Il cielo di Singapore
- Autore: Sharlene Teo
- Genere: Autostima, motivazione e pensiero positivo
- Categoria: Narrativa Straniera
- Anno di pubblicazione: 2018
Un romanzo tutto al femminile, di una neo autrice che si considera una “scrittrice femminista”. Sharlene Teo è una trentenne con gli occhi a mandorla. Nata a Singapore nel 1987, è andata a studiare legge in Inghilterra, ma si è innamorata dell’arte di narrare e ha cambiato completamente rotta. Ha scelto la scrittura creativa, che ha appreso a fondo, fino a specializzarsi e che le ha consentito l’esordio nella narrativa internazionale con “Il cielo sopra Singapore”, tradotto in dieci lingue e già premiato. È uscito in Italia a settembre 2018, per i tipi della casa editrice romana E/O (256 pagine 18 euro).
Tutte donne le protagoniste, tanto in carne ossa che in forma di spettri della tradizione popolare indonesiana.
Szu ha 16 anni nel 2003. Ad 11 sperava che la pubertà arrivasse a liberare dalla crisalide la splendida fanciulla che sarebbe diventata, ma era rimasta delusa. Non era mai sbocciata, colpa della famiglia del padre, dalla quale si rammaricava di “aver preso”, tutti insignificanti e grigiastri. Di certo, non aveva nulla della bellezza materna. E dire che avrebbe fatto carte false per ereditarne anche solo una parte. “Mia madre dentro è un mostro”, dice Szu, ma di aspetto è talmente affascinante da potersela cavare in ogni occasione. I fan dei film malesi dell’orrore la conoscono come Amisa Tan, la Ponti.
“Ponti” è il titolo della prima pellicola di una trilogia di successo, il film migliore e meno apprezzato dalla critica prodotto a Singapore nel 1978. La mamma aveva 19 anni e quello era rimasto il suo unico ruolo, ma per gli spettatori era un’autentica star. Interpretava una Pontianak, figura della mitologia locale, un essere mostruoso sia pure dall’apparenza bellissima.
Grazie a un paio di protesi da quattro soldi, nelle prime scene la giovane Amisa è una ragazza brutta, gobba, che implora uno sciamano di farla diventare bella a qualunque prezzo. Stremato dalle suppliche, il Datuk acconsente e da una nuvola di polvere esce una donna radiosa, la vera Amisa Tan, in tutto il suo fascino. Ma nel film il dono ha un costo: la Ponti è una creatura maligna, assetata di sangue maschile. Seduce gli uomini nei vicoli bui, di notte. Succhia loro la vita e la giovinezza con un bacio, poi li divora. Alla fine di “Ponti” la madre muore, resuscita in “Ponti 2” e viene decapitata in “Ponti 3”.
Ma nel 2003 ovviamente la madre è viva e vegeta. Campa alle spalle della credulità della gente. Fingendo che la cognata Yunx sia una medium, mette a frutto l’innata capacità di afferrare al volo i punti deboli di chi ha davanti e sfruttarli cinicamente. Sotto questo aspetto è rimasta una Pontianak: succhia i soldi invece del sangue.
Comunque, resta tuttora popolare, al contrario della figlia. Szu viene emarginata. Le amiche in classe la considerano troppo eccentrica, oltre che brutta. La evitano, la
isolano.
Eccellente il modo di presentare con grande scorrevolezza questi caratteri femminili da parte di Sharlene. Il racconto torna al passato dell’Indonesia, della famiglia Tan e di Amisa, tanto bella fuori quanto gelida dentro, una Pontianak nata e cresciuta. “Essere antipatici ed essere amati hanno la stessa inafferrabile alchimia”, scrive l’autrice, in modo sempre efficace.
A 16 anni e un giorno Szu conosce Circe Low, una nuova alunna, frequenta lo stesso anno, viene a scuola da poche settimane e nemmeno tutti i giorni, per problemi con la gestione del sonno. Stringono un rapporto, Circe non trova Szu inquietante, non la ritiene come le altre l’incarnazione di Samara, la ragazzina paranormale del film “The ring”, con i lunghi capelli neri fradici davanti al viso. Se non ci tiene a lavarli e profumarli saranno pure affari suoi.
Appena il tempo di conoscere Circe e saltiamo al 2020. La Low ha divorziato da poco e da quando lo ha fatto ha scoperto di dormire molto meglio. Sharlene sembra voler dire che senza uomini non si sta male, anzi, si migliora.
A Circe capita di ritrovare per caso la trilogia “Ponti” e ricorda quando aveva intravisto la signora Tan, già molto malata, otto mesi prima che morisse. Una donna spettacolare e spettrale al tempo stesso: anche in abiti dimessi e ciabatte di plastica ai piedi cancellava chiunque al suo confronto, nessuna era alla sua altezza, magrissima ma splendente.
Il romanzo di Szu e Amisa diventa così anche il romanzo di Circe. Tre figure femminili: una ragazzina emarginata, un’altra ricca, ma insoddisfatta e un’ex stella del cinema popolare, preda di doppiezze irrisolte: cinica e futile, spregevole ed eterea, tanto bianco e tanto nero in una sola persona. Ha vissuto con lo sguardo rivolto al suo passato incompiuto ed ora viene idealmente proiettata verso il futuro dal progetto che la Low vuole a tutti i costi realizzare: un remake della trilogia horror, ispirato proprio dalla gelida, ma scintillante figura di Amisa Tan.
Dopotutto, questo romanzo è a sua volta una storia di realizzazione delle donne. Le due sedicenni sono trentatreenni nel 2020, a Singapore. Hanno raggiunto un livello di auto consapevolezza di sé che mamma Amisa aveva inseguito e non trovato per tutta la sua non lunga esistenza. Szu invece, ex ragazza odiata che si trascurava, è ora una moglie, madre e donna che si avvia alla maturità con una certa speranza, nonostante la consapevolezza che “siamo su questo pianeta e non ne usciremo vivi”.
Il cielo di Singapore
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