Di Alexandre Cabanel - Musée Fabre, Pubblico dominio, Collegamento
Il mito di Fedra, la matrigna innamorata del figliastro Ippolito, si protrae fino ai giorni nostri con il fascino oscuro delle cose proibite. La sua prima rappresentazione tragica, realizzata da Euripide, dal titolo L’Ippolito velato, suscitò uno scandalo e apparve intollerabile persino al pubblico ateniese: Fedra rivela in prima persona la passione per il figliastro. L’indignazione suscitata da quella dichiarazione costrinse Euripide a scrivere una seconda stesura della tragedia, L’Ippolito coronato, che infatti è giunta sino a noi. Questa tragedia è indubbiamente potente perché, con l’attenzione alla visione femminile che contraddistingue tutte le opere euripidee, il tragediografo esprime l’atroce tormento della donna innamorata, calando gli spettatori nei meandri irrisolti della sua interiorità, mettendo così in luce il suo dissidio.
Nella seconda versione della tragedia, Fedra non si dichiarerà mai ad Ippolito. Naturalmente non si tratta di una storia a lieto fine. La vicenda della matrigna innamorata ci è stata tramandata da opere divenute capolavori letterari, grazie alle plurime versioni della tragedia scritte da Euripide, Seneca e Racine, adattamenti letterari e artistici.
L’origine del mito di Fedra
Quello di Fedra era un mito noto agli antichi, tramandato da una lunga trafila di leggende; ma la prima attestazione di Fedra, nel canone letterario occidentale, la troviamo nell’Odissea quando Ulisse la incontra insieme ad altre eroine mitologiche nel corso della sua discesa nell’Ade. L’eroe omerico la nomina semplicemente, individuandola accanto alla sorella che acquisisce un’importanza più incisiva: “la bella Arianna”. Di Fedra, l’altra figlia del re Minosse, Omero decide di riportare soltanto il nome, come se non fosse necessario aggiungere altro; era un personaggio talmente conosciuto, probabilmente, che bastava il nome a indentificarla. I versi successivi sono infatti dedicati ad Arianna, è lei a essere designata come la “figlia del tremendo Minosse”, che Teseo portò via da Creta.
Eppure le due donne, sorelle, già nell’epica classica erano unite, invincibilmente, da un comune destino: a entrambe spettava una tragica storia di amore e morte.
L’autore dell’Odissea non poteva sapere che, a millenni di distanza, sarebbe stato il solo a nominare Fedra, come ombra sbiadita al fianco della “bella Arianna”; il resto della storia dell’antica eroina sarebbe stato tramandato attraverso le pagine di una tragedia rappresentata per la prima volta ad Atene attorno al 428 a.C.
Arianna e Fedra, dunque, entrambe appartenenti alla stirpe del dio Sole, maledetta da Afrodite, furono vittime di amori infamanti: la loro madre, del resto, era Pasifae, la stessa donna che generò, a causa di un amplesso adulterino, il Minotauro.
L’amore colpevole di Fedra ci è stato tramandato anche da Euripide nella celebre tragedia Ippolito in cui narra il dramma del figlio di Teseo.
Il mito di Fedra narrato da Euripide
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Il destino di Arianna, abbandonata dall’amato Teseo sull’isola greca di Nasso, lo conosciamo bene; forse meno noto è quello della seconda figlia di Minosse, Fedra, che comunque rimane inestricabilmente legato alla sorte della sventurata sorella.
Anche Fedra conobbe il coraggioso Teseo, colui che giunse alla corte del re Minosse per essere sacrificato al Minotauro e poi lo sconfisse. Leggenda narra che anche la seconda sorella rimase affascinata dal giovane audace - ignara del fatto che costui avrebbe avuto un impatto fondamentale persino sulla sua vita. Tutti conosciamo l’amore tra Arianna e Teseo, spesso ignorando che in realtà la seconda figlia del re Minosse, Fedra, ne sarebbe diventata la sposa.
Il mito narra infatti che il matrimonio tra Fedra e Teseo sarà stipulato anni dopo, in seguito a un accordo politico voluto dal re di Creta, Deucalione. Nel frattempo però Teseo, reduce da un viaggio in Oriente, aveva avuto un figlio da un’Amazzone. Il nome del figlio era Ippolito. Il giovane sarebbe cresciuto libero e selvaggio tra le foreste sacre alla dea Artemide, il suo destino si sarebbe congiunto a quello del padre Teseo soltanto anni più tardi in una terribile trama di “fama e di sventura”. Accanto a Teseo c’era ora Fedra, che si sarebbe consumata in una passione ardente e sanguinosa per quel bel figlio adottivo venuto da molto lontano.
La tragedia di Ippolito
Il primo tragediografo a narrare la vicenda di Fedra fu Sofocle; ma la sua opera è andata perduta, ci giunge invece intatta la tragedia Euripide dedicata a un altro protagonista di questa triste storia, Ippolito, il figlio di Teseo. Ma in verità la vera protagonista del bellissimo dramma di Euripide, L’ippolito coronato, è Fedra: il tragediografo ci narra la tormentata interiorità della donna, schiava di una passione che non riesce a soffocare e tuttavia non può nemmeno accogliere impunemente.
Quella di Fedra può essere letta come la tragedia dei non detti: la donna infatti, dilaniata da un sentimento inconfessabile, confida il suo segreto alla balia, rivelandole dopo molti indugi il nome dell’uomo di cui è innamorata.
Da quando amore mi ferì, io cercai
come sopportarlo nel modo più nobile,
[…] tacere e nascondere questo morbo.
La nutrice, credendo di fare cosa buona e giusta, racconta il segreto di Fedra al diretto interessato, ovvero Ippolito. Il figliastro non reagisce affatto bene, anzi è inorridito dalla notizia, e minaccia di raccontare tutto al padre. Ma, prima che l’azione si compia, Fedra si uccide, impiccandosi. Accanto al suo corpo il marito Teseo ritrova una tavoletta in cui la donna rivela la verità sulla sua passione segreta.
Nella seconda versione della tragedia di Euripide, dunque, Fedra non confida la sua passione a Ippolito; anziché confessarsi all’uomo che ama, preferisce morire e infamare il suo nome.
Le conseguenze saranno, naturalmente, catastrofiche: Teseo, scoperta la ragione che ha indotto la moglie a togliersi la vita, affronta il figlio in un dialogo serrato e, infine, lo condanna all’esilio, lontano da Atene. Ippolito prova a difendersi, dicendo che la passione non è stata consumata; ma il padre non vuole sentir ragioni e lo caccia.
Il giovane dunque parte, si allontana dalla città ma, mentre viaggia a bordo di un carro, si scaglia su di lui la maledizione orchestrata da Poseidone contro Teseo. Un toro enorme esce dalle acque e si scaglia contro il ragazzo. Riportato ad Atene grazie all’intervento della dea Artemide, sua protettrice, Ippolito morirà poco dopo dinnanzi agli occhi sgomenti del padre Teseo. Il re, scoperta la verità grazie ad Artemide, implora il perdono del figlio e lo ottiene, poco prima che lui esali l’ultimo respiro.
Fedra nella tragedia di Seneca
Il personaggio di Fedra sarebbe stato poi ripreso dall’autore latino Seneca, che lo avrebbe reso protagonista di una tragedia più umana in cui l’influenza delle divinità riveste un ruolo minore. Nella Fedra di Seneca la donna ha il coraggio di rivelare al figliastro il suo amore; ma gli esiti saranno comunque nefasti. Appresa la notizia Ippolito, inorridito, fugge nei boschi dopo aver cercato di colpire la donna con la spada. La nutrice di Fedra, per proteggerla, utilizzerà la spada per mentire a Teseo, affermando che il giovane ha tentato di abusare di sua moglie. Appresa la notizia il re scaglia una maledizione sul figlio che infatti morirà in maniera orribile nei boschi, smembrato dagli animali feroci.
Appresa la notizia della morte di Ippolito, dopo che il suo cadavere smembrato è giunto alla reggia, la stessa Fedra si darà la morte non prima di aver proclamato a gran voce la sua folle passione.
Nella tragedia di Seneca, a differenza di quella di Euripide, non c’è redenzione né perdono, solo un mondo devastato dalle passioni umane. Sarà la stessa Fedra a rivelare al marito la propria colpa prima di togliersi la vita, lasciando Teseo smarrito, come colpito da una duplice vendetta.
La Phédre di Racine
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Infine abbiamo la Phédre di Racine, una tragedia in cinque atti composta nel 1677 dal tragediografo francese e rappresentata per la prima volta presso l’Hotel de Bourgogne.
In questa versione, più moderna rispetto alle precedenti, Fedra non viene mostrata né come colpevole né come innocente e avrà il volto di Marie Champmeslé, una delle maggiori attrici teatrali dell’epoca.
Il testo di Racine ripercorre, quasi alla lettera, la trama dell’Ippolito di Euripide, ma con delle variazioni: innanzitutto viene messo in luce il lato umano di Ippolito, che nelle opere precedenti appariva misogino e insensibile all’amore per le donne, invece, nella tragedia di Racine, il giovane è innamorato di un’altra ragazza, Aricia, e per questo motivo rifiuta Fedra.
La protagonista del dramma viene arricchita di una sensibilità e una psicologia femminile che nelle precedenti tragedie era assente: per la prima volta Fedra è un personaggio tridimensionale. Quando dialoga con sé stessa, ed esprime il proprio tormento, sembra guardarsi riflessa in uno specchio, fronteggiare sé stessa. Per corrompere il figliastro, dopo che è rimasto pressoché insensibile alla sua dichiarazione, la regina manda la nutrice Enone dicendole di proporre in dono a Ippolito il pieno potere su Atene in cambio del suo amore. Fedra spera, nonostante tutto, è convinta di poter ottenere l’amore di quel figliastro digiuno di passioni. Ma la nutrice torna indietro allarmata dicendole che Teseo sta tornando ad Atene; a quel punto la regina teme che Ippolito riveli il suo segreto al padre e, nuovamente, si affida alla nutrice. Sarà Enone, ancora una volta, a raccontare a Teseo della falsa violenza di Ippolito. Il resto è storia nota; ma Racine la esprime soprattutto attraverso i dialoghi che rivelano la psicologia dei personaggi.
A Teseo, infine, apparirà Fedra che ha appena inghiottito del veleno per non dover sopportare la pena della morte di Ippolito, tra l’altro innamorato di un’altra donna. Fedra confessa il suo delitto mentre già sta morendo, Fedra parla da già morta e muore nella colpa.
Fedra nell’arte: il quadro di Alexandre Cabanel
Il mito di Fedra appare immortalato in un bel quadro dipinto dal pittore francese Alexandre Cabanel che gioca con chiaroscuri caravaggeschi mostrandoci Fedra distesa su un letto adornato da motivi orientali. Nel dipinto di Cabanel, realizzato nel 1880, troviamo una rinnovata attenzione alla psicologia di Fedra: il personaggio di Ippolito non appare e nella scena non c’è neanche Teseo. La donna è sola, in compagnia delle ancelle. Fedra fissa nel vuoto, sembra essere preda di uno smarrimento, di pensieri cupi e le sue ancelle patiscono lo stesso sconforto come se un’angoscia insidiosa si spandesse nell’aria come un veleno mefitico.
Fedra, nel quadro di Cabanel, appare malata della sua stessa passione, come se il suo amore proibito per Ippolito la prostrasse alla stregua di una febbre.
Nell’Ottocento Phèdre fu definito un quadro inadatto per un personaggio classico, un dipinto svilente che non rendeva giustizia a un’eroina tragica; invece a noi, oggi, appare straordinariamente moderno e scandalosamente riuscito.
Non è difficile immaginare Fedra distesa sul letto preda di tremori e angosce, vittima del suo amore indicibile, schiava di una passione che la logora da dentro: questa Fedra con le occhiaie e il viso spettrale, i capelli scarmigliati, gli occhi spenti appare come la maschera più riuscita del tormento amoroso, del lacerante dissidio tra passione ed etica, tra timore di dire e necessità di esprimere l’inconfessabile. La penombra che la inghiotte fa il resto, suggerendo già - solo attraverso l’uso strategico dei colori - l’epilogo funesto di questa storia.
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: Il mito di Fedra, la matrigna innamorata: da Euripide a Racine
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