Photo credit: Francesco Carofiglio
Gianrico Carofiglio è nato a Bari il 30 maggio 1961. Magistrato (è stato pretore a Prato, pubblico ministero a Foggia e sostituto procuratore alla Direzione Distrettuale Antimafia di Bari), scrittore e senatore della Repubblica del Partito Democratico nella XVI Legislatura (aprile 2008 - dicembre 2012), ha pubblicato per Rizzoli i romanzi:
- Il passato è una terra straniera (2004, Premio Bancarella 2005 e dal quale è stato tratto l’omonimo film nel 2008)
- Il silenzio dell’onda (2011),
- il graphic novel Cacciatori nelle tenebre (2007) con il fratello Francesco,
- la raccolta di racconti Non esiste saggezza (2010),
- il saggio La manomissione delle parole (2010).
È autore del ciclo di romanzi che vedono come protagonista l’avvocato Guido Guerrieri. I suoi libri sono tradotti in ventiquattro lingue.
Lo scorso 21 ottobre è uscito il suo ultimo romanzo “Il bordo vertiginoso delle cose” edito da Rizzoli, avvincente storia di amicizia sospesa tra passato e presente, con protagonista quel territorio ricco d’incantamento, delusioni e insidie che è l’adolescenza.
“Quei pugni in faccia mi avevano fatto intuire una parte di me, una creatura sconosciuta in agguato nella penombra, cui non mi piaceva pensare”.
In questo volume Carofiglio conferma di aver compreso in pieno quale dovrebbe essere il lavoro di uno scrittore:
“Trovare le parole che mancano agli altri”.
- Dottor Carofiglio, per quale motivo ha scelto proprio il verso di Browning (“a noi preme soltanto il bordo vertiginoso delle cose”) come titolo del volume?
Bisogna premettere che il titolo che avevo scelto prima e che ho tenuto a lungo sul file del romanzo era un altro: la citazione da una canzone di Francesco De Gregori “sulla sorte del bufalo” da Buffalo Bill. Poi un giorno mi sono imbattuto in questo verso di Browning e mi è piaciuto moltissimo. Come potrebbe non piacere? È straordinario! Nel giro di pochi minuti mi sono detto per prima cosa che dovevo trovare il modo di citarlo nel romanzo, poi nel giro di mezz’ora ho deciso che sarebbe stato questo il titolo del libro. La ragione si può capire ovviamente leggendo il romanzo... ma essenzialmente perché questo libro parla di confini interiori perlopiù, e di confini nel tempo e nello spazio e nell’intimità dei personaggi, e su quei confini molto spesso si ha l’impressione di cadere o da una parte o dall’altra. È proprio di quell’idea vertiginosa che è affascinante e inquietante nello stesso tempo.
- In quel “periodo complicato” che è l’adolescenza, i maggiori interessi di Enrico sono la filosofia e le arti marziali, per non parlare della sua passione per gli incipit letterari. Quanto c’è di autobiografico nella personalità del protagonista e nella trama?
Moltissimo nella personalità del protagonista, quasi nulla nella trama. La trama è una storia inventata ma è nutrita di fatti realmente accaduti che vengono trasformati in modo da non essere più riconoscibili. Nel personaggio, anzi dovrei dire nei personaggi, c’è molto di chi scrive ma questo accade sempre.
- “Spesso non è una buona idea tornare sui propri passi”. Anche per Enrico Vallesi il passato è una terra straniera?
In qualche modo sì, nel senso che Enrico si volta, guarda dietro e per un attimo pensa che quel dietro, il passato, sia un posto dove è già stato e poi si accorge che sono accadute cose delle quali forse non si era reso conto. Soprattutto lo spazio nel quale si sono mosse le azioni di quel passato è un’entità mutevole nella quale lui si riconosce e al tempo stesso scopre qualcosa di nuovo su se stesso. Quando parlo di “spazio” intendo soprattutto l’ambientazione, i luoghi quindi la città in cui il romanzo si svolge.
- Il tragitto a ritroso di Enrico è fondamentale per capire quale indirizzo dare non solo al suo incerto e precario presente ma soprattutto al suo confuso futuro?
Probabilmente sì ma tutto questo si colloca al di fuori del romanzo, in quello che accade dopo l’ultima riga del libro che deliberatamente ha un finale aperto. Può succedere di tutto dopo...
- Lo scorso 16 ottobre il Presidente della Repubblica inviando un messaggio al Parlamento sulla situazione carceraria tra le altre cose ha detto “Il governo e il Parlamento devono fare riforme strutturali al fine di evitare che si rinnovi il fenomeno del sovraffollamento” e questo si traduce “con il mettere mano a un’opera i cui tempi sono maturi, e cioè il rinnovamento dell’amministrazione della giustizia”. Ci lascia un Suo parere al riguardo?
Sono d’accordo dalla prima all’ultima parola. L’aver citato correttamente le parole del Presidente della Repubblica dimostra quanto sia stato strumentalizzato il suo intervento. Sembrava che avesse parlato di amnistia o solo di amnistia. L’amnistia ha senso solo se si fa tutto quello che Napolitano ha detto e che lei ha citato, cioè una riforma complessiva del sistema giudiziario per cui non ci sia il rischio, o meglio la sicurezza che dopo il provvedimento di clemenza, sei mesi dopo, la situazione sia al punto di prima. Allora ha senso un’amnistia. Se si riforma il sistema allora si segna una linea, si mette un punto a quello che è stato il passato, si fa un provvedimento anche di clemenza, naturalmente equilibrato, perché dopo il sistema sarà diverso e quel rischio di incivile sovraffollamento sarà o dovrebbe essere per sempre scongiurato.
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: Intervista a Gianrico Carofiglio: “Il bordo vertiginoso delle cose”
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