Il romanzo Eva viene pubblicato nel 1873 dall’editore Treves, quando, agli esordi del periodo milanese (1872-1893), Giovanni Verga da un lato entra in contatto con la Scapigliatura, dall’altro matura l’adesione al Verismo il cui termine si attesta intorno al 1877.
La trama mira a soddisfare il pubblico borghese alla ricerca di emozioni proibite, ma non troppo. La vicenda, infatti, ricostruisce in soggettiva la fenomenologia di una passione travolgente, nata nel sottobosco del demi-monde, che non regge la sfida della quotidianità. Il finale melodrammatico contrasta con lo scenario naturale di una Sicilia rigogliosa, calda, autentica.
Il romanzo propone un amore che si consuma a due velocità tra gli eccessi morbosi cari alla Scapigliatura e la passione totalizzante del Romanticismo. Però, se pensate che Eva sia la versione fiorentina di Manon Lescaut o de La dama delle camelie siete fuori strada. E se credete che il romanzo sia estraneo alla poetica del Verismo, pure.
La prefazione di Eva di Verga: un manifesto poetico
Un avviso: non saltate la prefazione. La prefazione del romanzo Eva è un manifesto poetico, perché Verga, rivolgendosi direttamente ai lettori, dichiara quanto segue:
- La narrazione è vera, indipendentemente dal fatto che gli eventi siano avvenuti o meno;
- L’ambientazione mondana è volta a soddisfare i gusti di un pubblico involgarito, attento ai beni materiali;
- Di conseguenza poiché l’arte rispecchia la realtà, Eva è solo la traduzione letteraria dei gusti del pubblico;
- Oggi l’arte è un lusso per persone che non hanno voglia di lavorare e vivono in modo disordinato, non è più considerata espressione di una civiltà.
La necessità di una letteratura vicina al vero e la critica alla società contemporanea diventeranno due pilastri del Verismo verghiano.
Riassunto e analisi di Eva
La trama
Teatro "La Pergola", Firenze. In apertura il romanzo confonde il lettore con i suoni, i colori, il brio scomposto di un veglione di Carnevale fino alle prime luci dell’alba, quando la baldoria volge al termine. Un giovane arlecchino visibilmente sovraeccitato — impegnato per tutta la sera a stalkerare con lo sguardo un’affascinante mascherina in compagnia di un elegante trovatore —, intercetta l’io narrante che ha riconosciuto come un vecchio compagno di scuola a Catania.
Il giovane si presenta come Enrico Lanti: occhi febbrili, tono concitato, tosse stizzosa. Non sembra padrone di sé oppure non è mai stato così lucido? Sa di avere i mesi contati e nulla da perdere. Spinto dall’intima necessità di una confessione liberatoria e di una spiegazione della sua condotta alla festa, sfoga il suo rovello "come una valanga", in bilico tra vittimismo e autocelebrazione. Perché ha appena scommesso con il trovatore, che conosce di vista, di riuscire a strappare un bacio alla bella mascherina. Una provocazione inappropriata che sfocia in un duello, malgrado la libertà del Carnevale, la festa che azzera e ribalta le convenzioni sociali.
Il Lanti si abbandona a un ampio sfogo i cui segni interpuntivi sono lacrime, sguardi pietosi e lampi sinistri, maledizioni e rimpianti. Una ridda di sentimenti ed emozioni, quelli sintetizzati dal catulliano Odi et amo, il cortocircuito ossimorico capace di penetrare il mistero di chi soffre per amore.
Per i sensi di colpa il lettore deve ancora aspettare. Il pentimento autentico manca.
Dunque, dal punto di vista strutturale l’io narrante è un estraneo (o quasi) che riceve dal protagonista la confidenza di un’esperienza totalizzante, durata 10 mesi, che monopolizza la maggior parte del romanzo. A seguire, un’ellissi temporale e un epilogo in Sicilia. Manon Lescaut di Prévost del 1731 e La dama delle camelie di Dumas figlio del 1848 presentano un’analoga impostazione a due voci.
Stile enfatico, contorsionismi espositivi e l’aggettivazione sovrabbondante rendono datata e, a tratti, faticosa la lettura specie per chi ammira il Verga della sottrazione lessicale de I Malavoglia e Mastro don Gesualdo. Sembra quasi impossibile che Eva e la produzione verista siano stati scritti dalla stessa penna. A ben vedere però anche questo romanzo non propone il distacco dalla famiglia, il contrasto tra città e campagna, il braccio di ferro tra logica affettiva ed economica e un eroe vinto dalla vita? Torniamo al riassunto.
Qual è la confessione di arlecchino?
Enrico Lanti si presenta come un "genio in erba", "speranza dell’arte italiana" approdato da Catania nella città di Dante con una sorta di borsa di studio. Un eroe romantico, su scala ridotta, in attesa dell’Amore di cui ignora anche il conforto mercenario. La domenica si concede una serata al teatro "La Pergola", dove rimane folgorato dalla ballerina Eva, epifania di seduzione in grado di suscitare "mostruosi desideri". L’aggettivo è tutto un programma per la demonizzazione dell’attrazione fisica.
Grazie alla mediazione di un amico cronista conosce la dea che, sorpresa da una ritrosia e sincerità rare nel demi-monde, ricambia il sentimento. In una prima fase Enrico attende pazientemente impaziente nell’alcova carica di promesse, mentre Eva si destreggia elusiva con gli ospiti di sesso maschile dai quali dipende professionalmente. Per mantenere il consenso di un pubblico adorante, questa biondina aggraziata, occhi cerulei e riso spensierato, deve essere irraggiungibile come una dea, ma non inavvicinabile. Lontano, vicina e ancora lontano seguendo la circolarità del desiderio. In una seconda fase, la coppia convive nel modesto appartamento del pittore che, logorato dal tarlo di gelosia e infedeltà, esorta Eva ad abbandonare le scene. Perché la ragazza accetta? Per amore, conscia che il legame non sopravviverà alla sfida di un quotidiano in cui non c’è spazio per la dea.
Quando la previsione si avvera, Eva abbandona Enrico con una lettera piena di buon senso e la concretezza di 500 lire. Ha sempre saputo che il giovane artista disposto a idolatrare la ballerina non avrebbe esitato a fuggire disgustato dalla donnina comune intenta al rammendo, le mani arrossate dal freddo. Forse non immaginava che l’uomo la invitasse, vigliacco, a riprendere la sua equivoca attività per sbarcare il lunario.
La reazione di Enrico abbandonato è metamorfica. Sperpera il denaro nell’ozio e al gioco fino a quando, toccato il fondo, lavora come ritrattista personale di un giovane beneducato impietosito dal suo avvilimento. Dopo questa parentesi, finalmente ottiene successo come pittore alla moda, ma ha perso la fiducia nell’amore, la fede, l’interesse per la politica. Il destino gli fa ancora incontrare la donna che osserva con disarmante sincerità: "Non siamo abbastanza ricchi per permetterci il romanzo dell’amore". A questo punto il giovane crolla, sopraffatto dalla gelosia per Eva, regina incontrastata dei salotti che le donne per bene non frequentano, e soprattutto dalla smania di possesso. L’impossibilità del ricongiungimento gli dà il colpo di grazia.
Lo stalker, il duello e l’epilogo del romanzo
Enrico segue dovunque la padrona del suo cuore fino al veglione dell’incipit.
Al termine della confessione, il Lanti mette in pratica la scommessa, baciando pubblicamente Eva sulla guancia. A seguire, un duello feroce con l’accompagnatore di lei: il conte Silvani. L’amante in disgrazia il rivale lo vuole uccidere. Sullo sfondo un paesaggio innevato, spettrale come il volto del protagonista. Non è chiara la fine del conte gravemente ferito.
A distanza di alcuni mesi, l’io narrante in Sicilia riceve un invito urgente da quello che crede un sconosciuto. In realtà è proprio il Lanti, che desidera incontrarlo in prossimità della morte. Il giovane pittore, vinto dalla vita, spirerà di lì a poco confortato dai suoi cari nella casa di Aci Sant’Antonio, in provincia di Catania. I suoi ultimi pensieri sono diretti a Eva. Termina così la parabola artistico sentimentale: di un eroe tardoromantico scisso tra Ideale e Reale o di un individuo vinto dalla vita?
Spunto di riflessione: la bellezza è artificio?
La bellezza di Eva è frutto di un artificio sublimato dalle luci della ribalta, dove Eva vende un sogno a un pubblico disposto ad acquistarlo. La differenza rispetto all’Elogio del trucco di Baudelaire consiste nel fatto che i trucchi sulla scena non devono essere svelati. La ballerina, inoltre, dopo aver debuttato anche nelle arti figurative del secondo Ottocento, allude in chiave sociologica all’arte che scende a compromessi con il gusto dominante. Un’arte in vendita. Non vi sembra uno spunto di scottante attualità?
Eva è solo in parte una femme fatale, perché avidità, prodigalità, scarsa empatia, sadismo seduttivo e manipolazione le sono sostanzialmente estranei. Dopo avere interrotto la sua carriera, infatti, si comporta come una borghese avveduta, disposta a sacrificarsi in silenzio per l’uomo che ama.
Si accorge di avere commesso un errore psicologico grossolano a ridosso del primo incontro a teatro con quello che allora era un fervente ammiratore. Quello di avere mostrato la realtà di una corporeità stanca, affaticata e imperfetta dietro le quinte caotiche e sudice. Il maschio non vuole conoscere il "rovescio del paradiso".
Eva
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: Eva: riassunto e analisi del romanzo di Giovanni Verga
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