Il cinema di Ferzan Özpetek è una perfetta commistione di arti, tra le quali spicca sommamente quella letteraria. I film del regista di origine turca possiedono degli elementi ricorrenti che sono diventati il marchio distintivo della sua cinematografia: un film di Ozpetek è immediatamente riconoscibile, sin dalla prima inquadratura.
C’è uno sguardo che è soltanto suo e si distingue nelle scenografie peculiari, così simili a dipinti con i chiaroscuri che richiamano Rembrandt e Caravaggio; nelle tavole imbandite, sempre presenti nelle sue pellicole come metafora di convivialità (si tratta spesso di cene e pranzi spettacolo, come la scena del banchetto di Trimalcione all’interno del Satyricon di Petronio); nel vociare concitato delle famiglie (spesso presentate come elemento di rottura in cui si nasconde la violenza sottile della consuetudine); nella luce diafana di Roma che ritorna ossessivamente, illuminando il palcoscenico delle crisi private che si dipanano nel corso della trama.
Nelle sue pellicole il regista è riuscito a portare in scena il dubbio, il dramma e la gioia della vita in una commistione unica e irripetibile. Nessuno dei film di Özpetek, a ben vedere, tratta un unico tema ma fonde insieme diversi spunti e riferimenti creando emozione pura: c’è l’amore e la malattia, il tradimento, la morte, l’amicizia, la crisi esistenziale e molto altro. Tanto basterebbe a fare di un film del regista un contemporaneo poema epico in grado di ritrarre, in una folgorazione fulminante, la nostra contemporaneità: Özpetek riesce a fotografare, cogliendone l’essenza, la nostra “società liquida” in continuo divenire, per usare la calzante espressione di Zygmunt Bauman.
Oggi, 3 febbraio 2023, Ferzan Özpetek compie sessantaquattro anni e noi abbiamo scelto di festeggiarlo scovando tutti i riferimenti letterari contenuti nei suoi film: da quelli palesi a quelli nascosti.
1. Le fate ignoranti: l’omaggio a Hikmet
Nessuno può dimenticare il monologo di Margherita Buy nella scena centrale de Le fate ignoranti. Con intensità straziante Antonia, il personaggio interpretato dalla Buy, recita la poesia del poeta turco Nazim Hikmet Le tue parole erano uomini, rivolgendosi all’incanto imperturbabile della notte romana. La poesia, recitata sopra i tetti di Roma, avrà un ruolo chiave nello sviluppo della trama perché saranno proprio quelle parole, portate in realtà come testimonianza di un tradimento, a unire invincibilmente i due protagonisti.
Anche nel film di Özpetek, in realtà, possiamo scorgere la stessa analogia espressa nella lirica di Hikmet: le parole sono uomini, hanno un peso, si fanno presenza. La definizione stessa di “fate ignoranti” può infatti essere considerata strettamente letteraria, ne riportiamo un estratto:
Le fate ignoranti sono quelle che incontriamo e non riconosciamo ma che ci cambiano la vita. Non sono quelle delle fiabe, perchè loro qualche bugia la dicono.
Sono ignoranti, esplicite, anche pesanti a volte, ma non mentono sui sentimenti.
2. Cuore sacro: Tommaso D’Aquino e Wislawa Szymborska
Cuore sacro (2005) potrebbe essere associato a un moderno romanzo gotico. A muovere la sottotrama del film è soprattutto una citazione di Tommaso D’Aquino: “adaequatio rei et intellectus”, ovvero la concezione di verità come perfetta corrispondenza tra realtà e intelletto. L’accostamento della parola “cuore” all’aggettivo “sacro” è da leggere nel significato biblico del cuore inteso come centro del sentimento e dell’intelletto. Ancora una volta ritornano le parole della celebre preghiera di San Tommaso:
Dammi un cuore così pieno d’amore per te, che nulla possa distrarmi da te. Dammi un cuore fedele e forte, che mai tremi né si abbassi.
La protagonista Irene (interpretata da Barbora Bobulova), un’imprenditrice affermata, seguirà un percorso di redenzione che la porterà a spogliarsi di tutti i suoi averi per donarli ai poveri, proprio come un moderno San Francesco. Scopre il valore della carità e della pietas, temi da intendere in chiave umana più ancora che biblica. Il senso del film è racchiuso proprio in questa ricerca spirituale che condurrà Irene al cambiamento definitivo, percepito con una certa riluttanza dalle persone avare e meschine che la circondano.
Possiamo ravvisare il riferimento al “cuore sacro” descritto da Tommaso d’Aquino in una frase in particolare:
La signora credeva che ciascuno di noi ha due cuori. Diceva sempre però che uno dei cuori eclissa l’altro, ma se ognuno di noi riuscisse, anche per un solo istante, a intravedere la luce del suo cuore nascosto: allora capirebbe che quello è un cuore sacro e non potrebbe più fare a meno del calore della sua luce.
Inoltre vi invitiamo a soffermarvi su un dettaglio durante la visione del film. Dalla borsa della piccola ladra improvvisamente cade a terra un volumetto di poesie dell’autrice polacca Wislawa Szymborska, un grande omaggio di Özpetek a una delle poetesse da lui più amate.
3. Magnifica presenza: da Wislawa Szymborska a Pirandello
Il film Magnifica presenza (2012) si apre con una dedica alla poetessa polacca Wisława Szymborska, scomparsa proprio nel febbraio 2012.
Sembra che lui non sia solo.
Si tratta del film forse più letterario del regista, poiché si sviluppa proprio come un racconto poetico teso a esplorare il confine sospeso tra realtà e immaginazione. Özpetek ha dichiarato di essersi ispirato durante la stesura della sceneggiatura alla storia realmente accaduta a un amico, ma non solo, anche a un grande classico della drammaturgia italiana che è Sei personaggi in cerca di autore di Luigi Pirandello. La scena finale di Magnifica presenza è stata girata proprio al Teatro Valle dove Pirandello rappresentò per la prima volta la sua celebre opera.
La trama ruota attorno alla vicenda di Pietro (interpretato da Elio Germano), un ragazzo catanese che si trasferisce a Roma con l’intento di fare l’attore e di cercare sé stesso. La sua esistenza nella nuova casa viene tuttavia turbata da strane presenze, che solo lui è in grado di vedere. Fa così la sua apparizione una bizzarra compagnia d’attori “fantasma” con i quali instaura un rapporto d’amicizia: tutta la trama ruota attorno a questa ossessione per ciò che si vede e ciò che non si vede, strizzando palesemente l’occhio alla grande intuizione di Pirandello.
3. Saturno contro: il riferimento a Sontag e Benjamin
Saturno contro ha segnato il grande ritorno di Ozpetek, nel 2007, ed è stato più volte paragonato al capolavoro Le fate ignoranti. Il titolo si basa su una definizione astrologica secondo cui Saturno simbolizza la limitazione dell’individuo, intesa spesso come rinuncia e solitudine. Saturno è un pianeta duro, legato al concetto della nostra evoluzione personale, spesso averlo in opposizione riflette le necessità di un cambiamento. Saturno è quindi anche simbolo di crescita, maturità e tempo che trascorre.
Nello sviluppare le vicende di questo gruppo di amici alla soglia dei quarant’anni, che puntualmente si ritrova riunito in ritrovi casalinghi, il regista si concentra su una pluralità di temi tra i quali svolge un ruolo fondamentale quello dell’eutanasia - divenuto centrale nei dibattiti degli ultimi anni. In questo affresco corale Ozpetek riesce a mantenere centrale il peso dei sentimenti e la narrazione introspettiva tipica dei suoi film.
Possiamo ritrovare nel Saturno contro del titolo un riferimento alla scrittrice e critica letteraria Susan Sontag e alla sua raccolta di saggi della grande saggista guerriera Sotto il segno di Saturno (1980). Il titolo della raccolta fa riferimento al saggio che Sontag ha dedicato a Walter Benjamin che di sé, per l’appunto, scriveva:
Sono venuto al mondo sotto il segno di Saturno, la stella più lenta, il pianeta delle deviazioni e dei ritardi...
Nel saggio di Sontag viene fatto riferimento al cosiddetto “animo saturnino” che recupera il senso dell’individualità personalissima di cui anche Ozpetek fa elogio nel suo film:
Eppure Saturno ci manca. A mancarci è soprattutto quel senso dell’individualità personalissima, un abito privato che anche in pubblico riusciva a dire qualcosa, un suo aggettivo lasciato andare che prendeva percorsi suoi e solo suoi, ma che a volte riescono ad ordire una trama dai risultati impareggiabili, non previsti.
Riportiamo la bellissima riflessione del protagonista alla fine del film, che sicuramente meriterebbe di apparire anche nelle pagine di un romanzo:
Ecco. Ci sono momenti come questo in cui riesco a sentirmi felice, non so bene perché, ma vedere Davide insieme ai nostri amici mi fa sentire al sicuro. So cosa dicono, cosa pensano e anche se sono sempre le stesse cose mi va bene così. Non voglio sorprese, novità, colpi di scena, voglio che tutto rimanga come è adesso, per sempre… anche se so che per sempre non esiste.
4. La finestra di fronte: l’Olocausto e la genesi della poesia
La finestra di fronte (2003) ci presenta un suggestivo sguardo sulla Memoria e la narrazione dell’Olocausto, che ricorda molte narrazioni letterarie dedicate a questo tema. Il personaggio dell’anziano Davide (interpretato da Massimo Girotti) svolge una funzione chiave nella riattualizzazione del tema della Memoria. Ma non solo, in questo film capolavoro, Ozpetek torna ad analizzare ancora una volta lo scarto tra l’io reale e l’io ideale.
La finestra, immagine simbolo del film, è una chiave di lettura fondamentale. Proprio come nella migliore tradizione letteraria la finestra apre uno scorcio sul sogno, sul ricordo della giovinezza del cuore. Rappresenta quell’apertura che rende la divisione tra dentro e fuori permeabile, tanto che vi si può rintracciare la genesi stessa della poesia. I due personaggi principali, Giovanna e Davide, sembrano essere l’uno il riflesso dell’altro, entrambi si trovano a vivere in una realtà nella quale non si identificano: Davide porta sulle spalle il peso schiacciante di un rimpianto, mentre Giovanna sconta la condanna di un sogno impossibile.
5. Un giorno perfetto: tratto dal romanzo di Melania Mazzucco
Un giorno perfetto (2008) è tratto dall’omonimo romanzo di Melania G. Mazzucco. Ci sono notevoli differenze tra libro e film, tuttavia l’essenza della trama è conservata: vengono raccontate le 24 ore che precedono un brutale omicidio di cui si avverte il presagio come di una catastrofe imminente.
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Proprio come il romanzo, la pellicola di Ozpetek ci cala all’interno delle vicende dei nove personaggi che si intrecciano nel corso di una giornata che, al contrario di quanto suggerisce il titolo, avrà un epilogo tragico. Tutti i personaggi sembrano essere intrappolati nella prigionia di una quotidianità che non si sono scelti, che non sembra appartenere veramente loro e, infine, sembra esplodere in una specie di tragica inevitabilità. Özpetek compone il consueto affresco di voci e personaggi, stavolta però offuscato dalla tonalità più cupa e nostalgica suggerita dalla trama del romanzo di cui, purtroppo, non riesce a rendere l’intensità.
Viene trattato un tema attuale: la storia di un uomo che non si rassegna alla separazione dalla moglie ed è pronto a tutto pur di riaverla con sé, sino a pianificare un terribile gesto. Sullo sfondo la città di Roma che in questo film vibra in tutta la sua caotica bellezza, fatta di contrasti ma anche di scorci luminosi capaci di mozzare il fiato.
6. Rosso Istanbul
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Il film è tratto dal primo romanzo del regista, che è anche uno scrittore affermato. La pellicola riporta il titolo omonimo Rosso Istanbul (Mondadori, 2013). Si tratta di una pellicola fortemente nostalgica improntata su una narrazione autobiografica. Tutto ruota attorno alla domanda “Si lasciano mai davvero le case dell’infanzia?” e la città di Istanbul ne è la protagonista incontrastata. A predominare è soprattutto il colore rosso, già citato nel titolo, con la sua intensità cromatica.
Rosso è il colore preferito della madre del narratore, ma è anche il colore dei garofani scarlatti che i manifestanti si appuntano al petto in segno di rivoluzione e di resistenza.
Già nel libro possiamo cogliere una forte impronta visiva: come se fossero le immagini, fotografiche e palpitanti, a venire prima delle parole.
In un certo senso sembra quasi Rosso Istanbul fosse un film prima ancora di nascere come romanzo scritto: la prova che in Ferzan Özpetek linguaggio letterario e cinematografico sono indissociabili, forse il segreto della bellezza delle sue pellicole è raccchiuso proprio in questa dicotomia tra astratto e visivo, tra profondità di sguardo e perfetta realizzazione estetica, che è poi ciò che rende ogni sequenza un’emozione tangibile.
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: Ferzan Özpetek: tutti i riferimenti letterari nei film del regista
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