Palermitano, trentatré anni, Dario Levantino, professore di lettere in un liceo di Monza, riconferma le sue capacità letterarie con Cuorebomba pubblicato, come il suo primo romanzo Di niente e di nessuno dalla casa editrice Fazi.
L’autore ci ha dedicato un po’ del suo tempo: è questa l’occasione per conoscerlo meglio.
- È in libreria il nuovo libro di un giovane scrittore palermitano, un autore di talento. Innanzitutto, chi è Dario Levantino?
In una sola parola? Un insegnante. Sulla mia tomba scrivessero pure questa epigrafe e mi risparmiassero inutili frasi retoriche.
In più parole? Sono tante maschere e quindi non sono niente. Anzi, sono le cose che amo fare: pedalare con la mia bici con i freni a bacchetta, ascoltare la pioggia dalla finestra, guardare le barche a vela degli altri che non posso permettermi, guidare col braccio fuori e la musica a tutto volume, scrivere storie, leggere storie e criticarle, perché io le avrei scritte diversamente. Alla laurea non m’hanno dato la lode, ma nemmeno il 110; sono stato bocciato in Letteratura.
- Quanto è importante per lei la letteratura?
La letteratura poco, le storie lo sono tanto. Quando la letteratura è pura celebrazione di retorica, quando la letteratura è pura tecnica (parlo dei vari D’Annunzio e di tutti i manieristi della storia), la detesto. La amo invece quando ci racconta delle belle storie, quando essa si dimentica della forma e lascia spazio a trame potenti. Perché trame potenti hanno la capacità di farci emozionare e quando ci emozioniamo, capiamo. Questa è la forza delle storie. A volte esse sono raccontate da un film, da una canzone, a volte da un romanzo.
- Chi è Rosario, il giovane protagonista del romanzo?
Ho ideato questo personaggio un po’ di anni fa, quando lavoravo all’estero e mi mancava casa. Così ho deciso di scrivere una storia il cui protagonista si chiamasse come mio papà, Rosario.
Rosario dico sempre che è il personaggio di un’epica che racconta la nostra epoca. E qual è la nostra epoca? È l’epoca del divario sempre più abissale fra le periferie degradate e i salotti borghesi. Così, a Brancaccio, quartieraccio povero di Palermo, si muove Rosario. Sedici anni, un padre in galera, una madre anoressica e la voglia di riscattarsi da una condizione umiliante. Sembra solo a combattere contro una vita feroce, ma solo non è: c’ha un cane, una coetanea di cui si innamora e l’amore di una madre fragile che lo protegge da tutto il male.
- Cosa ci dice in merito agli altri personaggi della storia?
Ci sono i cattivi, in questa storia. Il padre è uno di essi. Spaccia doping, ha tenuto nascosta una seconda famiglia, ora è in carcere per omicidio. A Rosario insegna solo il cinismo e la spietatezza. C’è anche la professoressa Vallone, una bigotta e classista insegnante di lettere che della letteratura non ha capito nulla. Ci sono i servizi sociali, collusi in un’orribile faccenda di corruzione con le case-famiglie.
Ma ci sono anche i buoni. Un cane randagio che lo segue fedelmente. Una ragazza emarginata ma saggia e infine Padre Giovanni, un cattolico sincero che senza alcuna liturgia insegna al ragazzo i valori del cristianesimo.
- Le vicende sono ambientate nel quartiere Brancaccio di Palermo. Quale valore assume questo luogo nella storia?
Assume il valore di posto dimenticato dal Signore e dalla politica. Brancaccio è un quartiere malfamato, degradato e pieno di droga, violenza e criminalità.
Però di fronte a questo postaccio c’è il mare, e questo accostamento di bruttezza e bellezza è molto suggestivo, perché il mare diventa simbolo di orizzonte, di speranza, di consolazione.
- In “Di niente e di nessuno” c’è un forte richiamo alla mitologia che si ripresenta anche in “Cuorebomba”. Qui, però, Rosario è assai coinvolto anche dai classici della letteratura quali Oliver Twist e definisce Pagliuca, Gesù e Giordano Bruno “i suoi modelli”. Tre personaggi così dissimili fra loro cosa rappresentano per il giovane protagonista?
Rosario li ama, questi tre personaggi, al punto da averli disegnati sul proprio banco. Gli piacciono perché sono tutti e tre grandi uomini che hanno avuto coraggio. Gesù perché diceva che bisognava aiutare i più poveri e perché non ha avuto paura di morire; Pagliuca perché di fronte agli avversari non aveva paura “di niente e di nessuno” (è la fine, mi sono autocitato!); e infine Giordano Bruno che ha preferito morire piuttosto che rinnegare se stesso.
Forse bisognerebbe chiedersi perché ama questi tre modelli di coraggio, ma questo si spiega facilmente: Rosario c’ha paura, vorrebbe avere anche solo un grammo del fegato di Gesù, Pagliuca e Giordano Bruno.
- Il tema della “pietas” su cui ruota molto del suo primo romanzo è presente anche in Cuorebomba. Quali valori si aggiungono nella nuova pubblicazione? Quanto contano il coraggio e il perdono?
Per perdonare serve coraggio. Per avere coraggio, devi crescere, e non dico anagraficamente.
C’è un dialogo chiave tra Rosario e sua madre, Maria. Rosario sta dormendo con lei e, prima di addormentarsi, le chiede se anche lei, come lui, odi suo papà per tutto il male fatto. Maria risponde di no, che lei lo aveva perdonato, aggiungendo un insegnamento semplice ma importante: chi non perdona, non ama. Il protagonista di questa storia, di queste parole, si ricorderà.
- Alcuni brevi dialoghi sono in palermitano. Di certo, le espressioni sono più vive. Una scelta meditata o fatta di getto?
Quando ho scritto Cuorebomba, volevo una lingua mimetica. Non volevo un italiano standard, perché a Brancaccio nessuno parla l’italiano standard; non volevo un personaggio che adoperasse magistralmente i congiuntivi, perché non sarebbe stato credibile, né volevo un personaggio che ignorasse il dialetto, che invece è la lingua che si parla nel quartiere. Così ho deciso di inserire qualche dialogo in palermitano, diciamo un piccolo di tocco di neorealismo.
- Una parte del romanzo è ambientata nel mondo della scuola. Da professore, quali le attinenze con la realtà?
Amo la scuola, gli alunni, le lezioni e le tensioni dell’adolescenza. Odio le storture della scuola, in primis quegli insegnanti indottrinati che sbandierano programmi da seguire pedissequamente, ignorando la persona umana. Secondo me la scuola italiana sta vivendo una brutta fase della sua storia, sotto gli attacchi di una burocrazia che sta, anno dopo anno, snaturando il ruolo dell’insegnante da formatore a impiegato di un ufficio qualsiasi. Contro questa stortura della scuola, contro questo atteggiamento chirurgico nei confronti della cultura, si scontra Rosario.
- Bellissima, estremamente vera la distinzione tra “cuorisecchi” e “cuoribomba”. Che può dire in merito ai lettori?
Il titolo di questo romanzo è tratto da un tema che Rosario scrive a fine anno e che gli costerà la bocciatura. La traccia del tema gli chiedeva di parlare della critica letteraria, ma lui va fuori tema e si lancia in una dissertazione sull’essere umano.
Esso – l’essere umano – può avere o un cuoresecco o un cuorebomba.
Un cuoresecco è uno che ha letteralmente un cuore arido, che non sa sentire né la gioia né il dolore. È il cuore dei cinici, degli indifferenti, di coloro che pensano che il senso della vita sia quello dei piaceri esasperati (il sesso, la droga, il denaro). I cuorisecchi non conoscono mai veramente la felicità, ma allo stesso modo nemmeno il dolore, perché non sono sensitivi.
Un cuorebomba invece è uno che al posto del cuore c’ha una bomba. È il cuore dei sensibili, dei deboli gentili, dei fragili forti; il cuore di quelli che sentono tutto in maniera amplificata perché in possesso di un cuore sensitivo. I cuorebomba sanno conoscere la felicità ma sanno anche farsi abbattere dallo sconforto e dalla depressione, perché troppo sensibili.
Il padre del protagonista è un cuoresecco, la madre un cuorebomba. Alla fine del romanzo anche Rosario capisce di essere un cuorebomba.
- Per ultimo, oltre a complimentarci con Lei, cosa possiamo aspettarci, in un prossimo futuro, da Dario Levantino? Una nuova e differente vicenda, oppure qualcosa che ha molto a che fare con la Sicilia e con alcuni fra i personaggi dei primi romanzi?
Non lo so, dico sul serio. Nel cassetto ho una storia umoristica e un romanzo drammatico entrambi finiti, ma forse non mi piacciono, quindi si vedrà. Un giorno, invece, potrei continuare la saga di Rosario perché per me la storia non è che sia proprio finita!
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: Intervista a Dario Levantino, autore di "Cuorebomba"
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