Nella Giornata mondiale della poesia vi proponiamo un testo di Alda Merini, colei che nasceva il 21 marzo a primavera, curiosamente proprio nello stesso giorno di questa ricorrenza istituita dall’Unesco nel 1999 per promuovere il valore della poesia nel dialogo tra culture.
Qual è il ruolo della poesia? Cosa significa essere poeti? Nel tentativo di rispondere a queste domande, oggi di singolare attualità, vi proponiamo l’analisi di una poesia emblematica in cui la Poetessa dei Navigli trasfonde tutta la vitalità della propria voce poetica.
Ne Il volume del canto Merini si definisce una “seminatrice di parole” e ci dice qual è per lei il significato della poesia. La lirica è posta in apertura alla raccolta Vuoto d’amore (Einaudi, 1991) e dà il titolo alla prima sezione. Il volume era dedicato al ricordo di Giorgio Manganelli, di cui l’autrice si definiva senza indugi “il demone ispiratore”.
In questi versi Alda Merini valorizza l’espressività della sua voce poetica e ci mostra la poesia come strumento privilegiato per comprendere la complessità del reale.
Scopriamone testo e analisi.
“Il volume del canto” di Alda Merini: testo
Il volume del canto mi innamora:
come vorrei io invadere la terra
con i miei carmi e che tremasse tutta
sotto la poesia della canzone.
Io semino parole, sono accorta
seminatrice delle magre zolle
e pur qualcuno si alza ad ascoltarmi,
uno che il canto l’ha nel cuore chiuso
e che per tratti a me svolge la spola
della sua gaudente fantasia.
“Il volume del canto” di Alda Merini: analisi e commento
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Curiosamente in questa poesia ritorna la metafora di Proserpina, utilizzata da Merini anche in Sono nata il 21 a primavera: la dea agreste rapita da Ade e portata nel mondo degli Inferi serviva agli antichi per spiegare l’alternarsi delle stagioni e il ritorno della primavera, nelle liriche di Alda Merini diventa metafora di una dimensione trascendente, il pianto di Proserpina è la poesia che cerca di spiegare l’insensatezza dell’esistenza. Anche la poetessa, proprio come la divinità agreste, si definisce una “seminatrice”, ritorna dunque il campo semantico relativo al mondo contadino, la semina e il raccolto.
Io semino parole, sono accorta
seminatrice delle magre zolle
Merini torna dunque nel ruolo di Proserpina e immagina di invadere la terra - come la primavera - con la potenza del proprio canto poetico. Immagina che l’universo tremi scosso dalla potenza della poesia. Tuttavia l’autrice si accorge che le parole da lei seminate non attecchiscono su un suolo sterile - le “magre zolle”- dunque il mondo fatica ad accogliere la poesia. Sono poche, sottolinea Merini, le anime sensibili capaci di accogliere e comprendere il suo canto. Sono coloro che hanno la sua stessa “poesia” chiusa nel cuore. Tuttavia sono questi pochi e acuti ascoltatori a stimolare l’immaginazione della poetessa, a invitarla a continuare a intessere il proprio canto di vita.
La lirica presenta una sovrabbondanza di immagini vivide e di rara potenza metaforica: dall’iperbole della terra che trema scossa dal canto, sino alla visione della “spola della fantasia” che si dipana nelle menti di coloro che sanno intendere il canto poetico.
In questi versi Merini ci consegna una profonda riflessione sul valore della poesia, sempre attuale. Sono sempre “pochi” coloro che ascoltano e davvero comprendono il linguaggio poetico. Alda Merini osserva e riconosce l’inattualità della poesia nella frenesia della civiltà contemporanea. Le zolle che accolgono il seme della parola sono definite, non a caso, “magre”.
La società capitalistica sembra non badare al valore profondo delle cose, pare concentrata solo sulla superficie e l’apparenza, sul guadagno immediato e la soddisfazione materiale. Il riferimento alla cosiddetta società di massa, del resto, appare già chiaramente nel titolo della poesia: Il volume del canto, che contiene un’allusione al mondo delle radio e delle televisioni, i mass media che negli anni Novanta si ritenevano i principali nemici della parola scritta, mentre oggi questa veste di antagonista è stata assunta dai social network.
Alda Merini compone un contemporaneo inno alla poesia, riprendendo alcune concezione già discusse dai poeti della seconda metà del Novecento, pensiamo ad esempio alle dichiarazioni di Pasolini che nel poemetto Al Principe segnalava la decadenza del ruolo sociale della scrittura. Analogamente a Pier Paolo Pasolini anche in Merini avvertiamo il rifiuto per un presente sempre più alienato, pervaso da una frenesia consumistica; ma nella poetessa permane la speranza di poter continuare a rivolgersi a “qualcuno che si alza ad ascoltarmi”. La conclusione di Merini è ottimistica, intimamente speranzosa.
C’è una profonda e bella dichiarazione di intenti in questi versi: in un mondo che si rivolge sempre più alla pluralità, alla massa - ai grandi numeri e alla loro eco - ecco che la poesia continua a parlare al “singolo”, all’individuo, al cuore sensibile e accorto, insegnandoci che dopotutto i numeri non contano.
A una conclusione molto simile perviene la poetessa polacca premio Nobel, Wislawa Szymborska, in diverse poesie come Disattenzione o Sotto una piccola stella, soprattutto in Grande numero quando afferma:
Quattro miliardi di uomini su questa terra, ma la mia immaginazione è uguale a prima.
Se la cava male con i grandi numeri. Continua a commuoverla la singolarità.
È questa la ragione per cui la poesia non muore e continua a essere necessaria, di questi tempi più che mai, perché continua a focalizzarsi sull’uno e non sul centomila.
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: “Il volume del canto” di Alda Merini per la Giornata mondiale della poesia
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