Da qualche giorno è in libreria Il coraggio delle madri (Edizioni della Sera 2015), volume redatto da Marco Proietti Mancini che prosegue il racconto della vita di Benedetto ed Elena dopo i romanzi Da parte di padre e Gli anni belli. Marco Proietti Mancini, nato a Roma nel 1961, lavora in una multinazionale dell’informatica. Ha iniziato a scrivere professionalmente nel 2009 con la pubblicazione del suo primo romanzo Da parte di padre, ripubblicato in eBook a ottobre 2013 da Edizioni della Sera. Collabora con riviste, siti e blog di recensioni letterarie. Nel 2012 è stato pubblicato il suo secondo libro Roma per sempre (Edizioni della Sera). Nello stesso anno il suo racconto Ogni venerdì è stato inserito nell’antologia Cronache dalla fine del mondo (Historica Edizioni) e ha scritto i testi per il volume fotografico Roma, caput mundi pubblicato a scopo benefico. Nel gennaio 2013 Roma per sempre è uscito in una nuova edizione ampliata per Edizioni della Sera. Nello stesso anno è uscito il suo secondo romanzo Gli anni belli (Edizioni della Sera 2013) e ha partecipato al progetto 99 Rimostranze a Dio (Ottolibri Edizioni). Nel 2014 ha pubblicato il romanzo Oltre gli occhi (Giubilei Rignani Editore) e il racconto Mi chiamo Antilope inserito nel libro Storiacce romane. Il suo blog Tiri Mancini è ospitato dal portale Cultora.it e alcuni racconti inediti sono pubblicati sul portale Liberarti.
Nel romanzo Il coraggio delle madri dedicato “Ai miei figli, non c’è nessuno che io possa amare più di quanto ami loro”, l’autore pone al centro della trama i fatti salienti che accaddero nel nostro Paese durante la II Guerra Mondiale. La battaglia e la sconfitta dell’esercito italiano in Nord Africa, a El Alamein nell’ottobre del 1942, il bombardamento del quartiere romano di San Lorenzo il 19 luglio 1943, l’8 settembre ’43, Roma liberata il 4 giugno del 1944 e la fine del conflitto nella primavera del 1945. In questo contesto sembrano quanto mai lontani “gli anni belli delle speranze, quando sembrava che tutto potesse andare bene, che non si potesse che crescere e migliorare e avere pace”. Benedetto (Bebbè) ed Elena (Elinù) Properzi, stando lontani l’uno dall’altra, combattono ciascuno la propria guerra. Il Sergente Maggiore Properzi, appartenente alla Brigata Paracadutisti Folgore, contemplando il deserto egiziano di Qattara ha piena consapevolezza dell’inutilità del conflitto. Elena, rimasta in quel quartiere popolare ad aspettare il suo uomo insieme alla piccola Annamaria, dove “le case sono fortezza”, si vede costretta a vivere una guerra logorante i cui nemici sono la paura, la fame e i continui bombardamenti.
“Le madri non si possono arrendere mai, né alla guerra né alla vita”
Coinvolgente la riuscita rievocazione di un periodo storico che Marco Proietti Mancini, attingendo anche ai ricordi familiari, ricostruisce fin nei piccoli dettagli.
“Per i suoi figli ci sarà sempre pane, ci sarà futuro”.
Abbiamo intervistato l’autore.
- Marco, nell’incipit del volume scrivi che “Il presente è solo una linea di confine tra i ricordi e i sogni e ogni scrittore è un contrabbandiere”. Desideri chiarire la tua riflessione?
Dopo il mio primo romanzo, scritto come se fosse la liberazione da storie che mi portavo dentro sin da bambino, ascoltate e riascoltate mille volte dalla voce dei miei nonni e genitori, mi sono reso conto che uno scrittore è come una spugna che assorbe vita, parole e immagini che lo circondano, per poi restituirle rendendole parole comuni, prende storie di singoli, di persone, e le fa diventare la storia di tutti. In questo senso, mi sento come un contrabbandiere che rende futuro quello che è ricordo, che è racconto del passato. Non sto dicendo che si possa scrivere senza fantasia, senza inventare, e ovviamente nel fare queste affermazioni mi riferisco solo a me stesso, senza pretendere che questo modo di sentire e restituire sia di tutti.
- Che cosa rappresenta per Benedetto il terrazzo in alto vicino alle stelle del suo palazzo a San Lorenzo dove “la gente che diventando una cosa sola si protegge e ti avvolge”?
La terrazza dove si svolge l’incipit del romanzo è la stessa dove ne “Gli anni belli” Elena ruba a Benedetto il primo bacio, è il posto più vicino al cielo e l’unico dove è possibile per Benedetto allontanarsi un pochino dalla casa dove vive insieme ai suoceri e al resto della famiglia di Elena.
Per quanto Benedetto si sia ambientato benissimo a Roma, a San Lorenzo, in lui rimane forte la nostalgia per Subiaco, il paese dove è nato e dal quale è dovuto andar via ancora ragazzo, un paese dove basta camminare cinque minuti per perdersi nelle campagne e ritrovarsi soli, nel silenzio. Ambientare su quella terrazza alcune parti del romanzo è un espediente scenico, come se si seguisse il protagonista della commedia fin dentro i camerini, quando l’attore non recita più e non scambia battute con nessun altro personaggio. È solo e può essere solo se stesso.
- In Libia, nel campo di prigionia inglese di Tobruk, Benedetto capisce di essere stato come tanti altri soldati “carne da macello da sacrificare” e che quella guerra era già persa in partenza. Ce ne vuoi parlare?
Perché in quella occasione – e nel romanzo ho provato a darne la dimostrazione attraverso il confronto tra la situazione dell’esercito italiano, rispetto alle dotazioni e condizioni delle forze angloamericane – Benedetto si trova di fronte l’oggettività di una differenza di potenza e organizzazione, le sue impressioni che gli facevano apparire quella guerra come una guerra “sbagliata” trovano conferma. Non mi permetto di mettere in discussione la convinzione dei soldati italiani, il loro coraggio, la loro determinazione. Il mio vuole essere un atto di accusa verso chi, allora, ma anche adesso, manipola informazioni e fornisce dati di comodo, per convincere le persone di quel che è giusto e quel che è sbagliato.
- Nel romanzo scrivi che “certe felicità le possono vivere e le sanno vivere solo le donne” e che “solo le madri hanno coraggio abbastanza da vivere fino in fondo certe felicità”. Perché?
Da quel che ho scritto fino ad ora può sembrare che “Il coraggio delle madri” sia il classico romanzo bellico, in cui la narrazione è tutta incentrata sul racconto di episodi bellici e militari. Non è così, in tutto il romanzo lo spazio dedicato alla guerra sul campo è quello di un solo capitolo. Io ho voluto raccontare la guerra dei civili, di quelli che la guerra se la trovano in casa. E le prime vittime della guerra sono le donne, che all’epoca non la combattevano ma la subivano come e più dei soldati, e mentre tutto crollava intorno a loro, mentre c’era la fame, il freddo e la violenza, dovevano comunque svolgere il compito più importante che esista. Essere madri. Essere rassicuranti verso i loro figli. Addirittura, in certi momenti, essere felici, di poco, di nulla.
- Se è vero come scrivi che “i grandi amori sono quelli che nascono su una terrazza d’estate tra le lenzuola stese e crescono sul tavolo di una cucina, in una casa normale di un quartiere popolare di una città immensa come Roma...”, il libro è anche il racconto di una grande storia d’amore?
Ma certo che lo è, come credo lo sia tutto quel che ho scritto fino ad ora e anche quello che sto scrivendo. Non mi interessano, anzi, rafforzo; non mi piacciono le divisioni in “generi” della letteratura, sono solo classificazioni comode per l’organizzazione degli scaffali delle librerie (quelle fisiche, perché per quelle on line sono divisioni assurde). Io credo che “Il coraggio delle madri” sia una storia di vita, vita di gente comune, vita di popolo e persone che si incontrano per strada ancora oggi, anche se la storia è ambientata in tutto il decennio degli anni ’40. Ci sono gite al mare e la fatica di vivere e lavorare, ci sono la disperazione della malattia e la speranza della guarigione, c’è la guerra e la paura, c’è la violenza. Come può non esserci l’amore? Se poi è il protagonista io non so e non sta a me dirlo. Un libro smette di appartenere all’autore appena diventa dei lettori e per ogni lettore sarà un libro unico e diverso.
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: Il coraggio delle madri: intervista a Marco Proietti Mancini
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