Nel 1996 il premio Nobel per la Letteratura venne assegnato alla poetessa polacca Wislawa Szymborska con la seguente motivazione:
Per la poesia che con ironica precisione permette al contesto storico e biologico di venire alla luce in frammenti di realtà umana.
A me sembra che la parola chiave sia “ironia”, ora declinata in immagini non convenzionali, ora vestita con studiatissima semplicità per descrivere situazioni quotidiane o drammatiche.
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Lo dimostra la lirica Fotografia dell’11 settembre forse ispirata allo scatto di Richard Drew noto come “The Falling man”, che immortala una situazione precisa dell’attentato terroristico alle Torri Gemelle di New York dell’11 settembre 2001. Quale? Il lancio nel vuoto di chi, con un atto disperato, scelse di sfracellarsi al suolo piuttosto che morire arso vivo.
La poesia è tratta da Attimo, un volumetto di 23 testi pubblicato nel 2002, un anno dopo l’attentato terroristico, pubblicato in Italia da Libri Scheiwiller nel 2009, con la traduzione di Pietro Marchesani.
Nessun giudizio morale, nessuna retorica dell’indignazione, ma un atto d’amore per l’essere umano. E tanto pudore, rara avis, in una società come la nostra votata a un sensazionalismo che troppo spesso non rispetta nemmeno la morte.
Ecco testo e analisi della poesia.
Fotografia dell’11 settembre di Wislawa Szymborska: testo
Sono saltati giù dai piani in fiamme
uno, due, ancora qualcuno
sopra, sotto.
La fotografia li ha fissati vivi,
e ora li conserva
sopra la terra verso la terra.
Ognuno è ancora un tutto
con il proprio viso
e il sangue ben nascosto.
C’è abbastanza tempo
perché si scompiglino i capelli
e dalle tasche cadano
gli spiccioli, le chiavi.
Restano ancora nella sfera dell’aria,
nell’ambito di luoghi
che si sono appena aperti.
Solo due cose posso fare per loro
descrivere quel volo
senza aggiungere l’ultima frase.
Fotografia dell’11 settembre di Wislawa Szymborska: parafrasi e commento
Metrica: sei strofe di versi liberi
I
Sono saltati giù dai piani in fiamme
uno, due, ancora qualcuno
sopra, sotto.
Alcune persone hanno scelto di gettarsi nel vuoto prima che i due grattacieli in fiamme - Nord e Sud del World Trade Center di New York- crollassero. La poetessa polacca tralascia l’impatto degli aerei, tralascia il crollo delle due torri per concentrare la sua attenzione sugli individui che decisero di andare incontro alla morte. Questa angolazione particolare carica la prima strofa di drammatico dinamismo.
II
La fotografia li ha fissati vivi,
e ora li conserva sopra la terra verso la terra.
Questi versi immortalano le vittime come uno scatto, ancora vivi nella prima fase del lancio, sospesi sopra il suolo. La staticità dell’immagine fa da contrappeso al dinamismo della strofa precedente.
III
Ognuno è ancora un tutto
con il proprio viso
e il sangue ben nascosto.
Nella prima fase della caduta il corpo è ancora intatto e non si vede il sangue. All’autrice non interessano i colori macabri del gesto suicida.
IV
C’è abbastanza tempo
perché si scompiglino i capelli
e dalle tasche cadano
gli spiccioli, le chiavi.
I capelli sono ancora in ordine come gli oggetti personali riposti nelle tasche. È al rallentatore questa strofa giocata sui tre dettagli (capigliatura, monete, chiavi) funzionali all’oggettività di un’istantanea. Ma spiccioli e chiavi, probabilmente di casa, sembrano il correlativo oggettivo di una quotidianità che sta andando in frantumi. È un capolavoro questa strofa che indossa parole comuni, perché dietro l’impersonalità di un frame, racconta il dramma di famiglie spezzate.
V
Restano ancora nella sfera dell’aria,
nell’ambito di luoghi
che si sono appena aperti.
L’autrice circoscrive lo spazio aereo attraverso cui gli uomini stanno cadendo. Che sia un modo per dare l’idea dell’altezza dei grattacieli e quindi della durata della caduta? Oppure per precisare che i corpi non sono ancora in balìa dell’accelerazione di gravità?
VI
Solo due cose posso fare per loro
descrivere quel volo
senza aggiungere l’ultima frase.
L’ultima strofa esplicita il ruolo del poeta: mantenere vivo il ricordo di chi non c’è più con amore e dignità. Infatti pudore e pietas impongono di tacere l’inevitabile schianto al suolo.
Dal punto di vista stilistico si tratta di una ellissi o di una reticenza? L’ellissi consiste nell’eliminazione nel corso di un enunciato di alcuni elementi che restano sottintesi. È vero che in prosa, indicando un salto temporale, serve ad accelerare il tempo del racconto. È altrettanto vero che in questo caso l’ellissi possiede lo stesso rigore morale della reticenza e la forza di un non detto.
Vediamo a riguardo la posizione della Treccani:
Reticenza: aposiopesi o reticenza (dal gr. aposiṓpēsis, dal verbo aposiōpáō «mi interrompo, taccio»; in latino si traduce reticentia «reticenza») è la figura retorica che consiste nell’improvvisa interruzione di un messaggio con la soppressione di una sua parte o nell’allusione diretta a qualcosa che viene taciuto.
Elissi: figura retorica che consiste nell’omissione in una proposizione di uno o più elementi che si possono sottintendere (per es. il verbo) conferendo all’enunciato più concisione ed efficacia.
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: “Fotografia dell’11 settembre”: la poesia di Wislawa Szymborska per ricordare le vittime dell’attentato
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