Nel 2024 la città di Venezia è in fermento per le celebrazioni dei 700 anni dalla morte di uno dei suoi cittadini più illustri: Marco Polo, il mercante protagonista de Il Milione, uno dei maggiori capolavori della letteratura di viaggio della storia, scritto nel 1298. Alla straordinaria figura di Polo sarà dedicato il Carnevale più bello di sempre della Serenissima, intitolato proprio Ad Oriente. Il mirabolante viaggio di Marco Polo.
Forse non tutti sanno che Marco Polo non fu il vero autore - nel senso che non fu lui a “scrivere” nel senso proprio del termine - de Il Milione, ma che il grande libro dei viaggi di Marco Polo fu scritto da Rustichello da Pisa, uno dei maggiori autori di romanzi cavallereschi dell’epoca, che trascrisse le memorie del commerciante, senza risparmiarsi i vezzi stilistici e narrativi che ben sapeva maneggiare.
Il libro apparve per la prima volta scritto in francese antico, con il titolo di Devisement du Monde.
L’incipit de Il Milione, che introduce le linee fondamentali della vicenda, possiede lo stile manieristico e brioso proprio dei poemi cavallereschi, che subito ci immerge nell’atmosfera esotica della storia.
Anziché appellarsi alle dame e ai cavalieri della corte, ecco che qui l’attacco è rivolto a “imperadori, re e duci”, dunque i “signori del potere”, erano i reali destinatari delle memorie di Polo:
Signori imperadori, re e duci e tutte altre gente che volete sapere le diverse generazioni delle genti e le diversità delle regioni del mondo, leggete questo libro dove le troverrete tutte le grandissime maraviglie e gran diversitadi delle genti d’Erminia, di Persia e di Tarteria, d’India e di molte altre province.
Il Milione è un grande libro, che ispirò anche uno dei nostri maggiori scrittori del Novecento, Italo Calvino, nella stesura de Le città invisibili (1972), libro che in ogni capitolo si conclude con un dialogo immaginario tra Polo e l’imperatore dei Tartari, il Gran Khan, colui che aveva conquistato gran parte di quella che ai tempi di Polo era conosciuta con il nome di “Eurasia”.
Immaginate la meraviglia che dovette suscitare, nei lettori della fine del milleduecento, un libro come Il Milione. Era un’opera capace di svelare una geografia sino ad allora sconosciuta, spingendo il lettore oltre i confini del mondo immaginato.
Il Milione inoltre risentiva chiaramente del clima culturale che caratterizzava la Venezia del tardo Duecento, un’atmosfera vivace che favorì lo sviluppo di nuovi gusti letterari e di una nuova letteratura. Non possiamo infatti scindere il libro di Marco Polo dall’epoca in cui è stato scritto, che coincideva con la nascita del ceto borghese-mercantile e con il declino della società feudale.
Il racconto dei viaggi di Marco Polo
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Quando nel 1271 partì, al seguito del padre Niccolò e dello zio Matteo, Marco Polo aveva soli diciassette anni. La famiglia Polo poteva vantare una lunga tradizione commerciale e una grande esperienza nei viaggi: Niccolò e Matteo avevano già raggiunto la Cina nel 1266 ed erano stati proclamati “emissari del Khan”.
Gli interessi mercantili, più che quelli letterari, dunque accrescevano questo interesse per il diverso, l’ignoto. Si andava alla ricerca di un altrove dapprima soltanto immaginato per poter effettuare degli scambi di merce utili e renumerativi. Il viaggio non era mai fine a sé stesso e non lo erano nemmeno i resoconti: spesso le testimonianze dei mercanti viaggiatori venivano radunate in appositi “zibaldoni” perché tornassero utili ad altri in procinto di partire per viaggi commerciali.
Il Milione di Marco Polo, tuttavia, era diverso da tutto quanto era stato scritto sino ad allora. Si trovava in quelle pagine il gusto della meraviglia, unito a descrizioni finemente realistiche e a una narrazione avventurosa dal sapore favolistico. Non era un vero e proprio diario di viaggio - mancano infatti i dettagli sugli spostamenti e sulle traiettorie compiute - e neppure un racconto d’avventura, ma non mancano le peripezie capaci di trasformare questo strano libro - definito “la migliore descrizione geografica, storica, politica dell’Asia medievale” in una narrazione avvincente. Il viaggio di Marco Polo durò tre anni e mezzo : la famiglia sbarcò ad Acri, in Terrasanta, nell’aprile del 1272 e dopodiché proseguì via terra lungo l’Anatolia e l’Armenia sino all’Iran, per poi imbarcarsi alla volta della Cina, la vera meta del loro viaggio.
Non mancarono le difficoltà e neppure gli ostacoli: viene descritto persino un attacco di predoni alla carovana sulla quale viaggiavano; i Polo riuscirono a salvarsi, ma molti dei loro compagni furono uccisi impietosamente. Tra le imprese più difficili ci fu l’attraversamento della catena del Pamir - durato 40 giorni - e la traversata del deserto del Gobi.
Al termine di tutte queste peripezie giunsero finalmente nel Palazzo dorato del Khan - descritto in tutta la sua magnificenza, composto di marmi e pietre preziose. Si trovavano nella città di Shagdu, poco lontano dall’odierna Pechino, nella residenza esitiva dell’imperatore.
L’incontro con il Gran Khan fu, per il giovane Marco, un’emozione fortissima: il Khan fu colpito dalla vivace intelligenza del figlio di Niccolò. Per volontà del Khan la famiglia Polo rimase in Cina per quasi 17 anni, fino a che non fu loro concesso di fare ritorno in patria.
Tornarono a Venezia 24 anni dopo la loro partenza, nel 1295. Durante quel periodo trascorso in Cina Marco Polo apprese la lingua e controllò l’amministrazione per conto del Khan, viaggiando in lungo e in largo attraverso l’Impero, scoprendo così la Birmania, l’Indocina, la Persia.
Marco Polo e la scoperta della Cina
L’incontro tra Marco Polo e il Gran Khan è stato immaginato e riportato su tela dal pittore Tranquillo da Cremona, nel quadro intitolato Marco Polo alla Corte del Gran Khan (1863). Si tratta di un grande quadro olio su tela, ora esposto alla Galleria nazionale di Arte moderna di Roma, che riesce a rappresentare con vividezza cromatica e accuratezza dei costumi la grande meraviglia di quel momento. Il giovane Marco, posto al centro del quadro, appare come una figura scura e sperduta in netto contrasto con gli uomini ricoperti d’oro e gioiello che lo circondano. Alla corte del Khan Marco Polo diventò un funzionario di alto livello e conobbe a fondo la realtà cinese. Sorprende ancora oggi il suo sguardo puro, capace di posarsi sulle cose con totale assenza di pregiudizi. Anche quando si sofferma sulle usanze delle popolazioni locali - alcune delle quali dovevano apparire parecchio bizzarre a un giovane veneziano del Duecento - Polo si esime da qualunque giudizio, anzi, persino giustifica alcuni comportamenti o tradizioni adducendo delle spiegazioni parecchio buffe: a un certo punto scrive che le donne dell’attuale Afghanistan indossavano delle brache perché gli uomini le preferivano formose.
Tornato a Venezia, Marco Polo non viaggiò più. Partecipò alla guerra tra Genova, Bisanzio e Venezia e, in quell’occasione venne fatto prigioniero. Durante gli anni di prigionia conobbe Rustichello da Pisa, al quale avrebbe dettato le sue memorie e il ricordo del magico mondo d’Oriente. Nacque così “Il Milione”, uno dei libri più letti e studiati al mondo, che spalancò agli occidentali la conoscenza di un altrove vasto, sconfinato e in parte ancora sconosciuto .
A quel punto Marco Polo era molto stanco, lasciò che a viaggiare fossero le sue parole e nuovi esploratori, tra i quali figura un certo Cristoforo Colombo che, pare, fu ispirato proprio dalla lettura de Il milione, il Libro dei libri, capace di unire avventura e scoperta in un unico prodigio letterario.
Marco Polo e il ritorno a Venezia
Marco Polo fu rilasciato dalla prigionia nel marzo del 1299 e fece ritorno nella casa di famiglia a Venezia. In seguito lui e lo zio Matteo acquistarono un grande palazzo nella contrada San Giovanni Crisostomo, che divenne noto come “Corte dei Milioni”. Il milione che dà il titolo al celebre libro di viaggi sembra essere infatti un soprannome affibbiato allo stesso Marco, dopo il suo ritorno dalla Cina, in seguito all’oro, al denaro e alle gemme preziose che aveva portato con sé dall’Oriente. La famiglia Polo non viaggiò più, ma continuò a finanziare spedizioni nel regno del Khan.
Marco Polo morì nel suo grande palazzo veneziano l’8 gennaio 1324, all’età di settat’anni, dopo una lunga malattia; si racconta che da tempo fosse malato e incapace di muoversi dal letto.
Il testamento di Marco Polo
Ora Venezia, 700 anni dopo, torna a celebrare il suo più impavido e illustre esploratore. Per l’occasione è stato persino esposto il suo testamento, ora conservato presso la Biblioteca nazionale Marciana in una teca climatizzata.
Riporta la data del 9 gennaio 1324, fu redatto dal prete-notaio Giovanni Giustinian.
Si tratta di una pergamena in pelle di pecora, risalente al quattordicesimo secolo.
La cosa sorprendente è che Marco Polo lasciò la propria cospicua eredità alla moglie e alle tre figlie - in un’epoca in cui raramente le donne erano beneficiarie di denaro. A ereditare gran parte dei beni fu la figlia Fantina, che si ritrovò persino a difendersi testimoniando in un processo, perché l’eredità paterna non le fosse strappata dalla famiglia del marito.
In un ultimo appunto Polo chiedeva la liberazione di uno schiavo, Pietro, il suo fedele servitore di origine tartara.
In definitiva il testamento di Marco Polo ci dice molto sull’uomo, oltre che sullo straordinario personaggio letterario che Il Milione ci ha tramandato. In fondo i migliori monumenti alla sua futura memoria li ha redatti lui stesso e sono “monumenti di carta”, non di marmo o pietre preziose, forse proprio per questo più duraturi.
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: “Il Milione”: il racconto dei viaggi di Marco Polo
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