

I locali storici più belli d’Italia. Caffè e pasticcerie
- Autore: Irene Galifi
- Categoria: Saggistica
- Anno di pubblicazione: 2024
Un’apoteosi di espressi, di prelibatezze dolci, di architetture eleganti e arredi d’epoca: ecco I locali storici più belli d’Italia. Caffè e pasticcerie di Irene Galifi, un albo illustratissimo a colori (22,2x22,2 cm) della collana “Beaux livres”, edita da Magenes Editoriale (Milano, novembre 2024, 188 pagine). È dedicato ai luoghi pubblici di ritrovo e degustazione più famosi e antichi d’Italia, perfino con tre secoli di storia alle spalle, dal Florian in piazza San Marco a Venezia, caffè più antico d’Europa (1720), col vicino Harry’s Bar in Calle Vallaresso, al padovano Pedrocchi (il bar “senza porte”), passando per la Pasticceria Cavour 1880 di Bergamo, il Gambrinus di Napoli e ad altri cinquanta in tutta la penisola, isole comprese.
L’autrice, veneziana, lavora da oltre vent’anni nella conservazione e valorizzazione dei beni culturali. Collabora con case editrici italiane e straniere, scrivendo di luoghi meno noti, storia, tradizioni, arte e architettura del Triveneto.
In copertina, il Gran Caffè Quadri di Venezia, aperto da Giorgio Quadri, che arrivato da Corfù, nel 1775, rilevò la mescita di vino malvasia Rimedio, sotto le Procuratie Vecchie, per vendere “l’acqua negra bollente”. Nel 1830, la gestione passò ai fratelli Vaerini, che aggiunsero il Ristorante Quadri al piano superiore. Con l’ingresso della famiglia Alajmo, nel 2011, lo storico esercizio ha ripreso l’estetica originaria e ampliato la proposta. Tutto ebbe inizio con il boom della consumo dell’infuso dai chicchi di caffè, portato in Europa in grandi quantità proprio dai commercianti veneziani. È stato registrato nel 1624 il primo carico documentato in Laguna. Dal secondo quarto del Seicento, la nuova bevanda cominciò a essere consumata un po’ da tutti a Venezia, mentre all’inizio era conosciuta soltanto come medicinale. In piazza San Marco vennero aperti moltissimi locali per degustarlo, compreso il Florian. Net 1781 i caffè saranno 285 e hanno ispirato testimonianze letterarie d’epoca: significative le commedie di Carlo Goldoni, in cui vengono descritti anche come ritrovi ambigui di avventurieri, adescatrici, ladri e truffatori.
Interessanti, nella breve introduzione d’Irene Galifi, le resistenze del mondo ecclesiastico alla diffusione nel resto d’Italia dell’abitudine di bere caffè. L’ostilità derivava dalla provenienza dall’Oriente islamico di una bevanda gradita agli infedeli, nera come l’Inferno e ricavata sottoponendo la miscela alle fiamme. Alti prelati chiesero a papa Clemente VIII (1536-1605) di proibirla, perchè diabolica. Invece, il pontefice l’apprezzava, tanto da benedirla cristiana. II caffè divenne simbolo della classe borghese, emergente e riformatrice, contro la cioccolata, prediletta da teste coronate, aristocrazia e nobiltà di provincia. Si opponeva anche al rustico vino, amato dal popolo e molto a buon mercato. Nel nostro Paese, i Caffè finiranno per attuare una rivoluzione sociale, allentando i vincoli di classe, ceto o salotto. Si entrava senza invito, vi si leggevano giornali, si scambiavano opinioni e notizie. Si può dire che all’interno di quei locali neo democratici si andò formando quella che chiamiamo opinione pubblica. Ordinando una tazzina, si poteva disegnare e scrivere, avere a disposizione tavolo, carta, calamaio a pennino, per ore e in ambienti riscaldati. Si contrattavano affari, si giocava a scacchi, a carte e a biliardo. Era il posto elettivo per fumare, ascoltare musica, tramare qualcosa di losco. Anche riposare.
Di tutte le delizie descritte nel volume, l’esperienza e il gusto personale ci portano verso il Caffè Pedrocchi, esercizio quasi bicentenario nel centro di Padova, dove sono serviti lo squisito caffè alla menta e il delizioso Zabaione Stendhal, caro allo scrittore francese. Il caffè alla menta padovano, noto come Caffè Pedrocchi o Pedrocchino, esalta l’equilibrio tra la menta dolce e fredda accostata all’espresso amaro e caldo, panna e cacao amaro. Viene servito in una tazza da cappuccino, rigorosamente senza cucchiaino. Non va mescolato né zuccherato. Quanto allo zabaione, caldo, in tazza, guarnito di biscotti, è citato nel romanzo La Certosa di Parma da Marie-Henri Beyle, che firmava con lo pseudonimo di Stendhal. Il Pedrocchi è conosciuto come “Il caffè senza porte”, perché fino al 1916 era aperto ventiquattr’ore su ventiquattro, nella “città dei tre senza”, gli altri due sono un Santo senza nome e un prato senza erba (Sant’Antonio è chiamato soltanto il Santo e la grande piazza del Prato della Valle, ellittica e monumentale, è lastricata). Il locale sorge nella zona universitaria e vi potevano accedere anche gli studenti squattrinati, ammessi alla lettura e al consumo d’acqua nella Sala Verde; farebbe pensare che sia nato da qui l’“essere al verde”. Imponente edificio neoclassico, luogo d’incontro per intellettuali e letterati, ha ospitato feste, balli, riunioni commerciali e massoniche.
Nei primi dell’800, il caffettiere bergamasco Antonio Pedrocchi cominciò a sognare un caffè di architettura monumentale e funzionale. Lo voleva come il più bello. Commissionò il progetto all’architetto veneziano Giuseppe Jappelli, che assolvendo al mandato specifico, riuscì a modellare l’impronta elegante e unica di quello che di li a poco si sarebbe distinto tra gli edifici storici simbolo della città di Padova, uno dei più famosi, certamente il più grande Caffè dell’800. Inaugurato nel 1831, il Pedrocchi venne lasciato in eredità nel 1891 al Comune di Padova dal figlio adottivo Domenico Cappellato, con l’impegno di sviluppare tutti i miglioramenti derivanti dal progresso dei tempi. Al piano superiore, a partire dal IV Congresso degli scienziati italiani, venne inaugurato il piano “Nobile”, nel 1842, riservato a spettacoli e feste. Oggi ospita il Museo del Risorgimento e dell’Età Contemporanea.

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