George Gray non è solo un nome, è un simbolo. Sono tante le voci di Spoon River nell’opera di Edgar Lee Masters: sono Elmer, Herman, Bert, Tom e Charley, tra loro c’è lo sportivo, il buffone, l’ubriacone, e molti altri, ora “tutti, tutti dormono, dormono, dormono sulla collina” come recita The Hill la poesia di apertura della raccolta, edita in Italia da Einaudi nel 1943 nella traduzione di Fernanda Pivano su consiglio di Cesare Pavese. L’antologia, anni dopo, avrebbe ottenuto più successo in Italia che in America grazie alla riscoperta musicale di Fabrizio De André che, nel 1971, vi dedicò un intero album Non al denaro né all’amore né al cielo.
Negli Stati Uniti Spoon River non avrebbe portato uguale fortuna al suo autore, Edgar Lee Masters, che visse più di ottant’anni - quasi quanto il suonatore Jones - e morì quasi in povertà, dopo aver abbandonato la professione di avvocato per aver seguito le proprie velleità letterarie. Aveva scritto l’Antologia di Spoon River in soli otto mesi di lavoro febbrile, guidato da un’ispirazione folgorante; in quegli otto mesi si guadagnò la fama imperitura di poeta, ma il successo, quello no, non sarebbe più tornato. Scrisse le pagine migliori della sua vita in quegli otto mesi, quando ancora il resto del mondo lo considerava un banale avvocato - e lui si sentiva, probabilmente, un fallito, che non aveva nemmeno il coraggio di vivere la vita che desiderava e far sbocciare il proprio talento.
Un intero villaggio è addormentato nel cimitero sulla collina e, dando voce agli epitaffi, Edgar Lee Masters ebbe l’intuizione di farlo risorgere: facendo parlare i morti che ormai non avevano più nulla da tacere, poesia dopo poesia, l’autore - che di professione faceva l’avvocato, per obbedire alla volontà paterna - riuscì a ricostruire tutte le vite degli abitanti di un paese immaginario dell’ignota provincia americana. L’ispirazione nacque, pare, dalla raccolta di epigrammi dell’Antologia Palatina e dai racconti materni (la madre di Masters, a quanto pare, aveva una vera e propria passione per i necrologi e una vocazione al compianto dei cari defunti).
Dal malato di cuore Francis Turner alla solitaria Mary McNeely, dall’uxoricida Fletcher McGee al rapinatore impiccato Hod Putt, sino al suonatore Jones che “giocò con la vita tutti i suoi novant’anni” e ora riesce a riconciliare le voci dei vivi e dei morti nel suo canto. Tra le molteplici voci che popolano l’universo di Spoon River c’è anche quella di George Gray, appunto, che forse è la più conosciuta dell’intera antologia proprio per il suo alto valore simbolico. Nell’epitaffio di Gray è racchiuso infatti l’anelito di ogni uomo, l’aspirazione suprema: trovare un senso alla propria vita.
Agli occhi dei lettori contemporanei George appare come un novello Ulisse alla perpetua ricerca della sua Itaca: anche ora che è morto non si rassegna di fronte al proprio fallimento e il suo parlare è intessuto di rimpianto. Tra tutte le voci di Spoon River che ci parlano dall’aldilà quella di George Gray appare forse come la più viva, perché arde alla stregua di una fiamma eterna e si pone come un monito imperituro.
In George Gray è forse racchiusa la morale dell’intera raccolta: un invito ad apprezzare la vita e a non sprecarla invano, anzi, a vivere fino in fondo, accogliendo tutta la gioia e tutta la sofferenza che l’esistenza porta con sé.
Vediamone testo, traduzione, analisi e significato.
George Gray in “Spoon River”: testo originale
I have studied many times
The marble which was chiseled for me –
A boat with a furled sail at rest in a harbor.
In truth it pictures not my destination
But my life.
For love was offered me and I shrank from its disillusionment;
Sorrow knocked at my door, but I was afraid;
Ambition called to me, but I dreaded the chances.
Yet all the while I hungered for meaning in my life.
And now I know that we must lift the sail
And catch the winds of destiny
Wherever they drive the boat.
To put meaning in one’s life may end in madness,
But life without meaning is the torture
Of restlessness and vague desire –
It is a boat longing for the sea and yet afraid.
George Gray in “Spoon River”: testo italiano
Molte volte ho studiato
la lapide che mi hanno scolpito:
una barca con vele ammainate, in un porto.
In realtà non è questa la mia destinazione
ma la mia vita.
Perché l’amore mi si offrì e io mi ritrassi dal suo inganno;
il dolore bussò alla mia porta, e io ebbi paura;
l’ambizione mi chiamò, ma io temetti gli imprevisti.
Malgrado tutto avevo fame di un significato nella vita.
E adesso so che bisogna alzare le vele
e prendere i venti del destino,
dovunque spingano la barca.
Dare un senso alla vita può condurre a follia,
ma una vita senza senso è la tortura
dell’inquietudine e del vano desiderio.
È una barca che anela al mare eppure lo teme.(Traduzione di Fernanda Pivano)
George Gray in “Spoon River”: analisi e commento
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La poesia di George Gray si apre con una riflessione sarcastica: l’uomo riflette sul suo epitaffio e sul simbolo della barca che è stato scolpito sulla sua tomba. Si tratta per l’appunto di una barca dalle “vele ammainate”, quindi abbassate: secondo l’uso marinaro, le vele di una barca si abbassano e ritirano quando l’imbarcazione è pronta a sostare in un porto, dunque alla fine del viaggio. La barca incisa sulla lapide dovrebbe indicare la destinazione, il fatto che lui sia giunto alla fine del suo percorso terreno; ma dalla tomba la voce di George spiazza il lettore operando una conversione inattesa che ribalta totalmente le prospettive. Quella barca, ci dice la voce, non indica la morte ma la sua vita. Dunque, ecco la prospettiva che ci presenta George Gray: una vita ferma come una barca in porto. Eppure ecco che la sua voce, dall’aldilà, risuona appassionata e dolente come quella di un eroe antico: la viltà e la paura gli hanno impedito di vivere davvero, disseminando il suo percorso di occasioni mai colte e desideri mai assecondati; ma ora è pronto a levare le vele e, consapevole di non poterlo più fare, ammonisce i suoi interlocutori affinché non lascino trascorrere la loro vita invano. Una vita senza rischio, afferma George Gray - o quello che è ora il suo fantasma, non vale la pena di essere vissuta e quindi ci invita a osare, ad amare, a rischiare, a provare rabbia e dolore, ma a non risparmiarci.
Forse è questa la nota più commovente della poesia di George Gray: udiamo la voce di un morto che disperatamente vuole vivere e, nella sua meditazione retrospettiva, avvertiamo l’effetto paralizzante del rimpianto, inteso come la constatazione dolente di un passato che ormai non è più possibile cambiare. Ed è in quel rimpianto, in quella paralisi dell’anima, che risiede la vera morte: non una morte fisica, corporea, ma una morte ben peggiore perché presuppone una paralisi dell’anima, impedendo così la trascendenza.
Nella sua vita George Gray non ha commesso alcun crimine e non è neppure morto di vita violenta: la sua è stata un’esistenza ordinaria, confortevole, tranquilla, eppure è proprio a questa figura - all’apparenza insignificante - che Edgar Lee Masters fa pronunciare le parole più significative, dando corpo al rimpianto di non aver mai vissuto veramente. Chissà forse il poeta - che nella vita di tutti i giorni non era poeta ma avvocato - avvertiva in cuor suo la stessa pena di George Gray, l’identico tormento senza nome: l’angoscia di non vivere la vita che voleva vivere. Questa sensazione tremenda e - al contempo indicibile - viene tradotta alla perfezione nel simbolismo della barca che è diventata un’allegoria ormai aforismatica del senso della vita.
La parte più celebre della poesia è infatti la strofa finale, nella quale George Gray dice:
Dare un senso alla vita può condurre a follia,
ma una vita senza senso è la tortura
dell’inquietudine e del vano desiderio.
È una barca che anela al mare eppure lo teme.
L’eterno riposo di George Gray non è confortante né consolatorio, poiché il suo cuore è straziato dall’angoscia di non aver mai vissuto pienamente. L’uomo sembra aver vissuto in un limbo, scontando la morte in vita: nella metafora della barca si traduce la sua pena, il suo essere arenato, dimenticato, perduto. Il ritorno della barca nel porto dovrebbe evocare grandi viaggi per mare e tempeste; ma non per lui, perché George constata che la sua vita non è mai salpata davvero. A differenza degli altri abitanti di Spoon River infatti non sappiamo nulla di George Gray: lui non esprime i suoi sentimenti né i suoi desideri, neppure i suoi peccati, l’unica cosa che descrive è il suo epitaffio - dunque quella barca - come se la morte fosse la cosa più vera che gli sia mai capitata.
George Gray in “Spoon River”: significato
La poesia inizia col dire: “I have studied many times”; ma non è alla sua vita passata che Gray si riferisce, sta parlando della sua morte. Soltanto da morto infatti sembra vivere pienamente, trovando anche il tempo di studiare l’iscrizione sulla sua tomba.
Soltanto ora, dalla prospettiva della morte, George Gray si rende conto di non aver mai vissuto. E quella barca che prende i venti del destino ricorda la nave degli Argonauti, ma anche la barca di Ulisse che a lungo peregrinò per mare prima di fare ritorno a Itaca.
Il personaggio omerico traduce quella tensione vitale che a George Gray è sempre mancata: mentre l’eroe dal “multiforme ingegno” vagò a lungo alla ricerca di un senso nella vita, al punto da essere punito nell’Inferno di Dante per la sua sete di canoscenza, ecco che George Gray non tentò neppure la sorte, annichilito dalla sua paura di vivere e da una mancanza di coraggio pietrificante. Ulisse, nella visione dantesca, fa naufragio dopo aver superato le famigerate “Colonne d’Ercole”, ovvero il confine del mondo conosciuto, punito per aver sfidato i limiti della conoscenza umana. L’Ulisse dantesco non farà mai ritorno a Itaca; ma del resto per Dante, così come per il poeta greco Costantino Kavafis, il senso non è la meta - Itaca- ma il viaggio stesso.
Lo stesso vuole dirci la voce dolente di George Gray nella poesia di Masters: non c’è alcun senso nella barca dalle vele ammainate, ancorata al porto: il senso è nel viaggio, nella barca che solca i mari e affronta correnti e tempeste, dunque - il grido taciuto di George Gray - sottintende che il verso senso della vita è vivere, null’altro. Se ora potesse, il personaggio di Spoon River, alzerebbe le vele e affronterebbe gli insidiosi venti del destino, perché non c’è angoscia peggiore che scoprire che è tardi, troppo tardi, per vivere e che l’intera vita si è consumata così - in un lampo - tra inquietudini e travagli più o meno immaginari.
Il simbolismo della barca
Il simbolismo della barca nella poesia di Edgar Lee Masters traduce un’allegoria precisa: il porto si fa metafora della fine del viaggio, ovvero della morte, mentre la barca rappresenta la vita intesa, per l’appunto, come viaggio.
Il senso della vita è racchiuso proprio in questa sofisticata allegoria della barca: il significato della vita è il viaggio, non la meta, perché nessuno di noi vive per raggiungere la morte, non è la morte lo scopo degli esseri viventi ma il suo esatto contrario. Così nessuno di noi comprerebbe una barca per lasciarla attraccata in un porto: se compri una barca vuoi vedere il mare, forse addirittura l’oceano, sentire il vento attraversare le vele e gonfiarle mentre fai rotta verso l’orizzonte e il tuo sguardo si spinge al di là del sole. In quest’ottica il drammatico naufragio di Ulisse, nella Divina Commedia, assume più significato dell’esistenza scialba di George Gray, il cui cognome non a caso presenta un’analogia con “grey” che in lingua inglese significa “grigio” - altro simbolismo - un colore che non è nemmeno un colore, ma una sfumatura.
Da questo punto di vista la poesia di George Gray dischiude un ampio ventaglio di riferimenti filosofici. Narrando l’epifania dell’inutilità, facendoci toccare l’insensatezza del nulla, Gray ci esorta a vivere, ci dice che non c’è nulla di più raro, di più bello, della vita. E in questa contrapposizione decisiva è racchiusa tutta la profondità della vita che, non a caso, ci viene mostrata attraverso l’immagine di un cimitero. Edgar Lee Masters si serve dei simboli e degli opposti per mettere in luce una verità ineludibile. Qual era la meta di Ulisse? Nell’immagine della barca è racchiusa tutta la fame di significato della vita: eccola, la vera “Itaca”.
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: “Una barca che anela al mare eppure lo teme”: la poesia di George Gray in “Spoon River”
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