A sinistra, lo scrittore Jeremias Gotthelf, nel dipinto di Johann Friedrich Dietler; a destra la copertina del libro edito da Adelphi
A 170 anni dalla morte del suo autore, riscopriamo Il ragno nero, una delle favole nere più potenti della letteratura di ogni tempo, creata nel 1841 dalla penna di uno dei vertici della narrativa elvetica di lingua tedesca, Albert Bitzius (Morat, 4 ottobre 1797 – Lützelflüh, 22 ottobre 1854), passato alla storia letteraria con uno pseudonimo tratto dal nome del protagonista del suo primo romanzo, Jeremias Gotthelf.
A parte quello che si considera il suo capolavoro, il romanzo Uli il servo, la sua opera più nota e, secondo molti, più bella è proprio Il ragno nero, un lungo racconto riproposto da Adelphi nel 1996 riprendendo la traduzione di Massimo Mila - geniale nel cogliere lo spirito del tempo e dell’autore – pubblicata nove anni prima da Studio Tesi.
Il ragno nero di Jeremias Gotthelf: la trama
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La trama è semplice. In un’epoca imprecisata ma individuabile nel Medio Evo, un crudele signore impone agli inermi contadini di una vallata svizzera sottoposti al suo dominio di trapiantare entro un mese cento alberi di faggio vicino al suo castello. Se l’ordine non sarà eseguito, pagheranno con i beni e con la vita. I contadini precipitano nel più nero sconforto perché l’impresa è impossibile e, anche a volerla tentare, li costringerà a trascurare il lavoro della terra mettendo a rischio il raccolto che assicura la loro sopravvivenza. Solo Cristina sembra non volersi arrendere alla disperazione ed è a lei, dunque, che appare un uomo con la barbetta color del fuoco che promette di compiere l’impresa in cambio di un bambino non battezzato.
Cristina accetta il patto diabolico nella convinzione che si potrà raggirare il diavolo dopo averne ottenuto il soccorso. Ma il diavolo, compiuta la missione di trapiantare i cento faggi, non appena si accorge che si cerca di negargli il prezzo richiesto per la sua opera, scatena la sua vendetta attraverso un orribile ragno nero che diventa l’onnipresente tormento dei contadini e della corte del signore.
Ecco la rappresentazione che ne dà Gotthelf in una memorabile pagina da fiaba antica che val la pena trascrivere integralmente:
Così il ragno era di qua e di là, in tutti i posti e in nessun luogo, ora giù nella valle, ora su per le montagne; sibilava nell’erba, cadeva giù dai tetti, spuntava fuori dal suolo. In pieno mezzogiorno, quando la gente sedeva intorno alla polenta, sbucava da sotto la tavola con quei suoi occhiacci spalancati, e prima che i disgraziati avessero potuto dileguarsi era già strisciato sulle mani a tutti, si insediava a tavola sulla testa del padron di casa e girava intorno quegli occhi ingordi, sulle mani che già cominciavano ad annerire. Di notte cadeva sulla faccia alla gente, si faceva loro incontro nel bosco, li cercava nella stalla. Era impossibile evitarlo, era in tutti i posti e in nessun luogo; svegli non potevano guardarsene, dormendo erano alla sua mercé. Quando s’illudevano d’essere più al sicuro, librati a mezz’aria sulla cima d’un albero, ecco il fuoco lambir loro la schiena: sentivano sul collo i piedi ardenti del ragno che dalla loro spalla guardava fisso negli occhi. Non risparmiava né il bambino in culla né il vecchio sul letto di morte; era una morte quale mai s’era sentita descrivere, e il morire era la cosa più spaventosa che mai si fosse provata; e più terribile ancora della morte era l’indicibile paura del ragno, di quel ragno ch’era dappertutto e in nessun luogo, che improvvisamente ti fissava negli occhi versandoti la morte quando più t’illudevi d’essere al sicuro.
Al lettore che non conosce questo racconto non faremo il torto di rivelare come si conclude la battaglia contro il ragno nero condotta in due epoche diverse.
Il realismo ingenuo di Jeremias Gotthelf
Gotthelf, predicatore e pastore protestante, fa sentire in questo libro la sua fede di uomo devoto insistendo sul valore della vita retta vissuta nel timor di Dio. Il cosiddetto realismo ingenuo di Gotthelf, indicato come un’imperfezione da enciclopedie e dizionari letterari, è la semplicità di uno sguardo sul mondo fondato su convinzioni profonde e ancora lontano dai venti devastanti del nichilismo e da ciò che Nietzsche chiamerà trasvalutazione di tutti i valori. Sarebbe però un peccato se il lettore, pensando erroneamente a un tedioso moralista in veste di narratore, non si accostasse a quest’opera in cui dominano la visività e il dinamismo, cioè la capacità di dare contorni visibili agli eventi in virtù dell’esaltazione dei particolari e l’effetto di velocità che viene impresso al corso degli eventi dalla mancanza totale di tempi morti o di pause meramente decorative.
Il ragno nero è una storia calata in un tempo e in modello di vita che non ci appartengono più e che tuttavia ci attira irresistibilmente come se ci chiamasse a farne parte grazie alla forza dei fatti e al pathos della prosa. Non a caso ne fu stregato un lettore come Elias Canetti, che lesse e rilesse per una vita questo racconto nel quale gli sembrò di scorgere, come ha scritto Mattia Mantovani, una discesa senza redenzione verso il nulla.
Recensione del libro
Il ragno nero
di Jeremias Gotthelf
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: Perché rileggere “Il ragno nero”, capolavoro di Jeremias Gotthelf, a 170 anni dalla morte
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