È come un ritornello martellante impossibile da levarsi dalla testa, I tuoi occhi i tuoi occhi i tuoi occhi, la poesia di Nazim Hikmet ha la modernità di una canzone pop e, al contempo, conserva lo struggimento di un canto antico che sembra provenire dalle origini dei tempi.
Alcune delle liriche del poeta turco diventano frasi da ripetere, folgorazioni improvvise, immagini di vita vissuta. Una di queste è sicuramente la malinconica I tuoi occhi, composta da Hikmet nel 1948, durante gli anni del carcere. Si tratta di una poesia peculiare perché possiede la veemenza di un’invocazione, unita a un sentimentalismo sottile che tuttavia va crescendo come in una climax.
La lirica I tuoi occhi appartiene alla raccolta Poesie d’amore edita Mondadori con la traduzione di Joyce Lussu; tuttavia non è ascrivibile semplicemente al genere romantico. Ogni verso di Hikmet è infatti intriso del suo credo politico, del suo impeto rivoluzionario, e soprattutto ci parla di un uomo che sta vivendo sulla propria pelle la sofferenza inenarrabile dell’esilio e la privazione della libertà. Dobbiamo leggerla innanzitutto come la poesia di un recluso, un uomo che dal buio di una cella troppo stretta pensa alla vita, all’aria, all’amore come metafora di libertà: ecco che allora gli occhi della donna amata sembrano in grado di contenere l’intero universo, una vastità sconfinata di pensieri ed esperienze. L’intera lirica è il canto di un uomo in esilio e deve essere letta pensando proprio a questa contrapposizione duale tra “libertà e prigionia”.
Hikmet scrisse I tuoi occhi nel 1948, quando si trovava in carcere con l’accusa di aver fomentato con la sua poesia sovversiva la rivolta della marina turca. La condanna stabilita era di ventotto anni; ne scontò quattordici. Nel 1949 fu rilasciato, in seguito a una mobilitazione internazionale capeggiata da intellettuali tra i quali figuravano Sartre e Picasso, ma non sarebbe mai davvero tornato a “casa”. Fece ritorno in Turchia, ma rischiò di essere assassinato per ben due volte e quindi dovette fuggire a Mosca servendosi di un passaporto polacco. La sua fuga gli sarebbe costata la perdita della cittadinanza turca e l’avrebbe condannato a morire lontano dalla sua terra.
Nel frattempo aveva acquisito fama internazionale come poeta, ma le sue liriche avrebbero visto la luce in turco solo molti anni dopo la sua morte, nel 1970. Nazim Hikmet morì a Mosca il 3 giugno 1963, stroncato da un infarto sulla via di ritorno verso casa. Non avrebbe mai più rivisto Istanbul né i castagneti di Bursa, ma quelle immagini gli rintoccavano nel cuore ogni giorno, a ogni ora, come il lampo accecante di uno sguardo capace di fissarti e riconoscerti dicendo nel silenzio “Io so chi sei tu”.
Scopriamo testo, analisi e commento della poesia.
I tuoi occhi di Nazim Hikmet: testo
I tuoi occhi i tuoi occhi i tuoi occhi
che tu venga all’ospedale o in prigione
nei tuoi occhi porti sempre il sole.I tuoi occhi i tuoi occhi i tuoi occhi
questa fine di maggio, dalle parti d’Antalya,
sono così, le spighe, di primo mattino;i tuoi occhi i tuoi occhi i tuoi occhi
quante volte hanno pianto davanti a me
son rimasti tutti nudi, i tuoi occhi,
nudi e immensi come gli occhi di un bimbo
ma non un giorno han perso il loro sole;i tuoi occhi i tuoi occhi i tuoi occhi
che s’illanguidiscano un poco, i tuoi occhi
gioiosi, immensamente intelligenti, perfetti:
allora saprò far echeggiare il mondo
del mio amore.I tuoi occhi i tuoi occhi i tuoi occhi
così sono d’autunno i castagneti di Bursa
le foglie dopo la pioggia
e in ogni stagione e ad ogni ora, Istanbul.
I tuoi occhi di Nazim Hikmet: analisi e commento
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I tuoi occhi è una poesia struggente, ma per comprenderla appieno dobbiamo innanzitutto comprendere il contesto in cui fu scritta. Hikmet era rinchiuso in cella, privato di ogni libertà, schiacciato dalla consapevolezza che lo attendevano almeno altri quindici lunghi anni di prigionia per una colpa, in verità, mai commessa (almeno che non abbiamo un peso le colpe commesse con il pensiero).
Il riferimento agli occhi della donna amata - che nel canto ritornano con un ritmo martellante e quasi ipnotico - diventa quindi il riflesso della libertà perduta. Gli occhi di lei appaiono come una porta d’accesso al mondo esterno che al poeta è precluso: la donna giunge da fuori e quindi porta con sé l’incredibile privilegio della libertà e la luce abbagliante del sole che splende oltre i muri dell’angusta cella del carcere.
Guardando lei Hikmet vede il mondo che ha perduto: nei suoi occhi si riflette il paesaggio dell’infanzia, le spighe dorate d’Antalya nella luce del primo mattino, il profumo odoroso di un maggio carico di promesse d’estate.
Me negli occhi della donna il poeta vede riflessa pure la sua pena: nella loro dolorosa nudità quando sono inumiditi dal pianto si rispecchia la sua condanna, che neppure l’amore può alleviare.
Infine, dopo la climax incalzante che nell’ultima strofa ripete come in un’invocazione o un ritornello ipnotico I tuoi occhi i tuoi occhi i tuoi occhi - ecco che avviene la metamorfosi: gli occhi della donna diventano il ritratto di un intera città, Istanbul, e infine di un’intera patria, la Turchia. È come se dagli occhi - l’organo per eccellenza della vista - si spalancasse una capacità di visione inedita: sono quegli occhi che ci permettono, d’improvviso, di vedere attraverso i ricordi e oltre le rigide pareti della mente. Attraverso quegli occhi amati, così dolorosamente invocati, si spalanca l’infinito dell’immaginazione e una sinestesia di sensazioni e visioni diventa viva.
Dagli occhi al cuore, ecco che sentiamo l’odore di terra e acqua dell’autunno nei castagneti di Bursa e la vivace folla brulicante per le vie di Istanbul, città che non dorme mai, e appare ancora più vitale nella promessa a lungo anelata di libertà.
La malinconia accompagna sottotono l’intero canto, ma nel finale esplode perché è come se il poeta finalmente rivedesse la sua città natale, la sentisse vicina, pur sapendo che il ritorno gli sarà negato per sempre. Nella lirica I tuoi occhi vibra la pena di un novello Ulisse, che pensa la sua Itaca vedendola riflessa nello sguardo amato di Penelope.
L’amore narrato è malinconico e doloroso, brucia come una ferita aperta perché si avvera soprattutto nell’impossibilità: l’Odissea di Hikmet, a differenza di quella di Ulisse, non prevede un lieto fine né un lungo viaggio per mare.
Tutto si annulla in quell’invocazione I tuoi occhi i tuoi occhi i tuoi occhi che ancora oggi ci appare come un grido affannoso, un’ammissione di impotenza, il canto di dolore di un uomo in esilio che non rivedrà mai più la sua terra e sembra annegare nel mare tempestoso della lontananza.
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: “I tuoi occhi” di Nazim Hikmet: un canto d’amore e di esilio
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