Molti conoscono la storia politica della pasionaria radicale Adele Faccio (1920-2007), che in gioventù era stata una staffetta partigiana nella lotta al nazifascismo e negli anni dal 1948 al 1952 resistente “non-violenta” a Barcellona nella Spagna franchista.
Nel 1953 ritorna in Italia e lavora come insegnante e a Milano partecipa alla redazione delle riviste underground il “Discanto”, il “Canguro”, la “Via femminile”.
Fondatrice e Presidente del Cisa (Centro Informazione Sterilizzazione e Aborto), a metà degli anni ’70 presiede il Movimento di Liberazione delle Donne e guida la battaglia contro l’aborto clandestino.
Nel gennaio 1975 parlando a una manifestazione dei radicali al Teatro Adriano di Roma raccontò di aver abortito quando in Italia l’aborto era un reato e fu arrestata. Negli anni 1976-1992 fu deputata.
Adele Faccio, scrittrice e poetessa
Pochi conoscono invece la storia letteraria di Adele Faccio. Nipote della scrittrice Sibilla Aleramo (pseudonimo di Marta Felicina Faccio), Adele Faccio dal 1944 al 1948 aveva ricoperto il ruolo di assistente presso la cattedra di filologia romanza, aveva insegnato lingua spagnola all’Istituto Superiore di Magistero della città di Genova e pubblicato negli anni Sessanta e Settanta presso l’editore Guanda traduzioni di poesia francese e spagnola di Josè Augustin e di Salvador Espriu e presso Feltrinelli i romanzi di Luìs Gonzàles Leon (Armi per la città) e di Luìs Garmendia (I piedi di fango).
Le sue poesie, oltre che sulle riviste “Il Canguro” e “L’Incanto”, Adele le aveva pubblicate con le edizioni De Besi L’albero della libertà (Bologna, 1975) e le edizioni Amanda Fuga dal tempo (Bologna 1981).
In prosa aveva pubblicato Le mie ragioni (Feltrinelli 1975); Il reato di massa (SugarCo 1975) e Una strega da bruciare (Lanfranchi 1981).
L’intervista a Adele Faccio
La mia libertà è quella delle rondini è il titolo di una mia intervista ad Adele Faccio che pubblicai nell’aprile del 1983 sulla rivista trimestrale di cultura sommersa “Malvagia”. Non parlammo di politica, ma di letteratura e di poesia.
- Con l’inchiostro si sono anneriti la lingua gli innamorati ed i poeti si sono avvelenati, con ingordigia. È stato scritto: «La parola poetica è innamorata - seduce; la parola è irriverente; la scrittura è oscena!». Adele, il troppo inchiostro mortifica la poesia?
Mai! La parola è sacra — ci distingue fra tutte le forme di vita del pianeta — perfino le “brutte” parole!
La poesia è un patrimonio che sta racchiuso nel profondo di tutti gli umani. Solo alcuni sono così fortunati da riuscire a farla affiorare e a essere consapevoli di questo stupendo patrimonio di sensibilità, di emotività e di riflessione critica e razionale variamente commiste ed emulsionate. Il miracolo consiste nell’equilibrio fra le componenti.
Guai a chi ha paura delle parole e dell’espressione, anche di quella che può sembrare non felice. Ogni umano ha il suo codice di comunicazione: quello che non corrisponde al mio non per questo è meno ricco di possibilità di incontri e di fecondità. Dunque non posso dire che non abbia valore. L’unica cosa che posso dire è: “a me non piace”. Nient’altro.
- È stato scritto: “Non c’è scampo per chi fa della poesia la pagina delle incazzature! Liberate la poesia dalla Storia!” La poesia di Adele Faccio è una scrittura del particolare, del contingente?
Citerò solo due mie poesie per dire che la Storia può essere motivo di poesia e che il contingente può raggiungere l’universalità. Un mitra, una coperta cinque castagne a testa e libertà compagni, si resiste. (Naturalmente la data è l’inverno 1944-45. Ma solo per la cronaca). E l’altra è questa: La mia libertà è quella delle rondini: di posarsi sui fili che folgorano l’uomo. (La data è il 1975. Anche qui solo per cronaca).
Chi scrive sulla poesia, difficilmente scrive poesia, se no, non perderebbe tempo a dissertare, farebbe. POIESIS è nome greco che deriva dal verbo POIEO che significa “FARE”.
- Gli anni Settanta hanno visto nascere la Società di Poesia, il Movimento di Poesia, i seminari al Club Turati, i festival, le antologie: i poeti si sono dichiarati, reclamando legittimità. Si sono istituzionalizzati. Non hanno così forse offeso e perduto l’intima natura del Poeta: il suo deviante?
Non solo gli anni ’70. Voi siete evidentemente molto giovani.
Noi nell’immediato dopoguerra avevamo creato “cenacoli” e “movimenti” di poesia, negli anni cinquanta e sessanta giornali e riviste ed edizioni, quaderni di poesia e plaquettes; ma voi non sapete più fare ricerche: le biblioteche ne sono piene.
Nel 1955 c’era in Italia un sindacato di poeti con circa 40 mila iscritti. Ve ne siete mai accorti? Non dico certo che il sindacato fosse garanzia di qualità. Però certo era un segnale che la critica letteraria non è mai stata capace di valutare.
Antropologicamente questo dato statistico dimostra che l’estro poetico è un fatto universale, soprattutto tenendo conto che almeno altrettanti poeti non sapevano e/o non volevano appartenere al sindacato. Che poi fra estro e volontà, cioè fra aspirazione alla poesia e realizzazione poetica, ce ne corra, questo è vero.
Ma dal punto di vista storico e antropologico io sono convinta che nessuno possa dire “poesia e non poesia”, se non per insensibilità e presunzione.
Come appunto quel tal Benedetto Croce che si permise di intitolar così un suo “librettucciaccio” (come diceva il Carducci) la cui insensibilità e testardaggine nel non capire niente è notoria. L’unico metro di giudizio valido in poesia è: comunica — non comunica; stimola — non stimola; mi piace — non mi piace.
Il resto è presunzione di critici troppo spesso superciliosi perché impotenti.
- Adele Faccio, deputato radicale, è conosciuta dal grande pubblico per le stupende conquiste sociali. Adele Faccio, poetessa, è una piacevole sorpresa. Vuoi narrarmi il tuo vissuto poetico?
Scrivo poesie da quando ho imparato a scrivere materialmente. E sono convinta che ho perduto il meglio delle intuizioni liriche che mi si sono accese dentro. Non sono mai stata esibizionista; ma sono sempre stata molto convinta dell’autenticità di quello che scrivevo.
Ovidio diceva: “Quello che tentavo di dire era verso” e spesso mi è accaduto di scoprire a posteriori che certa mia prosa era “numerosa”, cioè ritmata, spesso per endecasillabi.
Il mio vivere nell’ambiente naturale e sentire profondamente il fascino della natura anche vivendo in città è spesso stato basilare per la scansione delle vicende della mia esistenza intagliate nello spazio e nel tempo, storico e meteorologico.
Ho vissuto la mia poesie come un mezzo di comunicazione diretta con l’umanità intorno a me. Quando ero studentessa i nostri poeti contemporanei erano gli Ermetici, costretti a un discorso “sotterraneo” perché politicamente impediti.
La poesia delle donne è quasi tutta “sotterranea” perché tale è la autentica cultura delle donne, da sempre politicamente impedite.
Ma come mi sono sentita profondamente antifascista in tempi di scuola fascista, così mi sono sempre sentita espressione di alterità dovunque mi sia trovata a vivere, a pensare, ad agire.
Così come oggi sono all’opposizione in Parlamento, sono sempre stata all’opposizione anche culturalmente, perché «altrove» secondo me sta la poesia.
In questo «altrove» mi sono cercata e trovata e dunque espressa. La sorpresa più lieta è la felicità di incontro che ho avuto con la gente. Mai con la critica. Sempre con la gente.
Questo è per me il profondo senso della mia esistenza, del mio parlare e del mio scrivere: il segno d’amore che dalla gente ho ricevuto e che mi ha fatta ricca e serena.
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: Intervista ad Adele Faccio: la poesia politica di una pasionaria radicale
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