Se qualcuno dovesse vedere quest’immagine rimarrebbe disorientato: la scritta “Questa non è una pipa” sotto a una… pipa.
Ma procediamo con ordine.
L’immagine non sarebbe altro che un olio su tela di René Magritte, realizzato nel 1929 e intitolato Il tradimento delle immagini. Da questo dipinto si evince la differenza tra un oggetto fisico e la sua rappresentazione: Magritte, dunque, enfatizza ciò mediante quest’opera.
Tale differenza, però, oggigiorno viene sempre più frequentemente alterata, manipolata, confusa da molti al fine di creare delle verità proprie e diffonderle gridando alla “verità assoluta”, appoggiandosi a una parola banale (in fin dei conti, tutte le parole sono banali se non diamo loro un valore, un significato, un peso, un’importanza) ma potente: DEMOCRAZIA.
Il quadro scelto mi sembra un perfetto punto di riferimento, insieme al suo alterabile significato, per trattare un argomento delicato ed attuale.
Controinformazione, fake news e negazionismo sono termini (e rappresentazioni della realtà) che hanno una certa influenza sulle nostre vite e che contribuiscono a una forma di terrorismo: quello mediatico.
I vari autori delle fake news pretenderebbero di farci credere che quella pipa non solo non sia una pipa ma, guardandola da prospettive diverse o affermando di avere la verità sotto il naso senza accorgercene, che sia addirittura qualsiasi altra cosa. Ma la migliore potrebbe essere:
“Questa è una pipa”
Dietro a queste manipolazioni c’è una forte ideologizzazione da parte di persone che, appunto, ideologizzerebbero addirittura l’ossigeno. Gridano alla (loro) libertà di parola ma sarebbero in grado di censurare chi non la pensa in modo eguale, chi non si allinea a loro o chi non si sforza di capirli.
Il negazionismo
Un termine che sovente si associa alle fake news è il negazionismo che, nell’ultimo periodo, sta riscontrando una particolare rilevanza nella società.
Negazionismo. Negare. Lo assocerei a “negare che l’acqua sia bagnata”. E no, non sto denigrando o sminuendo un pensiero diverso dal mio. Credo che la suddivisione del giusto o sbagliato debba essere tralasciata e accettare che esistano punti di vista differenti, da rispettare ed equiparabili. Mi riconduco al paradosso della tolleranza che si chiede se “essere tolleranti significhi tollerare l’intolleranza” ma, se la tolleranza tollera l’intolleranza, si andrà incontro a una società sempre più intollerante. In conclusione, la tolleranza non può e non deve tollerare ciò che non ha niente di tollerante.
Proprio per questo, nazismo e fascismo, ideologie che si sono basate sull’odio, sull’intolleranza e sulla violenza, oggi sono condannate e demonizzate. Nonostante ciò, continuano a proteggere sotto la propria ala negazionismo e fake news, facendone un loro simbolo, un motivo di orgoglio. Ne fa parte, seppur indirettamente o non dichiaratamente, anche chi ha visioni xenofobe, omofobe, transfobiche, teocratiche, razziste e reazionarie.
Nel linguaggio accademico, il termine negazionismo assume una posizione di corrente pseudostorica e pseudoscientifica, che cioè negherebbe eventi legittimati da testimonianze storiche in maniera del tutto distopica. Tutto iniziò alla fine della Seconda guerra mondiale con il caso più eclatante e famoso di negazionismo riguardante l’Olocausto, con gente che sosteneva fosse tutta una farsa di Alleati, sovietici ed Ebrei per giustificare l’occupazione della Germania, le condizioni durissime imposte ai nemici nazisti e per dare il via libera alla creazione dello Stato di Israele.
Il negazionismo si è poi infiltrato in ogni ambito e contesto immaginabile: molti crimini di guerra non sarebbero mai avvenuti (come il genocidio armeno o le foibe), l’HIV sarebbe una trovata di Big Pharma per incrementare le entrate, nell’URSS il potere centrale censurava ciò che non dava buona immagine al Paese (negando le purghe staliniane), e, con la diffusione della pandemia covid19, si è messa in discussione l’esistenza del virus, portando alla nascita di proteste e movimenti No Vax, No Mask, No Green Pass.
I metodi scientifico e storico non sono perfetti, bensì in costante evoluzione
Ribadisco la non esistenza di una verità assoluta e che i metodi scientifico e storico non sono perfetti, bensì in costante evoluzione. Faccio un esempio banale: l’eruzione del Vesuvio del 79 d.C. Ci sono stati moltissimi dubbi sulla data precisa che, da sempre, è stata considerata il 24 agosto ma, con ricerche più approfondite, si è giunti alla conclusione che la data corretta fosse il 24 ottobre. Ciò non significa che il metodo storico abbia sbagliato e che ci si possa basare su quest’esempio per far nascere un ipotetico negazionismo dell’eruzione del Vesuvio, anzi dimostra altresì che il metodo storico è in evoluzione, motivo per cui non si debba dare niente per scontato.
Fake news e controinformazione
Molte volte viene dato per scontato che i colossi dell’informazione (telegiornali e quotidiani nazionali) sappiano tutto di tutti. Troppo spesso, infatti, si affida la propria conoscenza ad essi con un rapporto di autorevolezza e di fiducia: ogni volta che qualcuno dice “l’ha detto il telegiornale” tutti zittiscono.
Queste fonti primarie non sempre sono affidabili e altre volte riportano ciò che è solo una versione dei fatti. Ne accennai anche in un articolo su WikiLeaks: durante la guerra in Afghanistan del 2001, gli USA inviarono dei fondi al Pakistan per aiutare la popolazione civile, quando in realtà erano destinati al supporto delle truppe statunitensi; oppure di come i mass media fossero allineati dalla parte degli States americani (sempre in Afghanistan), nascondendo centinaia di morti innocenti difficili, se non impossibili, da giustificare ed evidenziando sempre l’indignazione dell’opinione pubblica nei confronti dei talebani.
Molte volte, le fake news sono popolari più di una verità, perché sono il risultato di ciò che vorremmo sentirci dire: è più affascinante una fake news che una noiosa verità e, il fatto che sia fake, passa in secondo piano.
Anche la Storia è piena di piccole “fake news”, presentabili come piccoli dettagli che, a distanza di molto tempo, sono stati alterati: basti pensare al cavallo di Troia o a molte citazioni famose attribuite a personaggi storici (ad esempio quella famosissima sulle brioches attribuita a Maria Antonietta). Oppure di come il frutto bandito, mai specificato nella Bibbia, non fosse in realtà la mela:
Allora la donna vide che l’albero era buono da mangiare, gradito agli occhi e desiderabile per acquistare saggezza; prese del suo frutto e ne mangiò, poi ne diede anche al marito, che era con lei, e anch’egli ne mangiò. Genesi 3, 6-7
Poi c’è il Medioevo che, per quanto misterioso, non è da considerarsi del tutto oscuro. Data la sua lontananza, abbiamo iniziato ad associare molte delle cose che associamo a tale periodo dall’Ottocento in poi: la paura collettiva dell’anno Mille, lo ius primae noctis, l’immaginario collettivo che vede i medioevali come fautori della “Terra Piatta”.
Ritornando nel presente, oggi le fake news si diffondono sempre più velocemente soprattutto su Internet: esistono tantissimi portali che trattano di controinformazione.
La controinformazione vorrebbe proporsi come “informazione alternativa”, non allineata alle principali fonti sicure e affidabili dell’informazione tradizionale e che quindi è diventata un covo riempito di notizie false e complottismi di ogni genere, confondendolo come sinonimo di “disinformazione”. La Rete è piena di portali che sfoggiano fieramente il termine “controinformazione” e che spesso denunciano i poteri forti, accusati di praticare la censura su ciò che non è gradito. Ce ne sono di tutti i tipi, è come un menu di un ristorante: disinformazione in campo medico-scientifico, politico, religioso e razziale, clickbait e complottismo.
“Hanno tutti ragione? Post-verità, fake news, big data e democrazia”: il saggio di Massimo Adinolfi
Tempo fa, mi imbattei su un’opinione riguardo la libertà di parola. La persona in questione – di cui mi sfugge il nome – affermava che spesso la libertà di parola venisse confusa con l’anarchia e che le bufale dovessero essere limitate, insieme alle persone che le diffondono. Inutile dire che tutti lo hanno linciato e affermavano che volesse una dittatura in stile cinese.
Le opinioni e le scuole di pensiero riguardo quest’argomento sono tantissime, sia ora che nel passato: i Sofisti, Pirandello e Schopenhauer, per citarne alcuni.
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A questi, nel 2019, ancor prima dell’era Covid-19, si è aggiunto anche Massimo Adinolfi, professore associato di Filosofia Teoretica presso l’Università Federico II di Napoli, col suo libro Hanno tutti ragione? Post-verità, fake news, big data e democrazia (Salerno editrice) che non tratta l’argomento dal punto di vista filosofico, bensì rappresenta una riflessione su argomenti collegati tramite un filo invisibile: democrazia rappresentativa, realtà, giustizia, populismo, verità manipolabili.
Secondo l’autore, siamo in un tempo di “post-verità” e, se per Nietzsche la verità non esiste, ma è data dal prodotto di un’interpretazione, oggi questa sarebbe data dai fatti che spesso sono sottoposti a manipolazioni, distorsioni e adattabili ad ogni opportunità. Quindi, il concetto di Verità nel nostro tempo è stato reso al pari di una semplice opinione (e ciò è stato rafforzato nell’era covid-19): basti pensare a come la Terra possa essere facoltativamente sferica o piatta e quest’ultima teoria sia difesa e sostenuta così come lo è la prima. Il libro è sviluppato in quattro capitoli e il primo tratta il fatto che non è la Verità ad essere in crisi ma “gli strumenti interpretativi con cui siamo stati abituati a trattarla”.
Gli altri capitoli trattano la crisi della democrazia rappresentativa, il concetto filosofico di realtà e la giustizia (tema a lui caro in quanto ex collaboratore del Ministero della Giustizia). È grazie alla giustizia (e ai temi affrontati) che è possibile misurare il “tasso di populismo che circola nell’aria”, che è un concetto fondamentale alla post-verità.
Per il sofismo, la verità è una forma di conoscenza soggettiva, legata all’individuo che la produce e alla sua esperienza. Non esiste un’unica verità; questa non sarebbe altro che la frantumazione di tante opinioni soggettive, tutte valide ed equivalenti.
Secoli e secoli dopo, ci sono i Maestri del sospetto, definiti così Freud, Nietzsche, Marx, Schopenhauer per le loro teorie sulla realtà che non è mai come sembra e dietro le loro giustificazioni si cela qualcosa di totalmente diverso.
Per Schopenhauer il mondo è una propria rappresentazione, una propria illusione ottica, la cui realtà è una “fotocopia mal inchiostrata” che cela la vera realtà delle cose.
Pirandello, invece, introduce la “Teoria delle maschere”, che spiega attraverso la metafora della maschera come l’uomo si trovi nascosto dietro una maschera imposta dalla società, dai valori a sua volta imposti da essa e dalla nostra famiglia. Questa maschera, così come la “maschera che ricopre l’inconscio”, non può essere tolta dall’uomo, quindi l’uomo non verrà mai a conoscenza della propria essenza e personalità. Questa teoria si presenta nella sua opera più famosa Uno, nessuno e centomila.
Uno perché l’uomo pensa di avere UNA SOLA personalità; centomila perché l’uomo nasconde tante personalità dietro la sua maschera, una per ogni persona che lo giudica; nessuno perché l’uomo non ne possiede alcuna.
Se Schopenhauer era molto pessimista e per lui doveva assolutamente essere così, con Pirandello è diverso in quanto sostiene la relatività delle cose, nonostante il suo personale pessimismo.
Per concludere, mi stavo ancora occupando della stesura di codesto articolo quando è scoppiata la guerra tra Ucraina e Russia. E qui si dovrebbe lavorare a un altro articolo a sé per non dilungarmi ulteriormente. Chissà perché dove c’è la guerra si celano molte informazioni fragili e prevale la manipolazione sull’opinione pubblica. Sembrerebbe di essere finiti in una pagina di Cronache marziane di Bradbury e invece siamo solo sul pianeta Terra dove la Storia ottusamente si ripete fedele soltanto a sé stessa e alle liturgie della falsa Verità… to be continued.
Recensione del libro
Hanno tutti ragione?
di Massimo Adinolfi
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: Hanno tutti ragione? Il libro di Massimo Adinolfi per riflettere su fake news e democrazia
La solita retorica mainstream e la miopia di chi gli crede. Se neghi le fake news propagate dai media di regime, sei negazionista. Se sei consapevole che i governi mentono e ti informi bene, non dando per scontato le narrazioni ufficiali, se hai senso critico, allora sei un complottista.
Uscite un po’ da questi ragionamenti semplicistici: sono la causa della merda in cui siamo e dell’autoritarismo che viene continuamente giustificato.