Si scopron le tombe, si levano i morti. I martiri nostri son tutti risorti... Conoscete questo inno? Risalente al 1858, l’Inno di Garibaldi, scritto da Luigi Mercantini e musicato da Alessio Olivieri, fu titolato dal suo autore Canzone italiana, ma per molto tempo fu noto anche come Inno di battaglia dei Cacciatori delle Alpi.
L’Inno di Garibaldi è, insieme all’Inno di Mameli (Canto degli Italiani) e a La leggenda del Piave, uno dei più celebri canti patriottici del nostro Paese. Garibaldi voleva che fosse scritto un inno di battaglia per il corpo di volontari neoformato Cacciatori delle Alpi e la sua composizione venne affidata al poeta Luigi Mercantini, autore dell’altrettanto famosa ode La spigolatrice di Sapri, rievocazione della tragica spedizione mazziniana di Carlo Pisacane.
Caratterizzato da versi di grande profondità e da un contenuto ricco di significato, oltre che stilisticamente piuttosto elaborato, l’inno divenne molto popolare e la sua fortuna è stata tale da essere tradotto in varie lingue.
I suoi versi accompagnarono la gloriosa Spedizione dei Mille e l’unificazione d’Italia, rappresentando una delle pagine artistiche più riuscite riguardo la celebrazione dei valori che furono alla base delle lotte e delle conquiste risorgimentali.
Vediamone il testo, l’analisi, il significato e le informazioni biografiche essenziali del suo autore Luigi Mercantini.
Inno di Garibaldi: testo
Si scopron le tombe, si levano i morti;
I martiri nostri son tutti risorti:
Le spade nel pugno, gli allori alle chiome,
La fiamma ed il nome — d’Italia sul cor.
Veniamo! Veniamo! Su, o giovani schiere,
Su al vento per tutto le nostre bandiere,
Su tutti col ferro, su tutti col fuoco,
Su tutti col fuoco — d’Italia nel cor.
Va fuora d’Italia, va fuora ch’è l’ora,
Va fuora d’Italia, va fuora, o stranier!La terra dei fiori, dei suoni e dei carmi,
Ritorni, qual era, la terra dell’armi;
Di cento catene ci avvinser la mano,
Ma ancor di Legnano — sa i ferri brandir.
Bastone Tedesco l’Italia non doma,
Non crescon al giogo le stirpi di Roma;
Più Italia non vuole stranieri e tiranni:
Già troppi son gli anni — che dura il servir.
Va fuora d’Italia, va fuora ch’è l’ora,
Va fuora d’Italia, va fuora, o stranier!Le case d’Italia son fatte per noi,
È là sul Danubio la casa de’ tuoi;
Tu i campi ci guasti; tu il pane c’involi;
I nostri figliuoli — per noi li vogliam.
Son l’Alpi e i due mari d’Italia i confini;
Col carro di fuoco rompiam gli Apennini,Distrutto ogni segno di vecchia frontiera,
La nostra bandiera — per tutto innalziam.
Va fuora d’Italia, va fuora ch’è l’ora,
Va fuora d’Italia, va fuora, o stranier!Sien mute le lingue, sien pronte le braccia;
Soltanto al nemico volgiamo la faccia,
E tosto oltre i monti n’andrà lo straniero
Se tutta un pensiero — l’Italia sarà.
Non basta il trionfo di barbare spoglie;
Si chiudan ai ladri d’Italia le soglie;
Le genti d’Italia son tutte una sola,
Son tutte una sola — le cento città.
Va fuora d’Italia, va fuora ch’è l’ora,
Va fuora d’Italia, va fuora, o stranier!
Mercantini aggiunse dopo il 1860 due nuove strofe alla fine dell’inno:
Se ancora dell’Alpi tentasser gli spaldi,
il grido d’allarmi darà Garibaldi,
e s’arma allo squillo che vien da Caprera
dei Mille la schiera che l’Etna assaltò.E dietro alla rossa avanguardia dei bravi
si muovon d’Italia le tende e le navi:
già ratto sull’orma del fido guerriero,
l’ardito destriero Vittorio spronò.Va fuora d’Italia, …
Per sempre è caduto degli empi l’orgoglio
a dir: Viva Italia, va il Re in Campidoglio!
La Senna e il Tamigi saluta ed onora
l’antica signora che torna a regnar.Contenta del regno, fra l’isole e i monti,
soltanto ai tiranni minaccia le fronti:
dovunque le genti percuota un tiranno,
suoi figli usciranno per terra e per mar!Va fuora d’Italia, …
Storia dell’Inno di battaglia dei Cacciatori delle Alpi
Il 19 Dicembre del 1858 si tenne, nelle vicinanze di Genova, una riunione alla quale parteciparono Giuseppe Garibaldi e sua moglie, il generale Nino Bixio e il poeta Luigi Mercantini.
Gli amici e patrioti si erano ritrovati per discutere la formazione di quel corpo di volontari che sarebbe in seguito stato chiamato Cacciatori delle Alpi.
Fu così che Garibaldi chiese a Mercantini la composizione di un apposito inno, un’opera che fosse in grado di dare la carica e spingere alla battaglia e al coraggio il gruppo di giovani.
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Il testo originale dell’inno intitolato Canzone italiana da Mercantini fu rivisto e corretto da Agostino Bertani, mentre la musica fu scritta da Alessio Olivieri, capo musica del secondo reggimento della Brigata Savoia.
Dalla liberazione di Napoli in poi, l’inno viene ricordato come Inno di Garibaldi.
La storia dell’Inno è raccontata nel dettaglio anche da Antonella Fischetti, studiosa di storia contemporanea, nel libro Garibaldi. Vita, pensiero, interpretazioni. Dizionario critico a cura di Lauro Rossi (Gangemi editore, 2008) alla voce Inno (pag.167-170).
Potete leggere della stessa autrice un approfondimento sull’inno qui.
Ascolta l’Inno di Garibaldi
Inno di Garibaldi: lo stile
Lo stile dell’Inno di Garibaldi è quello tipico di Mercantini, ovvero eroico-popolareggiante, molto in voga in quell’epoca.
La sintassi e il ritmo delle immagini si inquadrano pienamente nella tradizione letteraria italiana che va da Ugo Foscolo ad A. Aleardi.
Chi era Luigi Mercantini
Il poeta e patriota Luigi Mercantini nacque a Ripatransone, nelle Marche, nel 1821 e morì a Palermo nel 1872.
Anche se oggi è considerato un autore minore, le sue poesie accompagnarono gli eventi salienti del nostro Risorgimento e hanno trovato largo consenso di pubblico diventando molto popolari.
Artista, politico, esule e professore di Lettere, Mercantini è una figura eclettica e completa.
I suoi componimenti più famosi sono La spigolatrice di Sapri, incentrata sulla drammatica spedizione di Carlo Pisacane, e Canzone italiana, meglio conosciuta come Inno di Garibaldi.
Meritano di essere almeno menzionate Patriota, all’Alpi andiamo! e il poemetto Tito Speri.
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: Inno di Garibaldi: testo, analisi e significato
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Penso che al sud, specie nel vecchio REGNO DELLE DUE SICILIE non è che Garibaldi sia molto benvoluto, ne lui e nemmeno coloro che sono venuti a derubarci tutti gli averi e tutte le fabbriche che c’erano allora al sud, per non parlare della cultura ... la più avanzata ed evoluta del mondo di allora. scusatemi ma la penso così, sul fatto che la storia è stata scritta dai vincitori quindi come più conveniva a loro è tutto un altro discorso.