Giovanna Zucca vive e lavora a Treviso come strumentista e aiuto anestesista in sala operatoria. Ha brillantemente esordito nel 2010 con il romanzo Mani calde, una storia d’ambientazione ospedaliera che ha vinto il Premio Reghium Julii Opera Prima 2012. Laureata in filosofia, tiene diversi seminari presso il Dipartimento di Filosofia dell’Università Ca’ Foscari di Venezia collaborando attivamente con il Centro interuniversitario di studi sull’etica. In Guarda, c’è Platone in tv! ha immaginato un ritorno dei grandi filosofi ai nostri giorni. Il terzo romanzo di Giovanna Zucca è Una carrozza per Winchester. L’ultimo amore di Jane Austen (Fazi Editore 2013), delicata e intensa rievocazione dell’ultimo periodo di vita della celebre e amata autrice e della malattia che la colpì nota come Morbo di Addison, in occasione del bicentenario della pubblicazione di Orgoglio e pregiudizio.
“Desiderava rendere eterno il poco tempo che le restava, aprire i confini alla caducità dell’esistenza. Il suo amore era la stella polare nel caos dell’inesausto avvenire”.
- Quando è nato il Suo interesse per Jane Austen?
Intorno ai 14-15 anni, quando ebbi in regalo la mia prima copia di Orgoglio e pregiudizio. Ricordo che lessi molto velocemente e compresi di quel romanzo ciò che era giusto comprendere a quell’età. In seguito lo rilessi più volte, nel corso degli anni, e come accade a tutte le grandi opere, ci trovai di volta in volta spunti diversi di riflessione. Quella che mi era apparsa come la storia di 4 sorelle e di una madre desiderosa di accasarle mi si rivelò come un affresco sociologicamente perfetto di uno stile di vita che andava incontro alla propria fine. Gli equivoci e malintesi col fascinoso mister Darcy mi fecero pensare che l’autrice volesse mettermi in guardia dall’eccessiva fiducia nei miei giudizi, e forse mi stava dicendo che imparare dai propri errori è la forma più completa di conoscenza.
- Qual è il fascino della produzione letteraria di Miss Jane e per quale motivo è sempre più amata da un vasto pubblico?
Il fascino credo sia dovuto alla sua scelta rivoluzionaria di descrivere la vita di tutti i giorni. In fondo la Austen ci ha regalato dei romanzi dove apparentemente non accade nulla di straordinario. In un’epoca nella quale la moda voleva romanzi ricchi di avventure, castelli in rovina abitati da eroine rapite da tenebrosi seduttori senza scrupoli, le storie di Jane Austen narrano di tranquilli menage di campagna, dove il massimo che può accadere è non essere invitati al ballo della stagione. E tuttavia la narrazione è cosi avvincente e così ricca di dettagli che ci immedesimiamo totalmente nei personaggi, nei loro affanni e nelle loro preoccupazioni. È come se avesse voluto lanciare una sfida alla moda del suo tempo, una sfida rivoluzionaria, che si concretizza narrativamente parlando, nell’aver elevato la vita di ogni giorno a letteratura. Senza vertigini stilistiche o magniloquenti accadimenti ci conduce con calma e tranquillità nel salotto di casa, per conversare tutto un pomeriggio del mancato arrivo della lettera della signorina Fairfax. Inoltre c’è la precisione sociologica con la quale la Austen ci descrive lo stile di vita di una società, quella dei piccoli proprietari di campagna, che è destinata a scomparire da lì a poco, che all’oscuro dei radicali mutamenti in arrivo continua a condurre l’esistenza del tutto ignara del baratro oltre il parco di casa. Il tipo di scrittura, brillantemente ironica, arguta, e la precisione con cui l’autrice delinea i caratteri fanno si che nonostante i due secoli li sentiamo vicini. I protagonisti dei romanzi austeniani sono universali, se noi spogliamo la signora Bennet delle mussole e dei modi leziosi, chi può dire di non averne incontrata una?
- C’è un lato della personalità della Austen che più la attira?
Sì, l’ironia soprattutto, la capacità di centrare un carattere in poche righe, illuminandone il lato ridicolo senza mai scadere nell’offensivo o nel gratuito malanimo. E il fatto che nei suoi romanzi i personaggi negativi non lo sono mai del tutto e si intuisce la possibilità di riscatto per chiunque.
- Quali fonti ha consultato per la stesura del romanzo?
In particolare il lavoro del dott. Thomas Addison “On the constitutional and local effects of disease of the suprarenal capsules” del 1855 in cui illustra la malattia che oggi porta il suo nome, ovvero il Morbo di Addison. Con questo capolavoro, Addison apre la strada all’avvento dell’endocrinologia. Impressionanti nella scrittura sono la numerosità della casistica riportata, la profondità scientifica e la purezza descrittiva. Inoltre alcuni testi medici ottocenteschi, che mi hanno permesso una certa tranquillità nella descrizione dei medicamenti a disposizione dei medici dell’epoca.
- “È verità universalmente riconosciuta che uno scapolo largamente provvisto di beni di fortuna debba sentire il bisogno di ammogliarsi”. Far precedere ciascun capitolo dall’incipit dei volumi di Miss Austen è una sorta di omaggio?
Sì, un omaggio a colei che considero una tra le più grandi autrici di ogni tempo. Un modo per sentirla vicina, forse un modo per chiederle indulgenza.
- Ci tolga una curiosità: ha mai avuto occasione di visitare i luoghi austeniani?
Non tutti. Ho visitato Bath molti anni fa, e conto di tornare in occasione del prossimo meeting austeniano, con tanto di abito regency e capellino, e solo di passaggio Winchester. La carrozza correva veloce, e ho dovuto immaginarla questa località che così tanto mi ha colpita.
- Secondo Lei che cosa ha da insegnare alle ragazze del terzo millennio una tra le più grandi scrittrici inglesi di tutti i tempi?
Me lo sono chiesta spesso in questi mesi. E mi sono risposta che quello che la Austen da duecento anni ci sta dicendo è di non essere delle sciocche. Non siate delle sciocche. Lottate per i vostri desideri, abbiate in grande conto la stima per voi stesse. Credo sia questo che ancora oggi può insegnarci.
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: Intervista a Giovanna Zucca: “Una carrozza per Winchester. L’ultimo amore di Jane Austen”
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