere a compassione il figlio, ma Pilade ricorderà al giovane l’ordine del dio e ucciderà Clitennestra sul cadavere di Egisto.
- Eumenidi: la terza tragedia della trilogia prende il nome dalle Erinni, dee che personificano la vendetta e che venivano chiamate anche Eumenidi. Oreste è braccato da queste dee per il matricidio commesso e si reca, in cerca di protezione, nel tempio di Apollo che lo manda ad Atene, nel tempio della dea Atena. Le Erinni incalzano Oreste e arrivano insieme a lui nel tempio di Atena, che una volta ascoltate le due parti decide di dare un giusto processo a Oreste. Apollo sarà la difesa, le Erinni l’accusa, lei il giudice super partes e vi sarà una giuria di 12 cittadini. Le Erinni interrogano Oreste sull’omicidio compiuto e il ragazzo si difende dicendo che era stato Apollo a dargli l’ordine, il dio spiegherà alla giuria che era giusta la vendetta dato che l’empietà di Clitennestra andava vendicata, avendo ucciso il marito. Il voto della giuria sarà pari e Oreste sarà assolto perché Atena vota a favore del giovane. Le Erinni però non prenderanno bene la decisione e cominceranno a minacciare Oreste. Atena riuscirà a calmare le dee garantendogli venerazione eterna e spingendole a diventare Eumenidi, dee della giustizia oltre che della vendetta. Atena riuscirà così a risolvere la situazione.
Eschilo: novità introdotte nella tragedia
Eschilo introdusse diverse novità nella tragedia greca e per queste innovazioni viene considerato il padre del genere. Si deve a lui infatti l’uso di maschera e coturni, che divennero poi distintivi di questo genere. Sempre al tragediografo è attribuita l’invenzione delle trilogie, ossia un gruppo di opere tragiche che sono legate per la tematica che viene trattata, come ad esempio nell’Orestea.
Sembra sia proprio di Eschilo l’introduzione di un secondo attore in scena, che ha permesso di portare sul palco non solo dialoghi, ma anche scene di scontri e drammatizzazione dei conflitti.
Si nota, nelle tragedie eschilee, una sempre minore importanza del coro, che prima era l’unico interlocutore dell’attore e che invece viene poi pian piano messo da parte in favore dei due personaggi sulla scena. Un elemento che è chiaro, se si confrontano le prime tragedie di Eschilo, come ad esempio Le supplici con l’Orestea. Il tragediografo nelle sue opere ci racconta i cambiamenti che avvengono in Grecia e nel mondo in cui vive: vediamo la battaglia contro la Persia ne I Persiani, la giuria popolare nelle Eumenidi, che sembra molto simile all’aeropago e i mutamenti che riguardano la democrazia ad Atene.
Centrale nelle opere di Eschilo non è però la politica, ma la hybris, ossia la colpa che contraddistingue l’uomo, che cerca di elevarsi al di sopra degli dei.
Secondo la visione eschilea l’uomo non è in grado di comprendere i propri limiti e di capire fin dove è possibile spingersi, per tracotanza e voglia di primeggiare pecca di hybris, per tale ragione viene poi punito con la sofferenza e la morte.
La sofferenza è vista però da Eschilo come un modo di maturare per l’uomo, un modo per conoscere meglio il mondo che lo circonda. La sofferenza che gli dei infliggono all’uomo è quindi un modo per fargli capire come esista un ordine perfetto e immutabile che regge e governa il mondo.
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: Eschilo: tragedie, caratteristiche delle opere e vita
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