Se ne discute sempre più spesso, come ad alimentare un magma che sembra ormai inarrestabile, quello delle fake news, o notizie false: chiediamoci cosa sono e perché se ne parla, oggi più che mai, anche se non sono un fenomeno nuovo e hanno, anzi, una storia curiosa e interessante.
Per capire cosa sono le fake news occorrerà comunque guardare non tanto e non solo alla loro storia; dovremmo chiederci, guardando alla cronaca, perché questo concetto è tornato alla ribalta da alcuni mesi e come si sono posti gli osservatori ma anche gli studiosi di fenomeni politici, linguistici, sociologici. Per capire perché si parla tanto di fake news, inoltre, occorrerà guardare necessariamente anche all’evoluzione del mondo digitale, a come è cambiato il modo di confezionare le notizie in questi ultimi anni e al rapporto tra giornalismo e politica, in Italia e in altri lidi dell’Occidente.
Fake news: cosa sono le notizie false
Con il termine inglese fake news si indicano, molto semplicemente le notizie false. Alla falsità del contenuto informativo occorre però aggiungere un altro essenziale elemento che è parte integrante di una fake news: questo genere di notizie sono volutamente false. Chi le confeziona, le rende pubbliche e le diffonde attraverso le nuove tecnologie è pienamente consapevole della loro falsità e cerca, comunque, di dare la massima visibilità e diffusione a questo genere di contenuti, per finalità differenti.
Proprio perché quello delle fake news è un fenomeno che gode di un’attenzione crescente negli ultimi mesi, per comprenderlo meglio è opportuno considerare una definizione fornita da Melissa Zimdars, docente di comunicazione al Merrimack College (North Andover, Massachusetts, Stati Uniti), che ha promosso OpenSources, un progetto a carattere collaborativo promosso e avviato allo scopo di mappare le
“fonti false, ingannevoli, clickbait o satiriche”.
La studiosa afferma che il termine fake news si utilizza per i prodotti informativi di fonti (siano essi giornali, portali web, blog, ecc.) che:
“inventano del tutto le informazioni, disseminano contenuti ingannevoli, distorcono in maniera esagerata le notizie vere”.
Notizie false: un po’ di storia
Una novità? Non esattamente. Il fenomeno delle fake news è salito agli onori della cronaca da un anno a questa parte; l’evento scatenante sono state le elezioni americane che hanno portato alla casa bianca Donald Trump ma sulle notizie false e sulla loro crescente diffusione si rifletteva a vario titolo già da qualche anno, più o meno da quando la rivoluzione tecnologica ha iniziato a riconfigurare il volto dell’informazione. La storia dei costumi e della cultura riserva comunque interessanti sorprese perché le fake news hanno origini molto più remote di quel che si possa pensare.
Lo storico americano Robert Darnton nel suo libro “I censori dell’opera” ha individuato i fatti salienti della storia della disinformazione, dal VI secolo d.C. ad oggi, spiegando che, le notizie false non solo ci sono sempre state ma che, nel corso dei secoli hanno assunto anche vesti differenti. Sono esempi di fake news le Pasquinate, i sonetti satirici e diffamatori che di notte venivano appesi sulle statue di Roma ma anche i canard, fogli contenenti informazioni spesso ingannevoli diffusi nelle strade di Parigi, fino ai giornali della Londra di fine Settecento, zeppi di notizie false.
Nel nostro passato recente si trovano esempi di notizie false nei rotocalchi e nei giornali scandalistici che, diffusi tra una cerchia ristretta di persone, avevano lo scopo di alimentare la celebrità di attori e di altri personaggi del mondo dello spettacolo spesso con il loro beneplacito.
Fake news: perché se ne parla?
Quel che sembra oggi nettamente cambiato rispetto al passato è la quantità di notizie false circolanti nell’informazione, soprattutto online, e il peso che queste genere di notizie stanno assumendo. Sostanzialmente si parla di fake news per due generi di ragioni: perché riguardano argomenti sempre più importanti della vita pubblica e perché vengono ritenute vere da un numero sempre maggiore di persone. Proprio per questo si parla anche di fake news per capire come ci si può tutelare da esse: come si possono riconoscere e quali sono le soluzioni ancora da attuare per far fronte a questo problema.
Le fake news godono comunque di un’attenzione sempre maggiore dalle elezioni che, poco più di un anno fa, hanno portato alla Casa Bianca Donald Trump. Le fake news sarebbero state, in questo caso, confezionate e diffuse a scopi propagandistici, in contesti politici ed elettorali, con il fine ultimo di orientare il voto dei cittadini, screditando avversari politici (in questo caso Hilary Clinton) e solleticando l’emotività, piuttosto che la razionalità di tanti elettori. Anche se le indagini sul Russiagate proseguono ancora oggi senza aver ancora individuato prove e mandanti certi, il principale indiziato della produzione di fake news è, in questo caso, la Russia che, attraverso accurate e ponderate operazioni di disinformazione avrebbe tentato di orientare (anche attraverso il furto e la diffusione di informazioni riservate e non solo con la creazione di notizie false) il voto di cittadini degli Stati Uniti ma anche di Germania, Olanda e Francia.
Oltre alle profonde conseguenze politiche che una fake news può avere occorre segnalare anche un altro elemento, che comprenderemo meglio nel paragrafo successivo, quando cercheremo di comprendere la correlazione tra fake news e nuove tecnologie: il valore economico delle notizie false.
Sempre per rimanere nell’ambito delle ultime elezioni presidenziali USA è stato rilevato che alcuni degli articoli più condivisi erano stati prodotti a Veles, una cittadina della Macedonia, da un gruppo di adolescenti che inventavano notizie false di sana pianta. Gli articoli, nella maggior parte dei casi erano a favore di Donald Trump e muovevano profonde critiche all’operato di Hilary Clinton, tutto ciò però, non era stato orchestrato da oscuri funzionari dei servizi segreti russi o dalla longa manus di The Donald. Uno degli adolescenti responsabili della diffusione di queste fake news ha spiegato che quell’attività gli permetteva di generare un maggiore numero di click sui banner pubblicitari dei sito dove erano pubblicate, quindi maggiori introiti, che nei casi migliori, si aggiravano intorno ai 1800 euro al mese in un paese dove lo stipendio medio ammonta a 350 euro mensili.
Altro caso particolarmente eloquente, tra i tanti occorsi negli ultimi mesi, è quello di LiberoGiornale.com: questo portale che diffondeva notizie politiche false, come è stato mostrato da due inchieste, apparteneva a una società specializzata in siti di fake news con sede in Bulgaria e management italiano. È solo uno dei tanti network di siti e portali in lingua italiana che producono notizie false per influenzare la politica e ottenere facili guadagni.
Fake news, informazione e rivoluzione digitale
Gli scopi per cui le fake news sono prodotte in quantità sempre maggiore e godono di un’attenzione crescente (sia da chi fruisce quel tipo di informazione, sia da chi cerca di contrastarla), sono dunque di natura sostanzialmente politica ed economica.
Perché, però, le notizie false sono sempre di più, si diffondono più facilmente e vengono ritenute vere, o almeno credibili da un numero sempre maggiore di persone?
Le fake news nascono, si diffondono e proliferano sul web, sono un portato dell’informazione digitale e di essa occorre fornire qualche coordinata per spiegare il fenomeno di cui ci occupiamo in questo articolo.
Non che quando la stampa fosse solo cartacea non ci fossero notizie false, al di là dei giornali scandalistici, in quel caso però, seguendo un’utile distinzione di Claire Wardle, direttrice del network internazionale di verifica delle fonti online First Draft News, era ed è più appropriato parlare di misinformazione piuttosto che di disinformazione. Se una testata giornalistica, cartacea o online che sia, pubblica involontariamente un’informazione falsa, ha il diritto/dovere (esplicitamente previsto dalla normativa) di rettificarla, quindi di chiarire e, eventualmente, integrare con ulteriori elementi. Nel caso delle fake news e della disinformazione, invece, le notizie sono volutamente false e, a posteriori, non c’è alcuna volontà di rettificarle.
Al tempo dell’informazione 2.0 ci sono però tutta una serie di altri fattori da tenere in considerazione per comprendere il fenomeno delle fake news.
Creare una testata giornalistica, ma anche un portale tematico, un sito di informazione specialistica, un blog specializzato su un particolare tema, è diventato molto più semplice, ha dei costi più ridotti (non si deve stampare nulla) e di contro degli introiti molto minori. L’unico vero provento è quello dato dalla pubblicità, per questo in molti casi, a discapito del factchecking e della verifica delle fonti, si sceglie consapevolmente la strategia del clickbaiting (acchiappaclick), la pubblicazione di fake news che, con un titolo sensazionalistico, delle immagini accattivanti e una buona diffusione sui social network, raggiungono un elevato numero di utenti e quindi generano notevoli introiti pubblicitari. A questo proposito Paul Horner, noto autore di notizie false negli Stati Uniti, ha spiegato al Washington Post che con questa strategia è possibile ottenere anche 10.000 dollari al mese da un singolo sito web.
La liberalizzazione dell’informazione, poi, ha fatto sì che al giorno d’oggi possano di fatto produrre notizie una miriade di soggetti che tutto sono tranne che dei professionisti dell’informazione: ancora debole, in ambito digitale, la distinzione tra una testata giornalistica e un semplice portale che raccoglie informazioni, a cui si aggiungono i già citati blog (uno strumento che almeno inizialmente avebbe dovuto raccogliere considerazioni di carattere personale) ma anche i singoli profili social di personaggi rilevanti (politici, giornalisti, blogger, attori, sportivi e influencer vari) che spesso sfruttano la loro notorietà per orientare non tanto e non solo la produzione di informazioni quanto la loro diffusione e condivisione.
Altro importante attore in questo scenario sono i social network e i motori di ricerca: Facebook e gli altri social network contribuiscono alla diffusione di notizie, anche false, non solo perché consentono di condividere un contenuto ma anche perché ci mostrano dei contenuti personalizzati, ovvero selezionati in base alle nostre precedenti ricerche e al successo che un singolo post ha già riscosso presso altri utenti. La precedenza, quindi, non spetta al contenuto più veritiero o più autorevole ma a quello più condiviso o a quello che meglio si accorda ai nostri interessi e che, quindi, conferma i nostri pregiudizi.
Fino a poco tempo fa, inoltre, Facebook e Google News restituivano le notizie con una modalità omogenea: notizie prodotte dal New York Times o da un sito di fake news erano, quindi, trattate allo stesso modo e le seconde, grazie a un titolo sensazionalistico o a un’immagine evocativa, riuscivano spesso a scavalcare le prime.
Tutto ciò ha costituito l’humus che ha dato vita alla post-verità, condizione nella quale, secondo gli Oxford Dictionaries (2016)
“i fatti obiettivi sono meno influenti nell’orientare la pubblica opinione rispetto agli appelli all’emotività e alle convinzioni personali”.
Richiamando quando detto sopra, a proposito della storia delle fake news, è opportuno citare anche una considerazione dell’Accademia della Crusca sulla post-verità:
“Le caratteristiche e le dimensioni assunte dal fenomeno ai nostri giorni sono (...) diverse e ci sono alcuni fattori che in particolare devono essere sottolineati, tutti legati alla rete: la globalità, la capillarità, la velocità virale della diffusione delle varie post-verità; e poi la generalità e genericità degli attori che possono alimentarle, spesso con una propaganda nascosta e inaspettata che può provenire da pseudo-istituti di ricerca, da esperti improvvisati”.
Contro le fake news: come riconoscerle?
Dobbiamo soprattutto al New York Times e a BuzzFeed un’opera di crescente sensibilizzazione contro le fake news: non siamo tenuti a credere a tutto quel che il web ci propone; non solo, possiamo anche giocare un ruolo più attivo di quanto crediamo nella verifica delle notizie. Craig Silverman, un giornalista di Buzzfeed esperto di fact-checking ha stilato una lista di semplici azioni che consentono di verificare una notizia:
- controllo dell’URL: anche se non ce ne accorgiamo, i siti di fake news sono spesso cloni di portali più famosi; per l’Italia ricordiamo ad esempio: La Gazzetta della Sera, Rebubblica, Il Fato Quotidiano.
- Pagina Chi siamo: è opportuno leggerla con attenzione prima di procedere con la navigazione perché molti siti specializzati in fake news si presentano come siti di satira;
- Dichiarazioni e virgolettati: soprattutto quelle di personaggi pubblici, se vere, dovrebbero esser state riprese e citate anche da altri fonti; per capire se ciò è davvero avvenuto basta copiare il virgolettato e incollarlo su Google tra virgolette. La ricerca dovrebbe restituire tutte le testate che hanno citato quella stessa frase;
- Seguire i link: un buon pezzo giornalistico dovrebbe indicare, attraverso il link, una fonte che avvalori le dichiarazioni svolte; in generale è meglio diffidare da articoli che hanno pochi link;
- Come per le dichiarazioni anche per le immagini è possibile, attraverso Google Immagini, verificare se si riferisce davvero all’evento descritto e se è già stata pubblicata altrove;
- Occhio al contenuto: se una notizia sembra troppo bella e commovente per essere vera, se un contenuto è riuscito a toccare le vostre corde emotive, è probabile che dietro ci sia la mano di qualcuno che lo ha scritto proprio per suscitare quella reazione;
Al di là dei consigli dell’esperto è utile anche ricordare che il fenomeno delle Fake News ha assunto dimensioni tali destare l’attenzione di molti governi: in Germania è stata avanzata una proposta di legge per introdurre multe fino a 50 milioni di euro per i siti che non rimuovono notizie diffamatorie o le calunnie, quindi le fake news più gravi; nella Repubblica Ceca è stata creata un’unità governativa per evitare possibili influenze russe nel mondo dell’informazione e anche in Italia è stata avanzata una proposta di legge contro le fake news (alla quale ha lavorato la ex 5 stelle Adele Gambaro ma anche il capogruppo PD al Senato Luigi Zanda) che è stata subito oggetto di differenti critiche, tanto da politici che da attivisti per le libertà digitali, per le sue possibili conseguenze sulla libertà d’informazione.
Negli Stati Uniti, poi, l’International Factchecking Network del Poynter Institute ha indetto, per lo scorso 2 Aprile l’International Fact-checking Day, il giorno in cui, in tutto il mondo, si sono tenute varie iniziative di sensibilizzazione sulle fake news: dalle lezioni per i docenti ai quiz da fare con gli amici, fino ai test online.
All’International Factchecking Network appartengono anche alcune note testate o agenzie di stampa specializzate in fact-checking, come Snopes e Associated Press, che hanno approntato il codice di condotta del Poynter Institute e che hanno messo in dubbio notizie particolarmente rilevanti negli Stati Uniti. In seguito a questi episodi Facebook ha istituito un servizio di segnalazione delle notizie false, mentre Google ha scelto di penalizzare i portali di clickbaiting impedendo la sua pubblicità sui rispettivi domini.
Sempre negli Stati Uniti sono molte le iniziative di educational fact-checking avviate per diffondere una vera e propria cultura di verifica delle fonti anche in contesti scolastici e familiari; per queste attività rivolte a docenti e studenti, sono stati coinvolti anche dei giornalisti, è stata creata una apposita app ed è stato messo a disposizione degli interessati un corso gratuito online su Cuorsera.
L’OCSE, infine, ha invitato le scuole a fornire agli studenti specifici strumenti per riconoscere le notizie false, rendendo noto che questa competenza sarà valutata nel prossimo PISA Test, utilizzato per misurare il grado di alfabetizzazione delle scuole di più di sessanta paesi nel mondo.
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: Fake news: cosa sono e perché se ne parla
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