Giulia Alberico nasce a San Vito Chietino nel 1949 e vive a Roma. Ha insegnato Italiano e Storia nelle scuole superiori di Roma per trent’anni. Ha pubblicato i libri “Madrigale” e “Il gioco della sorte” (Sellerio), “Come Sheherazade" (Rizzoli), “Il vento caldo del garbino" (Mondadori), il libro intervista a Massimo Girotti "Il corpo gentile" (Luca Sossella), "I libri sono timidi" (Filema). Il Suo ultimo libro è "Cuanta pasion!" (Mondadori, 2009), in cui raccoglie storie collezionate nel corso di una vita spesa ad insegnare. Il risultato è un ritratto esilarante, commovente, illuminante della scuola. Un ritratto che parla direttamente al cuore di ognuno di noi.
Giulia, intanto ti do il benvenuto a quella che non sarà la solita intervista chilometrica, ma solo 4 chiacchiere contate.
- Prima chiacchiera: I ragazzi protagonisti di “Cuanta pasion!”, pure se spesso ingabbiati in esistenze troppo complicate per la loro età, che in qualche modo si ripercuotono sulle loro giornate scolastiche un po’ turbinose, arrivano al lettore con tutto l’amore e il rispetto che dimostri nei loro confronti. Li consideri preziose speranze per il futuro e, in un’intervista in radio, hai dichiarato che “valgono molto più di quanto le apparenze vorrebbero far sembrare”. Vieni da un pianeta lontanissimo oppure qualche buona insegnante esiste davvero? E perché, secondo te, fanno tutti così fatica a capire quanto valga la pena scommettere sulle nuove generazioni?
No, non vengo da un lontano pianeta, vengo dall’aver fatto un mestiere che amavo. In quanto a scommettere sulle nuove generazioni è o dovrebbe essere connaturato alla natura di un buon insegnante. Ma non può essere lasciato solo nella scommessa. Devono scommettere con lui le famiglie, gli adulti, il mondo politico, dell’informazione, della cultura. Si assiste invece molto più spesso a occupazione gerontocratica del ‘potere’ o se non è proprio così comunque intellettuali, giornali, tv, politici tendono a vedere i giovani come pubblico, come consumatori di mode, di slogan, in ogni caso a privarli di originalità, di spazi per provare a pensare, a sognare, ad essere. Scommettere sulla formazione culturale dei ragazzi ( è la strada per me maestra) non rende frutti immediati né tanto meno tangibili. E’ anche rischiosa, perché formare delle persone preparate e consapevoli significa allevare delle persone attive e non passive, cosa che in una società come la nostra può risultare destabilizzante.
- Seconda chiacchiera: Ogni anno si parla di riforme nella scuola e lo si fa come se bastasse stravolgere gli equilibri per ottenere migliorie, dimenticandosi di quanto delicato sia il percorso educativo negli anni più importanti della crescita di un ragazzo. Il mio pensiero personale è che di fronte ad un professore inadeguato non c’è riforma che tenga. Non credi che bisognerebbe cominciare a “riformare” l’approccio del professore all’alunno?
In tutti i campi in cui viene messa in atto una relazione andrebbe curata la professionalità, la motivazione, l’abilità a trasmettere, a comunicare…Tanto più nel campo dell’insegnamento dove, per definizione, c’è uno che trasmette conoscenza e uno che apprende. Non si trasmette solo un contenuto, si trasmettono insieme ai contenuti dei valori, delle opinioni, degli sguardi sul mondo. E, pertanto, per un giovane l’incontro con gli insegnanti può risultare importantissimo per la personalità in crescita, per strutturarsi, per acquistare fiducia in sé e negli altri. Ci sono insegnanti di grande spessore pedagogico e umano. La scuola regge proprio per la presenza di questi.
- Terza chiacchiera: Quello dell’insegnante è un compito delicatissimo. L’insegnamento passa attraverso la testa del ragazzo come una sorta di semina. In radio hai detto che ci sono “insegnanti che seminano cadaveri”. Quali sono le conseguenze per un cattivo insegnante? Un buon agente di vendita lo si riconosce dal numero dei contratti che chiude. Qual è il metro di giudizio infallibile per stabilire se ci si trovi di fronte un insegnante capace o un seminatore di cadaveri?
Tutti i giudizi per me sono fallibili: detto questo (cioè che ho sempre, insieme ad alcune certezze, molti dubbi), ritengo che un insegnante “seminatore di cadaveri” lo si vede dalla noia mortale in cui versano i ragazzi in quelle ore di insegnamento, dalla poca duttilità nell’approccio umano, dalla scarsa volontà a lavorare in gruppo con i colleghi, dalla pervicace resistenza a mettersi in discussione, a rivedere obiettivi e metodi.
- Quarta chiacchiera: Io sono aquilano (n.d.r. Matteo Grimaldi) e vorrei chiederti com’è cambiata per te, da abruzzese, la percezione del valore delle cose dopo quel 6 aprile. Come ti sei sentita mentre scorrevano in tv, ininterrottamente, le immagini devastanti del terremoto, e cosa ti porti dentro?
Sono stata tre giorni fa ad intervistare alcune persone sfollate in un hotel sulla costa chietina. Dal 6 aprile, dopo un’overdose immediata, ho continuato a fare, scrivere, dare quel che posso per la mia terra che non ho mai sentito così mia come ora. Sono diffidente sui tempi che verranno, sull’impiego del fiume di denaro, spero che gli aquilani siano capaci di gestire questo tempo a venire. Credo che la condizione attuale degli sfollati sia terribile, per molti un dramma esistenziale durissimo, da dare di testa. E, questo, non credo sia chiaro a tanti.
Questa era l’ultima chiacchiera: non mi resta che salutarti e ringraziarti per aver accettato il mio invito. Se vuoi lasciare un messaggio al mondo intero, qui puoi farlo.
Messaggi? Difficile, anche un po’ da presuntuosa, forse…ma una cosa sì: leggere, leggere, leggere…coltivare il silenzio della lettura
N.d.r.: Si ringrazia la Prof.ssa Bolondi per la collaborazione alla realizzazione dell’intervista.
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: Giulia Alberico
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4 Chiacchiere (contate) con... Recensioni di libri 2009 Ti presento i miei... libri Giulia Alberico Scuola
con molto piacere ti ho trovata. Ci siamo conosciuti in quel di Alanno Scalo presso il giardino della casa di Giovanni al compleanno del caro Carlo, mi pare il 4 novembre del 66 , ero matricola in quel di Bologna.
Peccato che non ci siamo più incontrati.
Un carissimo saluto.