Francesco Guicciardini (1483-1540) è stato uno scrittore, storico e politico italiano. Considerato il progenitore della storiografia moderna e il fondatore dell’aforisma morale e politico, oggi Guicciardini gode di minore fama nei programmi scolastici e nel pensiero critico, anche grazie a una tradizione (che ha il suo maggior esponente in Francesco De Sanctis) che gli ha sempre preferito Machiavelli e che ne ha mal sopportato, tra i tanti aspetti, anche lo stile prolisso e circonvoluto.
Tuttavia, l’autore non può essere ignorato: ecco perché ne abbiamo riassunto di seguito vita e opere.
Vita
Francesco Guicciardini nacque a Firenze il 6 marzo 1483. Una prima parte della sua formazione avvenne in famiglia (una tra le più fedeli ai Medici): in casa poté formarsi sui grandi storici dell’antichità, Senofonte, Tucidide, Livio e Tacito. Successivamente studiò giurisprudenza a Firenze e, per proseguire con gli studi, si trasferì prima a Ferrara e poi a Padova. Rientrò a Firenze nel 1505.
L’attività accademica, iniziata ancor prima della laurea, si interruppe nel 1506, quando Guicciardini poté finalmente accedere alla carriera politica. Fondamentale per la sua rapida ascesa fu il matrimonio con Maria Salviati (cui il padre era contrario), appartenente a una famiglia prestigiosa, politicamente esposta e contraria a Pier Soderini, gonfaloniere a vita di Firenze. A questi anni risale l’inizio della stesura dei Ricordi e delle Storie fiorentine.
Nel giro di poco tempo Guicciardini ebbe un ruolo politico rilevante non solo per Firenze, ma anche per quanto riguardava la politica internazionale: nel 1512 ricevette dalla Repubblica Fiorentina l’incarico di ambasciatore presso Ferdinando II di Spagna. Da questo incarico nacquero la Relazione di Spagna e il Discorso di Logrongo, rispettivamente un’analisi delle condizioni socio-politiche spagnole e un’opera di teoria politica, che auspica a una riforma in senso aristocratico della Repubblica, che riproporrà anche una decina di anni dopo nel Dialogo del reggimento di Firenze.
Quando nel 1513 tornò in patria, la Signoria Medicea era stata restaurata, ma le mutate condizioni politiche non fecero che agevolare l’ascesa politica di Guicciardini. Nel 1514 fece parte degli Otto di Guardia e di Balia (antica magistratura fiorentina che si occupava di affari criminali e polizia) e nel 1515 diventò avvocato concistoriale; tra il 1516 e il 1517 fu nominato governatore di Modena, Reggio Emilia e Parma, grazie al neo-insediato papa Leone X (Giovanni de’ Medici). Nel 1521 fu nominato commissario generale dell’esercito pontificio e si trovò a contrastare l’assedio di Parma (l’assedio è ricordato nella sua Relazione della difesa di Parma). Successivamente fu inviato a governare la Romagna da papa Clemente VII (Giulio de’ Medici).
Nel tentativo di contrastare il potere sempre maggiore di Carlo V, e nel tentativo di salvaguardare l’indipendenza italiana, convinse gli stati regionali italiani e francesi a stabilire un’alleanza, che venne firmata a Cognac nel 1526. La Lega di Cognac fu presto sconfitta: nel 1527 Roma fu saccheggiata dai Lanzichenecchi e a Firenze venne restaurata la Repubblica.
Con il ritorno della Repubblica, malvisto Guicciardini si ritirò in esilio volontario nella villa di Finocchietto. Qui compose due orazioni, Accusatoria e Defensoria, e una Lettera consolatoria: le tre opere seguono il modello dell’oratio ficta, esponendo prima accuse a lui imputabili, le rispettive confutazioni e una finta consolazione a opera di un amico.
Del 1529 sono le Considerazioni intorno ai "Discorsi" del Machiavelli "sopra la prima deca di Tito Livio".
Nello stesso anno Guicciardini fu costretto a lasciare Firenze e si rimise al servizio di Clemente VII, che gli offrì un incarico di diplomatico a Bologna.
Nel 1531 i Medici tornarono a Firenze. Guicciardini fu nuovamente accolto a corte come consigliere del duca Alessandro (per cui scrisse i Discorsi del modo di riformare lo stato dopo la caduta della Repubblica e di assicurarlo al duca Alessandro), ma presto lasciato in disparte dal suo successore Cosimo I.
Ritiratosi ad Arcetri, trascorse i suoi ultimi anni dedicandosi alla letteratura: riordinò i Ricordi, raccolse i Discorsi politici e scrisse la Storia d’Italia. Morì ad Arcetri nel 1540.
Opere
Fino a metà Ottocento la reputazione di Guicciardini si basava unicamente sulla Storia d’Italia e su alcuni estratti e aforismi; le restanti opere furono pubblicate solamente dal 1857 in poi, anno in cui i suoi discendenti decisero di aprire gli archivi di famiglia.
Abbiamo inquadrato la composizione di tutte le opere di Guicciardini nel loro contesto storico e biografico di riferimento, ci concentriamo di seguito con maggiore attenzione sulle principali.
Storie fiorentine
Scritte tra il 1508 e il 1509, le Storie coprono il periodo compreso tra il Tumulto dei Ciompi (1378) e la battaglia di Agnadello (1509) e si occupano di indagare le cause degli eventi storici, per metterne in luce riflessi e contraddizioni sul presente della politica fiorentina. Guicciardini dedica particolare attenzione ai protagonisti del periodo trattato, tra cui Lorenzo de’ Medici (considerato negativamente), Girolamo Savonarola (di cui loda la democrazia), Caterina Sforza e Cesare Borgia.
Ricordi politici e civili
I Ricordi racchiudono oltre 200 pensieri stesi da Guicciardini nel corso degli anni, che si susseguono in modo indipendente l’uno dall’altro. Grazie a essi, il politico e scrittore è stato considerato il padre dell’aforisma morale e politico: "ricordo" è qui inteso non nella sua accezione più immediata, ma piuttosto come "ammonimento" o "consiglio".
Respingendo qualsiasi visione utopica della realtà, Guicciardini è convinto che la storia non si faccia con i sogni di libertà e felicità, ma che sia necessario affermarne l’inattuabilità pratica. La sua visione della storia non è una visione trascendentale: non esiste una scienza sistematica in grado di inquadrarla, né leggi universali, ma si possono solo valutare le singole situazioni, di cui i suoi Ricordi vogliono essere un esempio.
Considerazioni intorno ai "Discorsi" del Machiavelli "sopra la prima deca di Tito Livio"
Non è solo il pensiero critico successivo che ha istituito il confronto tra Guicciardini e Machiavelli: lo stesso Guicciardini aveva contestato espressamente le opinioni del suo concittadino, di cui criticava in particolare la concezione di storia.
La storia infatti, per Guicciardini, non può essere magistra vitae, anzi: non dà alcun aiuto all’uomo, che si trova in un mondo dominato, anziché da leggi universali, da realtà frammentarie e casi sempre diversi. La via giusta, come detto anche nei Ricordi, è quella di scegliere la discrezione: saper scegliere volta per volta quale sia la soluzione migliore per approcciarsi con la realtà.
Storia d’Italia
Scritta tra il 1537 e il 1540, la Storia d’Italia si compone di venti libri, che coprono il periodo compreso tra il 1492 (l’anno della morte di Lorenzo il Magnifico) e il 1534 (l’anno della morte di papa Clemente VII). Il periodo scelto (trattato sul modello annalistico di Tacito) è uno tra i più impegnativi dell’Italia rinascimentale: comprende la calata di Carlo VIII (1494) e il sacco di Roma (1527).
Anche in questo caso al centro della narrazione si trova l’analisi politica e psicologica dei grandi protagonisti degli eventi, descritti, sempre sul modello latino, tramite i loro ritratti e le loro orazioni (esattamente come avveniva nella Congiura di Catilina di Sallustio).
Se nei Ricordi Guicciardini porta avanti determinate riflessioni sulla sua concezione di storia, nella Storia d’Italia l’autore ha l’obiettivo di verificare, tramite l’esperienza, quelle riflessioni e il suo impiego di documenti ufficiali come fonti per la verifica costante di quanto attestato ha fatto sì che Guicciardini fosse considerato come progenitore della storiografia moderna.
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: Francesco Guicciardini: vita e opere dello scrittore
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