Lucrezia Lombardo nasce ad Arezzo nel 1987. Dopo la maturità classica si laurea in Scienze filosofiche a Firenze, lavora quindi come curatrice, autrice di testi d’arte contemporanea e come giornalista, specializzandosi con vari corsi di perfezionamento e con un master in Gestione dei beni culturali.
Attualmente l’autrice scrive per alcune riviste letterarie internazionali, insegna Storia e Filosofia presso un liceo e collabora con vari atenei privati come docente di Storia della filosofia contemporanea.
Oltre ad aver ricevuto importanti premi e riconoscimenti letterari, Lucrezia ha pubblicato il saggio L’Alunno (Divergenze, 2019), le raccolte poetiche La Visita (Giulio Perrone, 2017), La Nevicata (Castelvecchi, 2017), Solitudine di esistenze (Giulio Perrone, 2018), Paradosso della ricompensa (Eretica, 2018), Apologia della sorte (Transeuropa, 2019), In un metro quadro (Nulla Die, 2020), Amor Mundi (Eretica, 2021), la raccolta di racconti Scusate, ma devo andare (Porto Seguro, 2020), il romanzo Kinder (Augh!, 2021), ha curato la silloge Elegia Ambrosiana (Divergenze, 2021) con lo scrittore Raul Montanari, ha pubblicato la raccolta di racconti Un Karma distratto (Porto Seguro, 2021) e la silloge Cercando il mezzogiorno (Helicon, 2021), L’errore della luce (Ensemble 2022), Due saggi dirompenti (Divergenze 2022), Il gelsomino indiano (Cosmopoli 2023, libro in lingua romena con testo italiano a fronte), Una vita di lampo (Eretica 2023, in collaborazione con la rivista letteraria francese La Bibliothèque Italienne).
A partire dal suo ultimo saggio Due saggi dirompenti. La repubblica delle occasioni risolutive. Il processo coscienziale (Divergenze, 2022), Lucrezia Lombardo ha dialogato con Vincenzo Mazzaccaro.
- Come è nata l’occasione di scrivere questo saggio così diverso da quelli che troviamo in classifica vendite?
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Il saggio, in realtà, giaceva in un cassetto da tempo, in quanto è il risultato di anni di studio e ricerche.
A partire dalla laurea in Filosofia, e dopo di essa, “la mia ossessione” era tentare di sciogliere il nodo del “dualismo” che per secoli ha contrapposto mente/corpo, anima/materia e frutto di un’interpretazione errata sia del Cristianesimo, che dell’aristotelismo.
È a partire da tale questione che si sviluppa un secondo problema - quello a cui ho tentato di rispondere nel libro che stiamo esaminando - vale a dire “l’origine della coscienza”. È attorno alla coscienza che si gioca oggi una lotta fino all’ultimo sangue tra due concezioni del mondo: quella riduzionistica, materialistica e naturalistica da un lato, e quella che apre invece alla possibilità che esistano strutture a priori, vitalistiche, che precedono l’idea che gli enti altro non siano che meri aggregati di cellule, frutto di processi chimici e biologici, destinati a dissolversi con la morte. Dunque, il saggio tenta d’inquadrare il presente e di decostruire i suoi meccanismi di potere, a partire da un punto di vista nuovo e cruciale: la coscienza, appunto, e la sua origine, poiché tale questione è determinante per stabilire ciò che ne sarà dell’essere umano d’ora in poi.
- Il linguaggio usato è assai specialistico. Non ha pensato che questo avrebbe tagliato fuori gli adolescenti, cui lei si rivolge in modo particolare?
Senz’altro, in alcune parti, il saggio impiega un linguaggio specialistico, cosa inevitabile nella misura in cui, per affrontare certe questioni, non esistono altre parole adatte. Al tempo stesso, leggendo con attenzione le pagine, spesso viene attuata una decostruzione di quello stesso linguaggio “metafisico” che appartiene al filone riduzionistico al quale mi contrappongo. In ogni caso, oltre ai termini più specialistici impiegati, il libro cerca di rendere i temi affrontati comprensibili per tutti, inoltre, richiedere uno sforzo nella lettura e nella comprensione, a volte, non è negativo, in quanto la nostra è l’epoca delle semplificazioni, della riduzione della complessità a schemi binari illusori, che finiscono con l’amputare non solo il reale, ma la nostra stessa capacità critica, oltre all’immaginazione.
- Cosa intende per “sudditanza volontaria”?
La sudditanza volontaria, affrontata in apertura del primo dei due saggi, è il presupposto a partire dal quale ho voluto analizzare i meccanismi di potere messi in atto dal biocapitalismo. In particolare, se volgiamo comprendere come si muove il potere - ormai fattosi rete orizzontale, che non necessita neppure di coercizione -, dobbiamo anzitutto analizzare i meccanismi psicologici - e non solo essi - che si attuano su coloro che il potere lo subiscono. Sono costoro, infatti, che legittimano le egemonie, nella misura in cui le accettano su di sé.
Ho voluto spostare dunque l’attenzione dall’alto verso il basso, dalla causa all’effetto, concentrandomi sulla struttura psicologica delle masse che subiscono quotidianamente gli effetti di una politica non più tale e ridotta ormai ad autoritarismo mascherato dietro a concetti democratici.
- Cosa intende, invece, per kratoscienza e biocapitalismo e tra gli autori letti mi sembra che Foucault sia ancora attuale e importante. È così?
Il concetto di kratoscienza è un’espressione da me coniata ed impiegata, per la prima
volta, proprio nel libro Due saggi dirompenti. Essa allude alla struttura del potere
contemporaneo, un potere che oltrepassa tanto la biopolitica foucaultiana, quanto la
psicopolitica di cui parla il filosofo Han.
Siamo infatti dinnanzi ad un autoritarismo verticistico, che unisce il lato peggiore della scienza e della politica espropriata dell’originaria essenza, un’essenza che era basata sul dialogo, sull’azione e sulla partecipazione degli individui alla sorte collettiva. All’indagine ancor più dettagliata della kratoscienza e alla decostruzione dei sui assunti teorici - che spaziano dalla biologia, alla teologia - sto dedicando peraltro un nuovo libro, che conto di concludere in un paio di mesi.
Il biocapitalismo è, invece, il prosieguo della biopolitica foucaultiana e consiste in un
sistema di produzione che mercifica l’intero esistente, inglobando la vita degli individui non solo in senso corporale, ma estendendosi anche alle competenze immateriali (i saperi) e alla psiche dei soggetti, attraverso l’azione d’imperativi che vengono introiettati da uomini e donne che, dunque, si autodisciplinano.
Di tutto questo aveva già parlato, prima ancora di Han, la filosofa Susan Bordo. Foucault, quindi, non solo è ancora attuale, ma è uno dei pensatori più lungimiranti del XX secolo e colui che, meglio di chiunque altro, aveva compreso - anticipandolo - l’esito dispotico della sorveglianza unita alla tecnologia.
- Anni fa lessi un libro di Viviane Forrester, “L’orrore economico”, scritto più su una base emozionale. Il nucleo centrale del testo era che la soddisfazione apparente di avere molti soldi causa infelicità. Lei è molto più radicale e persuasiva su questo punto. Cos’è il denaro?
Il denaro (cfr Simmel) è anzitutto un simbolo, che consente di trasformare le proprietà qualitative in quantità. Esso ha così sostituito il baratto, ma col tempo le società del denaro hanno smarrito la consapevolezza che il valore di esso dipendesse da un’attribuzione di significato attuata dall’uomo. Inoltre, lo sviluppo di un’economia finanziaria basata, sempre di più, su di un processo di astrazione dal “mondo delle corporeità”, ha eroso il legame tra denaro, beni e risorse materiali, dando vita ad un sistema immateriale.
Faccio un esempio, oggi la risorsa più preziosa sono i dati, tuttavia, se un giorno finissero le materie prime che consentono di costruire apparecchi tecnologici, anche i dati non potrebbero più essere raccolti e il denaro accumulato sulla base di essi perderebbe, in un istante, il proprio valore. Allo stesso modo, durante una guerra, se scarseggia il pane, tutte le banconote accumulate perdono valore, poiché con esse non si possono comprare neppure gli alimenti di base per sfamarsi.
Durante la guerra nei Balcani degli anni ’90 è celebre il racconto di uomini e donne che accendevano fuochi lungo le strade impiegando banconote che non avevano più alcun valore, in quanto mancavano persino il pane e la farina.
Il denaro è perciò un mezzo che ha assorbito il fine, un oggetto che ha divorato i riferimenti reali, tanto che preferiamo accumulare banconote, senza interrogarci su quello che accadrà allorché le risorse finiranno, o verranno del tutto privatizzate, come già sta avvenendo con l’acqua e la terra. Per il denaro uccidiamo i nostri fratelli, avendo ormai smarrito la percezione del valore reale, a cui si è sostituito il valore fittizio del simbolo e di ciò che esso implica (potere e obbedienza, in primis).
- Anche la psicologia umana, con cui lei fa i conti, le appare soggiogata dal capitale. Siamo finiti in una trappola senza uscita, allora?
Credo che la trappola ci sia, ma che una via d’uscita esista sempre.
La psicologia perde il proprio autentico ruolo sovversivo, di analisi del profondo e di critica, allorché si lega al capitalismo e abbraccia quello stesso modello riduzionistico, che menzionavamo poc’anzi e che riduce l’essere umano ad un insieme di facoltà, di reazioni neurochimiche. Questa visione è amputante e finisce con il sostenere l’idea di un uomo fatto “cosa”, fatto merce, piuttosto che indebolire tale concezione.
La via d’uscita deve dunque necessariamente passare da un’inversione di paradigma a livello, anzitutto, teorico. Occorre, cioè, che il materialismo e il naturalismo imperanti, cedano il posto almeno alla possibilità che non tutto possa essere decifrato, controllato, manipolato, dominato.
Proprio in quanto la tecnologia è ormai evolutissima e, con l’ingegneria genetica, siamo in grado persino di riprogrammare la natura, occorre porsi nuovi interrogativi morali ed etici, che siano all’altezza del contesto odierno. Il principale di tali interrogativi, dal quale si diramano gli altri, prevede - a mio parere - che ridefiniamo lo statuto ontologico dell’essere umano. Occorre chiedersi nuovamente “chi è l’uomo?” e “qual è il valore di costui nel mondo tecnico, che ha per imperativo dominante una strumentalità che riduce tutto a cosa tra le cose?”
- L’appendice critica al suo saggio, a cura di Marco Vagnozzi, ha come titolo “Il denaro è fascista”. Cosa vuol dire, secondo lei?
Occorrerebbe sentire lo stesso Vagnozzi, autore di un’appendice eccellente, che ha
saputo penetrare in pieno lo spirito del saggio, aggiungendo elementi importanti.
“Il denaro è fascista” è una proposizione che sintetizza bene il tema attorno a cui ruota il libro: la modernità, e la contemporaneità in particolare, possono essere lette come un processo che conduce ad una crescente reificazione del vivente.
L’elemento principale attraverso cui il vivente viene “cosificato” è, appunto, il denaro, che da strumento pratico si trasforma in feticcio, in idolo da venerare e che subordina a sé l’essere umano. Non soltanto, il denaro è anche il maggior responsabile di quell’appiattimento che annulla le differenze. Inoltre, la plutocrazia al potere si lega sempre a un sistema ideologico che non può che attuare metodi repressivi e violenti, al fine di mantenere la propria egemonia. Dunque, lo spirito del denaro e la sua deificazione attuata dal capitalismo, non possono che essere fascisti, ovvero totalitari, incentrati sull’annullamento del dissenso e sull’annientamento dell’esercizio della libertà di coscienza e di scelta da parte dei singoli, ridotti adesso a meccanismi impotenti di un ingranaggio che li schiaccia.
Elemento astrattizzante per eccellenza, il denaro è quindi lo strumento che consente il passaggio dalla libertà all’illiberalità, laddove diviene parametro di misura di ogni cosa, essenza primaria a cui tutto deve essere ricondotto, fondamento di un monco che perde, così, la propria natura qualitativa, unica, senziente e viva.
- Marco Vagnozzi nel suo saggio parla di coscienza e di come l’essere umano sia unico e non ripetibile dalla scienza. Credo che lei sia d’accordo.
È senz’altro così, anche laddove la clonazione si applicasse all’essere umano,
riproducendo un soggetto tale e quale all’originale, questi altro non sarebbe che la copia biologica e genetica dell’originale e non possederebbe certo i medesimi vissuti
dell’individuo clonato. Proprio qui è il nocciolo della questione: il mondo qualitativo dei vissuti personali - ciò che potremmo definire come “coscienza originaria e senziente”- non è in alcun modo riproducibile. Esiste un nucleo duro, che è “l’anima” di ciascun essere umano, che non può essere riprodotto neppure attraverso le più evolute biotecnologie o tecnologie genetiche.
Tale nucleo lo vediamo in azione quando pensiamo al modo diversificato in cui ciascuno di noi fa esperienza dell’amore, o della rabbia. In tal senso, pure quegli studi che pretendono di modificare le percezioni, i sentimenti e le emozioni, agendo sul cervello, finiscono con il restare, in definitiva, parziali.
Difatti, anche se si attivasse la medesima area cerebrale sui due soggetti campione, il vissuto derivante da tale area che si attiva, sarebbe differente per ciascuno di loro. Questo significa che “l’origine della coscienza” giace nel rapporto assolutamente personale che s’instaura tra soggetto e mondo.
- C’è poi una breve postfazione di Marianelli in cui tira in ballo la filosofa e studiosa Simone Weil. È ancora importante il suo pensiero?
Il pensiero di Simone Weil, al pari di quello di Michel Foucault, è stato uno dei più dirompenti della filosofia mondiale.
Il modo in cui la pensatrice approfondisce la questione dello sfruttamento - e dunque quella della libertà - e la lungimiranza con cui lei si accorge del pericolo che il sociale inglobi, schiacciandoli, gli individui, sono sorprendenti.
Nessuno, al pari di Weil, aveva capito che l’esito del capitalismo sarebbe stato, in ultima istanza, lo sradicamento dell’individuo da sé stesso e da Dio.
Proprio la questione del divino diviene infatti, per la filosofa, uno dei temi dominanti dopo le analisi politiche e antropologiche.
Come una mistica del nostro tempo, Weil crede infatti che tutte le religioni abbiano una matrice comune e propone come esempi di giustizia su questa terra le comunità cristiane delle origini e il francescanesimo, modelli in cui le gerarchie crollano, poiché gli uomini mettono in comune la consapevolezza della loro natura spirituale.
La questione dell’apertura al divino è assolutamente attuale: solo attraverso l’impolitico e il riconoscimento di valore a qualcosa che non si appiattisce alla logica strumentale, gli uomini possono ricostruire relazioni autentiche.
- Lei crede che gli esseri umani abbiano diritto alla felicità e perché? In nome della felicità non stiamo consumando questo pianeta ridotto al lumicino?
Credo che la felicità non sia tanto un diritto, quanto una propensione della natura umana, questo significa che occorre riproporre nel dibattito culturale attuale il tema della natura e, quindi, dell’ordine naturale e dei diritti naturali.
Inoltre occorre chiedersi cosa significa davvero “felicità”. Di certo, essa non è la realizzazione egoistica del tornaconto personale, né il perseguimento del piacere a qualsiasi costo.
La felicità è piuttosto una consapevolezza di armonia nei confronti di ciò che ci circonda, è imparare a concepirsi parte di un tutto che ci accomuna e che rende nobile ogni essere vivente. Felicità è la realizzazione - aristotelicamente - della propria natura razionale (il che non vuol dire escludere la parte emotiva ed empatica) all’interno di un ordine naturale che tutto muove e nel quale le azioni della parte ricadono sul tutto e viceversa.
“Felicità” significa vedere anche nella caduta e nella sconfitta delle tappe necessarie a un divenire più grande, elemento per attuare il quale occorre un decentramento dal proprio ego e un processo di liberazione dai condizionamenti egoistici, che ci riempiono di paura e che ci spingono a una illimitatezza bramosa che non può che produrre dolore. Solo se la felicità cesserà di essere intesa come puro capriccio egoistico, come pretesa di avere, di accumulare, di possedere, di dominare e comincerà a essere concepita come cammino personale carico di responsabilità - un cammino che richiede continui superamenti-, il mondo potrà tornare a essere un luogo abitato dalla luce.
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: Intervista a Lucrezia Lombardo: “Dobbiamo ripartire dalla coscienza”
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