Oggi 20 marzo cade il primo giorno di primavera in concomitanza con l’equinozio che si verificherà nell’emisfero boreale stanotte attorno alle ore 22 e 24, quando i raggi del sole saranno perfettamente perpendicolari all’asse di rotazione terrestre.
La primavera tuttavia non può essere ridotta a un semplice evento astronomico, a una ricorrenza da calendario: questa stagione rappresenta un cambiamento non solo temporale, ma anche spirituale, un vero e proprio risveglio dei sensi, un richiamo alla vita.
Ce lo ricorda una bella poesia di Giosuè Carducci intitolata Canto di marzo
che appare come un inno alla stagione primaverile: la lirica è costruita su una climax crescente e ha l’effetto melodico di una sinfonia. Il poeta canta il progressivo risveglio della natura per poi rivolgersi all’intera umanità richiamata alla vitalità delle opere, dei desideri, dei sogni e degli amori.
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Il canto è tratto dal II libro delle Odi barbare (Bologna, Zanichelli, 1906), la raccolta poetica in cui Giosuè Carducci intrecciava il culto della tradizione latina classica con la metrica e lo stile letterario moderno.
Una forma di poesia “ibrida” tesa a celebrare la sublime grandezza della classicità contaminandola con l’influsso ritmico impuro del presente: da qui il titolo della raccolta, quel “barbare” fa riferimento a come i latini avrebbero percepito lo stile carducciano, ovvero una copia volgare e imperfetta di ciò che loro intendevano “vera poesia”. L’armonia tra l’Io lirico e la Natura era, del resto, un tema caro ai latini: vi ritroviamo traccia già nei canti pastorali virgiliani con gli idilliaci quadri paesaggistici delle Bucoliche e delle Georgiche.
Carducci però combina il culto classico della forma con l’innovazione dello stile e l’eterogeneità dei temi trattati: il suo inno alla primavera quindi non si limita alla mera descrizione paesaggistica della natura, ma contempla l’elemento umano.
Il titolo originale della poesia era Canto di primavera e apparve per la prima volta il 12 aprile 1885 sul quindicesimo numero del supplemento culturale “La Domenica del Fracassa”.
Scopriamone testo, parafrasi e commento.
Il canto di marzo di Giosuè Carducci: testo
Quale una incinta, su cui scende languida
languida l’ombra del sopore e l’occupa,
disciolta giace e palpita su ’l talamo,
sospiri al labbro e rotti accenti vengono
e súbiti rossor la faccia corrono,tale è la terra: l’ombra de le nuvole
passa a sprazzi su ’l verde tra il sol pallido:
umido vento scuote i pèschi e i mandorli
bianco e rosso fioriti, ed i fior cadono:
spira da i pori de le glebe un cantico.― O salïenti da’ marini pascoli
vacche del cielo, grigie e bianche nuvole,
versate il latte da le mamme tumide
al piano e al colle che sorride e verzica,
a la selva che mette i primi palpiti — .Così cantano i fior che si risvegliano:
così cantano i germi che si movono
e le radici che bramose stendonsi:
così da l’ossa de i sepolti cantano
i germi de la vita e de gli spiriti.Ecco l’acqua che scroscia e il tuon che brontola:
porge il capo il vitel da la stalla umida,
la gallina scotendo l’ali strepita,
profondo nel verzier sospira il cúculo
ed i bambini sopra l’aia saltano.Chinatevi al lavoro, o validi omeri;
schiudetevi a gli amori, o cuori giovani,
impennatevi a i sogni, ali de l’anime;
irrompete a la guerra, o desii torbidi:
ciò che fu torna e tornerà ne i secoli.
Il canto di marzo di Giosuè Carducci: parafrasi
La terra è come una donna incinta su cui scende un molle sonno mentre discinta giace sul letto nuziale sospirando e piangendo, con il volto ravvivato da rapidi rossori.
Così l’ombra delle nuvole ricopre a sprazzi il verde dei prati mentre fa capolino un sole pallido e un vento umido scuote i peschi e i mandorli fioriti di gemme bianche e rosse. Mentre i fiori scossi dal vento cadono e si disperdono ecco dai terreni incolti si leva un canto.
Le nuvole grigie e bianche di primavera sono come le mucche che ora risalgono dai pascoli marini con le mammelle tumide e gonfie di latte pronte a innaffiare i prati verdeggianti dell’altopiano, delle colline che sorridono, dei boschi che palpitano di vita nuova.
Cantano alla primavera i fiori che si risvegliano, tutto ciò che si rigenera, le radici che si stendono e si allargano piene di desiderio. Così cantano anche le ossa sepolte dei morti, un inno al nuovo germogliare della vita e degli spiriti.
Ecco l’acqua che scroscia copiosa dai ruscelli, il temporale che tuona in lontananza, il vitellino sporge il capo fuori dalla stalla umida di calore, mentre la gallina starnazza nell’aia scuotendo le piume.
Nel profondo verde il cuculo diffonde il suo canto malinconico, e i bambini saltano nei cortili.
Spalle di uomini forti, chinatevi al lavoro nei campi.
Cuori giovani apritevi all’amore.
Anime libere schiudetevi a nuovi sogni
Desideri tumultuosi e impuri irrompete alla guerra dei sensi.
Ciò che era e fu ritorna e tornerà, per sempre, nei secoli.
Il canto di marzo di Giosuè Carducci: analisi e commento
Il titolo Canto di marzo fa riferimento al mese che dà i natali alla stagione primaverile: Carducci associa la primavera a marzo, il terzo mese del calendario, il più folle e burrascoso che porta scompiglio e cambiamento.
La poesia si apre con una personificazione: la terra in procinto di risvegliarsi dal lungo sonno dell’inverno viene associata a una donna incinta. Giosuè Carducci così lega subito il cambiamento temporale a una percezione corporale. Primavera non sono solo i fiori che sbocciano ridenti nei prati, ma anche un risveglio dei sensi, del corpo.
Questo rimando alla fisicità è sempre presente nella lirica e il poeta vi associa proprio il corpo femminile: la donna discinta che sospira nel talamo e, in seguito, le mammelle gonfie di latte delle mucche che bagnano i prati. Il corpo femminile si fa metafora della fertilità, della capacità di generare e, dunque, della stagione che si apre alla vita.
L’elemento naturale - alberi fioriti, pascoli verdeggianti - si intreccia dunque a quello animale e umano: la primavera cantata da Carducci è fisica e concreta, non si nutre di spiritualità e astrattismo. Anche la natura sembra rendersi partecipe del desiderio, come dimostra il movimento delle radici che paiono allargarsi abbracciando la terra.
Il canto alla primavera è suonato dal vento che fischia tra i rami degli alberi scuotendone i nuovi fiori, ma in una climax crescente sembra coinvolgere ogni cosa: è un’armonia silenziosa che rapisce gli animi e sembra risvegliare persino gli spiriti dei morti. Anche le ossa dei sepolti si associano a questo canto irresistibile del trionfo della vita.
Dopo aver narrato il risveglio della natura e degli animali ecco che Carducci torna all’elemento umano che, per analogia, era già stato introdotto nella prima strofa. La conclusione di Canto di marzo si rivolge prettamente agli uomini: l’ode è dedicata a loro. In una sequela di verbi all’imperativo il poeta richiama gli uomini al lavoro, ai sogni, all’amore e ai desideri troppo a lungo sopiti. Celebra il risveglio dei sensi e l’armonia perfetta della vita che sembrano suonare in perfetto accordo.
L’ultimo verso suona come una profezia, ma anche come una preghiera, ha lo stesso afflato di un inno sacrale:
Ciò che fu torna e tornerà ne i secoli
Giosuè Carducci celebra il ciclo della vita, il suo eterno ritorno, il conforto della ripetitività ciclica delle stagioni.
La primaveraè anche questo “eterno ritorno” della vitalità, il trionfo inatteso dei sensi che ogni volta rigenera e protegge il processo infinito e inesauribile dell’esistenza. Nonostante tutto, ecco che fuori è primavera: è l’eterno richiamo della vita che trionfa persino sulla morte.
Non possiamo non sentirci partecipi di questa melodia, questo accordo silenzioso che Carducci suona con la metrica invisibile delle parole come se fosse un flauto dolce componendo il Canto di marzo al quale i cuori rispondono all’unisono.
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: Il canto di marzo: la poesia di primavera di Giosuè Carducci
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